All’epoca del terremoto che colpì L’Aquila, grazie alla sua presa di posizione nei confronti dell’ex sindaco di Roma Rutelli – reo di aver commissionato il progetto per il Museo dell’Ara Pacis a Richard Meier – e nonostante i suoi trascorsi “politici” di “sinistra”, Massimiliano Fuksas divenne l’esperto tuttologo dall’allora Premier Berlusconi … fu così che gli italiani dovettero subire la sua presenza in tutti i programmi televisivi che parlavano di terremoto e ricostruzione, sebbene la materia non lo riguardasse affatto.
Più di recente – per la serie, cambiano i “mecenati” cambiano i “protetti” – il nuovo tuttologo, dopo la “necessaria” nomina a senatore a vita, è divenuto Renzo Piano, altro personaggio poco credibile chiamato a parlare di “rigenerazione urbana” e “bellezza” … nonostante la violenta brutalità di progetti come il Beaubourg – vera e propria astronave aliena che ha annichilito un meraviglioso brano della città di Parigi – oppure il più recente progetto, sempre a Parigi, per la inguardabile Fondation Jérôme Seydox-Pathé – una sorta di stomaco metallico che sembra voglia ingurgitare il tessuto architettonico tradizionale, per espellerlo sotto forma di escrementi alieni! – ormai è lui l’esperto di periferie, di terremoti, di bellezza, ecc.
Nel 2014 infatti, poco tempo dopo l’inaugurazione a Parigi dello scempio della Fondation Jérôme Seydox-Pathé, il Ministero dell’Istruzione italiano ebbe l’ardire di suggerire una frase (ipocrita) di Renzo Piano come tema di attualità per gli esami di maturità.
Sebbene il senatore a vita, con i suoi progetti orripilanti, sembra voler trasformare i centri storici in immonde periferie, il Ministero, per il tema d’esame, prese spunto da una frase di Piano su cui i maturandi venivano chiamati a riflettere. La frase era estrapolata da un articolo apparso su “Il Sole 24 Ore” e intitolato “Rammendo delle periferie”:
«Paese straordinario e bellissimo, ma anche fragile. È fragile il paesaggio e sono fragili le città, in particolare le periferie dove nessuno ha speso tempo e denaro per far manutenzione. Ma sono proprio le periferie la città del futuro, quella dove si concentra l’energia umana e quella che lasceremo in eredità ai nostri figli. C’è un bisogno di una gigantesca opera di rammendo e ci vogliono delle idee. Le periferie sono la città del futuro, non fotogeniche d’accordo, anzi spesso un deserto o un dormitorio ma ricche di umanità e quindi il destino delle città sono le periferie Spesso alla parola periferia si associa il termine degrado. Mi chiedo: questo vogliamo lasciare in eredità? Le periferie sono la grande scommessa urbana dei prossimi decenni. Diventeranno o no pezzi di città?»
In tutta onestà, nessuno metterebbe in dubbio certe affermazioni … personalmente ne parlo da una ventina di anni e ho fatto diverse proposte di “rammendo” e “rigenerazione” per i quartieri Corviale di Roma e ZEN di Palermo, quello che rende perplessi è la credibilità di un personaggio del genere!
Renzo Piano infatti, cavalcando l’onda del dibattito sulle periferie che con moltissimi colleghi interessati all’architettura e urbanistica tradizionale abbiamo innescato da anni, con le sue affermazioni e i suoi progetti risulta essere la personificazione di chi predichi bene e razzoli malissimo! … Ciononostante, per la “società dello spettacolo”, il suo nome e la sua immagine sono sufficienti ad esser preso seriamente in considerazione come opinionista esperto!
In passato abbiamo avuto altri “illustri” opinionisti – ideologicamente compromessi – come per esempio Bruno Zevi, tutti personaggi i quali, dall’alto dei loro piedistalli, si sono permessi di imporre la propria folle ideologia che il popolo bue sembra aver, incondizionatamente, accettato.
Bruno Zevi, che cattolico non era, si è perfino permesso di dare indicazioni su come le chiese dovessero venir concepite … ed ora, col beneplacito dell’espertissima CEI, ci ritroviamo delle pustole di cemento, spacciate per chiese, che infestano le nostre città.
Sarebbe proprio il caso di dire: “Chi è causa del proprio male pianga se stesso!” Lo stesso Zevi, dalle poltrone del Maurizio Costanzo Show, pur vivendo altrove, difendeva a spada tratta il Corviale di Roma!
Che dire poi dei danni ideologici creati da un altro ipocrita come Vittorio Gregotti durante tutti gli anni in cui ha diretto Casabella, ha esercitato la professione, ha insegnato nell’università ed ha fatto l’opinionista?
Vittorio Gregotti infatti, è l’autore dello ZEN di Palermo, il peggior esempio di quartiere popolare d’Italia. Tuttavia quel quartiere venne presentato come un qualcosa che andava a «materializzare l’idea che la città storica, espressione delle classi sociali che avevano dominato e oppresso la società umana, doveva essere abbandonata ai suoi fondatori, mentre alle classi sociali popolari in ascensione sarebbero stati destinati i nuovi quartieri costruiti in periferia che, aggregandosi, avrebbero finito col generare la Nuova Gerusalemme: la città della società senza classi, libera, giusta e fraterna»[1].
Una ignobile menzogna della quale abbiamo avuto triste conferma dallo stesso Gregotti quando, intervistato da Enrico Lucci durante la puntata del 20 febbraio 2007 de “Le Iene”, alla domanda «perché, se sostiene che sia tanto riuscito e bello non ci va lei a vivere allo ZEN?» rispose: «che c’entra, io faccio l’architetto, non faccio il proletario!»
Gli esempi di “esperti fuori luogo” in Italia sono infiniti, tanto da risultare impossibile elencarli in un unico post, per cui salto direttamente all’ultimo della serie: Luca Molinari, ovvero il curatore della pessima “AilatI-ItaliA” alla Biennale di Venezia nel 2010. Un personaggio al quale mi venne chiesto di porre delle domande alle quali evitò di rispondere[2].
Riporto di seguito il nostro scambio di domande e risposta come pubblicato dal blog Wilfingarchitettura:
– Ettore Maria Mazzola: Architetto, urbanista, autore di diversi libri di Architettura, Urbanistica e Sostenibilità, docente presso la University of Notre Dame School of Architecture.
Domanda: L’architettura di oggi, ben rappresentata dalle immagini del “promo” di “AilatI – ItaliA”, è sempre più concepita in maniera puntiforme e individualistica, sicché i quartieri “moderni” risultano sempre più lontani dall’idea di città e di comunità. Personalmente ritengo che sarebbe il caso di tornare a parlare anche di “architettura delle Città”: non pensa che un evento come la Biennale dovrebbe servire anche a suggerire delle soluzioni che portino a delle città più vivibili e, come si usa dire oggi, più sostenibili? E se sì, non pensa che sarebbe il caso di iniziare a proporre al pubblico anche le architetture tradizionali piuttosto che fossilizzarsi sulla promozione di manufatti edilizi che fanno confusione tra architettura, arti figurative e concettuali?
– Luca Molinari: Personalmente credo che la vera architettura non debba avere problemi di “genere” quanto piuttosto debba rispondere a una responsabilità civile che la vede come arte/tecnica chiamata a rispondere alle sollecitazioni e ai desideri che la società contemporanea pone con forza.
L’ “architettura della città” per come era stata pensata programmaticamente da Rossi nel 1966 è quanto di più distante dai paesaggi metropolitani contemporanei, e lo stesso Rossi nella sua illuminante “Autobiografia scientifica” si era molto distanziato da quella brillante opera giovanile. Credo invece che pensare alle architetture per le città d’oggi voglia dire ragionare su quei frammenti civili, generosi e visionari che aprano prospettive su come le metropoli stanno cambiando e su come noi potremmo viverle in maniera più aperta, laica e curiosa. Questi sono stati ad esempio alcuni dei principi con cui ho selezionato le opere della sezione “Laboratorio Italia”.
Ebbene, ieri (16/06/2017), sulle pagine di “Il Giornale” Nino Materi, in un articolo alquanto fuori luogo[3] dopo il rogo di Londra, intitolato “I grattacieli sono i veri monumenti che lasceremo ai nostri posteri”, ha intervistato Molinari riportando le sue credenziali: Luca Molinari, 51 anni, titolare a Milano di uno studio di architettura e docente all’Università Vanvitelli di Napoli, tiene su L’Espresso la rubrica che fu di Bruno Zevi e Massimiliano Fuksas.
… Peppino de Filippo, parlando Totò avrebbe già concluso dicendo: “… e ho detto tutto!”
Nell’inutile intervista, alla domanda: “se, dopo il rogo londinese, dobbiamo avere paura dei grattacieli?”, Molinari ha risposto: «No. I grattacieli, se costruiti nel rispetto delle norme, sono edifici totalmente sicuri».
Mentre, all’affermazione del giornalista: “C’è invece chi ha colto nell’incendio della Grenfell Tower un campanello d’allarme. Come dire: stop allo sviluppo «in altezza» delle metropoli”, la replica è stata: «Il rischio, su questo fronte, è che il tema venga ideologizzato. (…) un’eventuale “guerra” ai grattacieli sarebbe strumentale, oltre che antistorica».
Molinari, alla riflessione “Alcuni sostengono che lo skyline verticale non faccia parte della tradizione italiana, più votata invece a un modello di sviluppo edilizio orizzontale”. Ha replicato: «Io penso esattamente il contrario. Negli ultimi 50 anni le città sono cresciute come volumetria del 60-70 per cento. Capisce bene che dinanzi a una simile espansione l’opzione verticale diventa una scelta obbligata. E poi, anche sul tema della tradizione avrei qualcosa da dire…».
Evidentemente, Molinari pensa che la crescita delle città fosse conseguenza della crescita della popolazione piuttosto che della speculazione!!! Così come finge di non sapere che, nel caso di uno sviluppo verticale degli edifici, lo sviluppo delle superfici pavimentate per realizzare delle opportune strade e parcheggi risulterebbe mostruosamente maggiore di quello necessario per una città tradizionale per l’egual numero di abitanti!
Molinari, a giustificazione della sua posizione, si spinge a fare riferimenti – ancora una volta fuori luogo e ingannevoli – di Storia dell’Urbanistica
«Se lei prende una qualsiasi stampa di una città italiana del Seicento, vede due elementi: un paesaggio fatto di abitazioni in orizzontale e decine e decine di torri in mattoni commissionate dalle famiglie notabili del luogo».
Peccato che Molinari dimentichi che quelle torri, molte delle quali mozzate intenzionalmente, facessero parte di un retaggio altomedievale cui l’epoca dei Comuni, per ragioni politiche e di sicurezza pose fine! Peccato ancora che ignori come la stragrande maggioranza di quelle torri non avesse una funzione residenziale, peccato infine che non si renda conto che quelle torri, nonostante la loro imponenza, fossero ancora dimensionate alla scala umana ed utilizzassero materiali e soluzioni estetiche perfettamente rispettose dei contesti!
Lo stesso giornalista, sorpreso dalle affermazioni di Molinari gli ha quindi chiesto: “Dove vuole arrivare?”
Risposta: «Alla seguente provocazione: quando Brunelleschi progettò la Cupola di Santa Maria del Fiore o Michelangelo disegnò la Cupola di San Pietro, entrambi furono fortemente criticati. Ma oggi quelle opere sono considerate tra i maggiori capolavori artistici rinascimentali».
Siamo alla menzogna più eclatante che si possa immaginare, siamo all’uso strumentale della propria posizione di “esperto” per poter falsificare la realtà in nome della propria ideologia, cosa che un docente universitario non dovrebbe mai fare … soprattutto se, poco prima di questa affermazione, nella stessa intervista abbia messo in guardia dal possibile rischio che il tema possa essere ideologizzato!
Mi chiedo se Molinari sappia che, quando Brunelleschi vinse il concorso per costruire la Cupola di Firenze, esisteva sin dal 1367 un progetto per un progetto per la cupola eseguito da Neri di Fioravante, progetto che, come ricordato da Ross King[4], veniva usato, insieme con la Bibbia, per la cerimonia di giuramento che tutti i “direttori dei lavori” che si susseguivano nella costruzione del Duomo. La cerimonia prevedeva infatti che il nominato, con la Bibbia in mano e l’altra sul modello di Neri, promettesse che avrebbe portato a compimento esattamente quel progetto … e non è un caso se la cupola risulti “gotica” nella sua forma. La grandezza di Brunelleschi fu quella di concepire i complicatissimi strumenti necessari a sollevare i materiali, nonché la ancora più complicata tecnica costruttiva che non necessitava di centine e la doppia calotta! Brunelleschi, in quella impresa sovrumana non solo non venne mai osteggiato dal popolo, come sostenuto dal Molinari, ma addirittura acclamato!
Se mai con questa provocazione di Molinari potevamo pensare che bastasse a trarre le nostre comclusioni, la chiosa è ancora più assurda e fuori luogo.
Alla domanda dell’ormai scandalizzato giornalista: “Vuol paragonare i grattacieli realizzati dalle archistar alle opere di Brunelleschi e Michelangelo?” Molinari risponde: «I grattacieli saranno i veri monumenti che lasceremo ai nostri posteri. Ragion per cui dobbiamo impegnarci a farli il più possibile non solo belli e sicuri, ma anche funzionali».
… Caro Molinari, si guardi intorno. Si renderà conto che il Partenone, il Pantheon, il Colosseo, le Terme di Caracalla, il Duomo di Firenze, San Pietro, ecc. sono lì da secoli, se non da millenni, a differenza di tutti gli edifici figli del consumismo i quali, oltre che cadere a pezzi dopo pochi anni dalla loro ultimazione, risultano dannosi per l’uomo e per l’ambiente, oltre che essere stati causa di una infinità di tracolli economici dei loro promotori e costruttori.
Il mio unico augurio, dopo questa ennesima dimostrazione dell’inutilità e pericolosità di certi “pareri colti”, è quello che i media abbandonino al proprio destino certi personaggi autoreferenziali e, quando si tratti di città, architetture e “sostenibilità”, piuttosto che ascoltare le archistars, inizino ad ascoltare il parere di altri esperti … specie quelli appartenenti a tutte quelle discipline che studiano gli effetti collaterali dell’operato degli architetti!
[1] Andrea Sciascia, Tra le Modernità dell’Architettura – la questione del Quartiere ZEN 2 di Palermo, L’Epos Edizioni, Palermo 2003.
[2] http://wilfingarchitettura.blogspot.it/2010/09/0042-speculazione-dialogo-ailati-con.html#.WUTykVFLeUk
[3] http://www.ilgiornale.it/news/politica/i-grattacieli-sono-i-veri-monumenti-che-lasceremo-ai-nostri-1409866.html
[4] “La cupola del Brunelleschi. La nascita avventurosa di un prodigio dell’architettura e del genio che lo ideò” – BUR Biblioteca Universitaria. Rizzoli, 2009.
.” Negli ultimi 50 anni le città sono cresciute come volumetria del 60-70 per cento. Capisce bene che dinanzi a una simile espansione l’opzione verticale diventa una scelta obbligata.”
Proprio come cerco di spiegare ai miei studenti: se la quantità edificatoria è fissata col “mercato delle vacche” e non in base a criteri di congruenza urbanistica (del contesto attiguo se esistente, di congruenza intrinseca se in ambiti autonomi) la scelta dell’edificio “in altezza” o “a torre” non è più un’opzione tipologico-progettuale, ma un obbligo imposto da quell’incongruenza quantitativa.
Solo che Molinari lo confessa candidamente come se fosse una cosa giusta e normale !
Il grattacielo è la forma della speculazione finanziaria in ambito urbano nella sua massima espressione. Nasce così e per quello, infatti in quanto a redditività non ha eguali tipologici. In generale dunque, la sua forma è disumanizzante, come i rapporti che impone all’interno e all’esterno.