L’insostenibilità dei presunti tetti verdi “sostenibili”

La foto postata ieri da un caro amico e collega su Facebook, ha provocato un nuovo vespaio tra professionisti. La foto, che ritrae i tetti “verdi” del Politecnico di Milano, è accompagnata dalla seguente riflessione: “Ecco il tetto “verde” già esistente sull’aula a fianco alla Nave: quello di Renzo Piano sul lato opposto avrà destino migliore e a quale prezzo di consumo d’acqua?

I prati rinsecchiti sulle coperture del Politecnico di Milano

Effettivamente, ritengo i dubbi del collega più che legittimi! … In questi anni, in più di un’occasione, ho espresso i miei dubbi in materia, specie sui “prati verticali” e “boschi verticali” tanto di moda. Eppure, tra i fondamentalisti dell’erba sugli edifici, esprimere i propri dubbi, equivale al delitto di lesa maestà!

C’è chi, in maniera alquanto discutibile, pretende di equiparare il sistema dei “tetti verdi” posti a mascherare la bruttura e/o migliorare le condizioni termo-igrometriche di tanti edifici dell’ultimo secolo, ai Thatched Cottages che si possono ammirare nel Regno Unito o le Turf Houses Islandesi.

Paragone molto azzardato, se non addirittura ipocrita e fuorviante.

È indubbio che le coperture dei Thatched Cottages aiutino a dare delle prestazioni termiche ottimali in estate e inverno, tuttavia bisognerebbe rendersi conto che esse siano costituite da superfici inclinate – non orizzontali!! – e realizzate con vegetazione secca, come paglia, canne palustri, carice (Cladium mariscus), giunchi, erica o fronde di palma, stratificando la vegetazione in modo da impedire all’acqua piovana di entrare nel tetto. In queste strutture, dato che la maggior parte della vegetazione resta asciutta e densamente imballata – intrappolando al suo interno dell’aria – la copertura funziona anche come un ottimo materiale isolante. Si tratta di un metodo molto antico di copertura, che è stato utilizzato in entrambi i climi tropicali e temperati. Questo sistema è usato anche in diversi Paesi in via di sviluppo, impiegando una vegetazione locale a basso costo mentre, nei Paesi d’origine questa soluzione viene scelta da persone facoltose che desiderano un look rustico per la loro casa o che vogliono un tetto più “ecologically friendly”, oppure semplicemente perché hanno acquistato un’abitazione tradizionale.

Un tipico Thatched cottage a Fullerton nell’Hampshire
Una tipica Turf House islandese

Per quanto riguarda le Turf Houses Islandesi (Case di Torba), invece, esse risalgono all’epoca dei Vichinghi e, diversamente dai Thatched Cottages, impiegano superfici vegetali vive, garantendo le stesse caratteristiche di coibentazione di quelli.

Esteticamente, mettere a confronto queste due tipologie di coperture ai “moderni” tetti verdi è decisamente assurdo, se non addirittura ipocrita! Quando infatti parliamo di Thatched Roof o di Turf Houses, stiamo parlando di sistemi – perfettamente funzionali e testati dal tempo – che appartengono allo splendido mondo dell’artigianato edilizio. Diversamente, nel caso dei moderni “tetti verdi”, parliamo di una soluzione tutta da verificare (visto che la maggior parte di essi sono già rinsecchiti), che serve a migliorare degli edifici appartenenti alla sfera dell’edilizia industriale.

Nel confronto tra le “superfici vive” di una Turf House islandese e di un “tetto verde” realizzabile in Italia, occorrerebbe inoltre un minimo di onestà intellettuale. Chiunque conosca un minimo di botanica sa bene che uno stesso prato possa crescere meravigliosamente a determinate latitudini e morire ad altre … come la nostra. Lo splendore del verde di un prato inglese o irlandese, non è confrontabile con i nostri prati che, per almeno 6 mesi all’anno risultano gialli, marroni o grigi!

Va da sé che non vi possa essere nulla di offensivo nel far notare che, alla nostra latitudine, o sul tetto di un edificio, un prato possa richiedere una quantità di acqua (e di fertilizzante) notevole per poter crescere rigoglioso come appaia sul monitor del computer del bioarchitetto di turno!

Che dire poi dell’inesistente apporto alla falda freatica di una superficie verde posta al 7° piano di un fabbricato?

Ma i nostri “progettisti ecosostenibili”, e soprattutto chi a livello di politiche ambientali fornisce sostegni economici e sgravi fiscali, vanno oltre! Così, ormai da diversi anni, speculando sull’aspetto e sulla funzionalità di quei modelli tradizionali di cui sopra, abbiamo assistito anche all’avvento dei ridicoli “prati verticali”. Certi progettisti sono talmente convinti che, se il rendering a computer gli riporta una immagine “realistica”, quell’immagine è reale! … Indipendentemente dalle leggi della natura!

Qualche anno fa abbiamo assistito alla patetica vicenda della fermata della metropolitana Santa Emerenziana di Roma, il cui progettista aveva pensato di rendere “verde” con un bel prato verticale, tanto di moda, tanto ecologico e tanto radical-chic!

La pateticità di quella storia non risiede tanto nell’assurdità dell’idea di avere un “prato verticale”, quanto nel fatto che, alla vigilia delle elezioni, per ovviare al problema delle superfici ingiallite, il Comune di Roma pensò bene di inviare un omino, munito di irroratore manuale in spalla, a colorare con vernice verde quelle erbacce morte[1]. … davvero molto ecologico!

Il “prato verticale” della stazione metropolitana Santa Emerenziana di Roma ormai ingiallito
Verniciatura del prato verticale morto alla stazione metropolitana Santa Emerenziana di Roma

Certi “sostenitori della eco-sostenibilità” di certe soluzioni sono chiaramente in malafede. Chi finga di non rendersi conto che certe soluzioni risultino dannose, più che ecologiche si comporta scorrettamente … vuoi per ragioni ideologiche o economiche.

Nella rete è possibile trovare soluzioni “bio” che sfociano nel ridicolo. Per esempio è possibile venire a conoscenza del “Co.Bu. Condominio Bucolico”, presentato nel 2011 dalle designer Laura Martini e Alessandra Gruppillo, in occasione del “Green Urbanity” di Milano. Il condominio bucolico[2], si legge, “respirando, dà respiro alla casa ed alla città stabilendo, così, un equilibrio tra il proprio sé e le tendenze ecosostenibili.”

Immagine pubblicitaria del “Condominio Bucolico”

A quanto pare, basta semplicemente saper usare delle paroline magiche come “bio”, “sostenibile”, “ecologico” ecc. e poi, indipendentemente dal fatto che la cosa possa o meno essere vera, e il successo è garantito!

Tuttavia, prima di farsi abbindolare dai nuovi venditori di fumo, basterebbe documentarsi nella rete e capire come certe cose possano funzionare … se funzionano. Immediatamente ci accorgeremmo dell’assoluta anti-ecologicità di certe proposte che, di verde, hanno solo l’aspetto sul monitor del computer!

Il tanto amato prato e/o giardino verticale, per esempio, è un qualcosa che, sebbene possa garantire un miglioramento della coibentazione delle pareti, dall’altro risulta estremamente tossico!

Dettaglio tecnico per la realizzazione di un “Prato verticale”

Determinate soluzioni che sfidano le leggi della natura … per chi l’abbia dimenticato, i prati vivono in orizzontale … necessitano di prodotti chimici non del tutto salutari. Per esempio nella pagina di Tecology® si può leggere come funzioni il “Punto 6”:

“Un nuovo prodotto destinato alla coibentazione degli edifici, mediante una sorta di “cappotto” sulla struttura muraria originale rivestimento architettonico ventilato costituito da un pannello alveolare in polipropilene riciclato modulare che, utilizzando un sistema agronomico industriale brevettato, realizza “il prato in verticale” per rivestimenti architettonici. Il sistema comprende: il pannello contenitore, le sottostrutture in alluminio adattabili a ogni costruzione e un sofisticato impianto di fertirrigazione integrato.”

E già, il sito, in tutta onestà, parla di fertirrigazione e, come Tecology anche le altre aziende del settore, candidamente, ce lo riferiscono… perché quindi ci si ostina a parlare di sostenibilità ed ecologicità?

Negli ultimi tempi si è fatto un gran parlare anche del pluripremiato “Bosco Verticale” di Stefano Boeri a Milano, un’altra soluzione pseudo-sostenibile ad uso dei creduloni radical-chic di tutta Italia.

I grattacieli del cosiddetto Bosco Verticale di Stefano Boeri a Milano

Il solo fatto di ritenere “sostenibile” un grattacielo, per altro nel bel mezzo di un tessuto urbanistico insostenibile, basterebbe a far ritenere questo progetto una immensa presa per i fondelli! Ma ci sono altri aspetti su cui occorrerebbe riflettere.

Un albero, per poter crescere regolarmente, necessita di radici proporzionali alla chioma, qualora quelle radici dovessero soffrire, l’albero ne soffrirebbe … come può garantirsi la lunga vita degli alberi del “Bosco Verticale”?

Albero schiantato al suolo a causa del vento, nonostante la presenza di radici importanti

E poi, da quanto mi risulti, un albero necessita di potatura … chi si prenderà cura degli alberi posti a tutti i piani di edifici di 25 piani?? Forse Boeri pensava al più famoso scalatore del mondo Reinhold Messner?

Ma c’è di più, semplicemente confrontando le immagini di prospetto con le sezioni di progetto delle terrazze del “Bosco Verticale”, possiamo legittimamente immaginare che, con quelle profonde logge schermate da alberature, i residenti dovranno tenere la luce accesa 24 ore su 24 …

Sezione tipo delle logge/balconi del Bosco Verticale di Milano

Non sono affatto contrario al verde in edilizia, semmai ne sono innamorato, ma esso dovrebbe e potrebbe realizzarsi in maniera molto più naturale, duratura e piacevole che non quella che ci viene presentata dai nuovi imbonitori.

Certo, il metodo che immagino ha un solo grave limite, agli occhi della Comunità Europea e di chiunque legiferi in materia di incentivi e sgravi fiscali … è un metodo naturale e non industriale, ergo non crea alcun beneficio a quella lobby edilizia che pilota certe direttive, norme e sovvenzioni per far crescere i propri profitti, sicché nessun Paese incentiva i privati per certe realizzazioni.

Sarebbe il caso che tutti imparassimo a rendercene conto!

Torre verde a Monreale, assolutamente splendida ed ecologica … troppo naturale per fare notizia

[1] http://roma.repubblica.it/cronaca/2013/04/25/news/sant_emerenziana_una_mano_di_vernice_per_le_aiuole_secche-57405073/

[2] http://www.conipiediperterra.com/co-bu-il-condominio-bucolico-che-cambia-aria-in-citta-0608.html

7 pensieri su “L’insostenibilità dei presunti tetti verdi “sostenibili”

  1. Grazie Ettore. Ho imparato qualcosa sui tetti verdi che ho ammirato anche in Normandia. E ho avuito la dimostrata conferma che l’industria dei venditori di fumo è, senza confronti, la più fiorente in Italia. E che se i cosiddetti governanti volessero sul serio azzerare il deficit di bilancio, non avrebbero che da tassare le coglionerie……

  2. Perche devono essere solo gli edifici sostenibili?
    Da domani saro sostenibile anch io, mettero sulla mia testa una pianta di basilico.
    E` molto coerente uscire dal bosco verticale di Boeri con la testa sostenibile.

    1. Non ne avevo dubbi .. le persone serie e intelligenti non necessitano della laurea in architettura per poter discernere.

      Grazie a lei

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