Leggere la città attuale per disegnare quella futura – sequenze urbane di Roma

Prefazione

Le disfunzioni delle nostre città possono essere direttamente imputate agli errori ideologici conseguenti l’impostazione urbanistica del diciannovesimo secolo, poi degenerata nel XX nell’ossessione per la “modernità” vista come un qualcosa di indipendente dal passato.

Nella realizzazione delle città “moderne” infatti, il più grande errore degli urbanisti e architetti è stato quello di fraintendere il concetto stesso di modernità! Essi di fatto, resi “ciechi” dalla loro stessa presunzione, hanno affrontato il problema della “modernità” in maniera ideologica, facendo sì che perdessero di vista il reale obiettivo di “società evoluta”, così come ben definito da Edmund Burke: «Una civiltà sana è quella che mantiene intatti i rapporti col presente, col futuro e col passato. Quando il passato alimenta e sostiene il presente e il futuro, si ha una società evoluta[1]».

Alla luce di quegli errori, se oggi volessimo migliorare le nostre città rendendole più vivibili, non dovremmo pensare di dover reinventare la ruota. Ci basterebbe riuscire a leggere le strutture urbane delle città che abbiamo ereditato per poi, onestamente, cercare di comprendere quali siano state le ragioni del loro successo o insuccesso.

La lettura delle dinamiche di sviluppo, ma anche la comprensione degli “strumenti” e delle strategie adottate dai nostri saggi predecessori, potrebbero guidarci a disegnare nuove realtà urbane e/o riorganizzare quelle disfunzionali generando nuove città vivibili!

  1. Introduzione

Nulla può risultare più chiaro per comprendere le sensazioni di un pedone durante la sua passeggiata per le strade di un centro storico, che le parole di Plinio Marconi: «[…] più che del dettaglio di ciascun edificio in sé, conta l’architettura d’insieme delle strade, assai varie e pittoresche nel casuale comporsi di tanti elementi disparati – crocicchi, androni, sottopassaggi angusti, l’improvviso alzarsi e scorciare di muraglie, i balconi fioriti, le loggette, le altane[2]».

Quando Marconi scriveva quel suo saggio non era solo, e l’Italia non era l’unico Paese dove questo tipo di studi andavano sviluppandosi. Tuttavia, nello stesso periodo altri architetti – sponsorizzati dall’industria automobilistica e del petrolio – inseguivano il sogno della modernità a tutti i costi, privo di etica e poesia. Sfortunatamente, con quel genere di mecenati, il pensiero di questi ultimi ebbe un peso drammatico che portò grandi cambiamenti nel destino del mondo.

Analizzando qualsivoglia operazione urbanistica del XX secolo è possibile verificare quanto l’ossessione per un preordinato “razionalismo”, abbia condotto gli urbanisti ad abbandonare quelle sagge linee guida – fondate sull’esperienza dei bisogni umani e ritagliate ad-hoc in base ai luoghi – che per secoli avevano sovrinteso allo sviluppo armonico delle città. Quelle “linee guida” si erano rese responsabili della creazione del “carattere” dei luoghi e, di conseguenza, anche di quell’attitudine che definiamo “campanilismo”, ovvero l’orgoglio cittadino di rivendicare quanto il proprio “campanile” fosse meglio di quello della città vicina.

Come ho avuto modo di scrivere in alcuni dei miei testi[3], il modello della città tradizionale (la città compatta), venne abbandonato in nome di un modello suburbano (la città dispersa), che ci ha obbligati a subire l’imposizione del sogno visionario descritto da Le Corbusier ne “La Ville Radieuse”: «Le città saranno parte della campagna; io vivrò a 30 miglia dal mio ufficio, in una direzione, sotto alberi di pino; la mia segretaria vivrà anch’essa a 30 miglia dall’ufficio, ma in direzione opposta e sotto altri alberi di pino. Noi avremo la nostra automobile. Dobbiamo usarla fino a stancarla, consumando strada, superfici e ingranaggi, consumando olio e benzina. Tutto ciò che serve per una grande mole di lavoro … sufficiente per tutti[4]».

Alcuni anni fa, in linea diametralmente opposta a quella visione James Howard Kunstler – autore di The Geography of Nowhere (1993), The City in Mind (2001) e The Long Emergency (2005) –  ha tuonato contro i limiti di quel modello che stiamo imitando: «assenza di spazi pubblici decenti; estrema separazione degli usi; svantaggi per bambini e anziani che non guidano, ecc.» facendo notare come: «La disposizione abitativa meno naturale e normativa è l’espansione selvaggia, nata negli Stati Uniti, che cominciarono il ventesimo secolo con delle grasse riserve di petrolio in casa. Oggi dipendiamo disperatamente per più di metà del petrolio che utilizziamo da nazioni che ci odiano. L’epoca dell’espansione a macchia d’olio come alternativa credibile è agli sgoccioli […][5]».

È bene far notare che quel “dramma urbano”, così ben descritto da Kunstler, non è un qualcosa di limitato agli U.S.A.! Esso affligge infatti tutti i Paesi occidentali, e ora anche i cosiddetti “Paesi emergenti”, che sembrano esser divenuti i territori ove testare – senza che i cittadini ne siano messi al corrente – nuove “forme urbane” figlie dell’ideologia dominante.

Se i dati riportati in “The Long Emergency[6] sono reali – si noti che, dal 2005, nessuno è stato in grado di confutarli – dobbiamo riconoscere che abbiamo urgentissimo bisogno di provvedere al ricompattamento delle nostre città espanse a macchia d’olio.

In quest’ottica può risultare molto utile lo studio di diversi quartieri, sia centrali che periferici, cercando di comprenderne le dinamiche e la funzionalità. Questo genere di analisi, è stato dimostrato, può fornire i giusti suggerimenti per una possibile riconfigurazione delle nostre città … ma quali sono gli aspetti cruciali da indagare all’interno di una struttura urbana?

Ovviamente sono moltissimi e la cosa richiederebbe un intero libro, ragion per cui in questa sede possiamo semplicemente limitarci a descrivere l’importanza di alcuni elementi che uno studio del tessuto urbano di Roma può mostrarci, per esempio la costante presenza dell’effetto sorpresa, dei riferimenti visivi, delle piazze e tutti quegli elementi tipici ovunque presenti nelle città storiche: le reti che accomunano quegli elementi possono definirsi sequenze urbane.

Queste sequenze urbane possono suddividersi gerarchicamente in sequenze urbane principali – quelle lungo le quali si dispongono le strade e piazze principali – e sequenze urbane secondarie – quelle prevalentemente usate come scorciatoie pedonali, lungo le quali troviamo piazzette e corti.

In tutti e due i casi le piazze e i riferimenti visivi fanno da cerniera, attirando e re-indirizzando lo sguardo di chi passeggi. Queste cerniere battono il tempo e ritmano la nostra passeggiata.

Sono queste sequenze che rendono le città piacevoli e varie. … la possibilità di poter scegliere tra le diversi percorsi pedonali, così come la presenza di diverse attività, invitano la gente a muoversi attraverso i centri abitati senza necessitare di automobili. Gli effetti positivi della città pedonale sono fin troppo ovvi per doverli elencare in questa sede.

Restando in tema di percorsi alternativi e diversificati, viene utile ricordare le parole di Richard Sennet circa la griglia ortogonale urbana, ritenuta «la prima manifestazione di una forma particolarmente moderna di repressione che nega il valore degli altri e dei luoghi specificatamente addetti alla costruzione della banalità quotidiana[7]».

Alla luce di quanto sopra appare dunque chiara la necessità, oggi, di riaffermare il valore della continuità tra case, strade e piazze, ovvero tra i luoghi deputati agli aspetti privati della vita di ogni giorno e quelli destinati ad un ambito di relazioni allargate: i nuovi quartieri (ma anche la riqualificazione di quelli esistenti) dovrebbero intendersi come degli spazi compositi in cui le case, e/o gli edifici speciali, sono solo un elemento della composizione urbanistica, importante ma non sufficiente a soddisfare le necessità di incontro e relazioni sociali!

La conoscenza della struttura e delle dinamiche della città storica ci consente di pianificare nuove città altrettanto piacevoli e di successo.

  1. La lettura dei diversi tessuti urbani di Roma

Quella che segue è una breve descrizione del tessuto urbano di Roma così come è possibile percepirlo durante una passeggiata ideale che, dal centro della città, ci guida verso la periferia. Le sensazioni lungo le strade e piazze di questo percorso ci consentono di riconoscere almeno quattro diverse “città di Roma”, identificandone valori e limiti.

 

  1. (La città Compatta) “La Città Storica e il suo tessuto urbano” – Sequenze urbane all’interno del centro storico della città.

 

Roma, vista satellitare di una porzione del Campo Marzio
Roma, evidenziazione della rete di sequenze urbane che, da Nord ed Est, convergono in Piazza della Rotonda

Questa parte della città è caratterizzata da un tessuto compatto, apparentemente irregolare – ma dotato della sua logica razionale – nel quale possiamo riconoscere diversi sistemi e sottosistemi (sequenze urbane), costituiti di strade, vicoli, piazze, piazzette e slarghi. Qui, la commistione di funzioni è la regola; edifici “nobili” sono giustapposti all’edilizia “minore”, creando una armoniosa corrispondenza biunivoca. In questa città, la res publica (quegli edifici e luoghi pubblici e/o monumentali o speciali) risulta meravigliosamente mescolata res economica (quegli edifici residenziali privati a destinazione mista), generando la civitas (la Città). La progressione di strade, eccettuati alcuni assi lineari, presenta un andamento curvilineo leggero – o accentuato – che, anche nel caso di stretti vicoli, consente l’opportunità di godere della vista delle facciate degli edifici, questi ultimi spesso posizionati in modo da svolgere il ruolo di “terminale visivo” ovvero di “punto di riferimento”. … questa caratteristica è un qualcosa che sottolinea come molti di questi spazi, che le nostre “moderne menti razionali” intendono come “accidentali”, risultino invece razionalmente calcolati da parte dei loro saggi autori!

Questa passeggiata non solo mostra le diverse alternative per giungere nella piazza principale, ma evidenzia altresì come, praticamente in tutti i casi, non vi sia mai un asse diretto al centro della facciata dell’edificio principale: la sua vista di scorcio sembra essere sempre privilegiata, in quanto molto più stimolante della ovvia visione frontale, tipica dell’urbanistica post-illuminista ossessionata dalla prospettiva centrale. La possibilità di intravedere un “monumento” tra molte altre cose consente ad esso di essere incorniciato nel suo contesto, da qualsiasi direzione lo si approcci. Un caso emblematico è quello di Piazza della Rotonda, dove nessuna delle nove strade che vi entrano converge al centro del Pantheon!

Analizzando la vita sociale della rete di spazi interni al centro storico, ci rendiamo conto della presenza di decine di attività differenti che si svolgono contemporaneamente: dai bimbi che giocano agli anziani che chiacchierano in gruppo, dai residenti che fanno shopping ai intenti ad ammirare lo spazio pubblico. I molti tavoli di bar e ristoranti, disposti lungo le strade e piazze, amplificano queste attività, garantendo con la loro presenza quel ruolo di “sorveglianza spontanea” (per dirla con Jane Jacobs[8]), tanto importante per mantenere questi luoghi sicuri!

Ma c’è qualcosa in più che merita attenzione, un ultimo importante aspetto che possiamo sperimentare in questa parte della città: passeggiando per queste strade possiamo renderci conto di come, indipendentemente dal tempo e dalla distanza coperta, non proviamo stanchezza!

Infatti, passeggiando attraverso questi spazi – così vari ed attraenti – i nostri sensi risultano quasi tutti “stimolati”, specie la vista, e questo genere di piacevoli distrazioni ci dà energia. Più risultiamo stimolati a guardare qualcosa che riusciamo inizialmente solo ad intravvedere, più siamo portati a raggiungerla e, sempre, una volta raggiunta, lo scorcio di un altro traguardo visivo ci inviterà a proseguire il nostro cammino … e così via!

Quello che segue è un esempio di studio grafico (Passeggiando a Roma da Piazza Montecitorio a Piazza della Rotonda), disegnato da René Salas, un ottimo graduate student che ho avuto un paio di anni fa nel Master in Urban Design presso la University of Notre Dame.

Pianta della sequenza urbana da Piazza Montecitorio a Piazza della Rotonda – Le frecce evidenziano i riferimenti visivi che attraggono e riorientano il pedone
Questa vista prospettica mostra come, entrando in Piazza Montecitorio, la nostra attenzione venga subito attratta dall’obelisco (posizionato in modo da creare una separazione ideale tra le due porzioni rettangolari della piazza a “T”), per poi essere attratta dalla presenza della cupola della chiesa di Santa Maria in Aquiro.
Questa seconda vista prospettica mostra come, nel momento in cui la cupola di Santa Maria in Aquiro non risulti più visibile, appaiano davanti a noi la torre campanaria della Chiesa e lo scorcio della piazza che ci invitano a proseguire in quella direzione.
Una volta giunti in Piazza Capranica, la Chiesa è alle nostre spalle. Notiamo subito che la piazza ha una forma “quasi” rettangolare, perché due suoi lati risultano leggermente inclinati, creando una sorta di “imbuto” che ci guida all’interno della stradina che ci appare come l’asse principale della piazza (la presenza dei negozi lungo questa stradina ci conferma il suo valore gerarchico nel sistema di strade).
Mentre siamo ancora in piazza, subito prima di entrare nella stradina, la nostra vista viene attratta dalla scorcio di un angolo del pronao del Pantheon, incorniciato dai volumi degli edifici che fiancheggiano la stradina: siamo invitati a proseguire in quella direzione.
In fine, al termine della stradina, possiamo apprezzare, in una visione diagonale, la grandiosa presenza del Pantheon!
Sequenza Urbana da Piazza di Pietra a Piazza della Rotonda
  1. (La Città a Griglia Ortogonale) “La Città post-unitaria e il suo tessuto urbano” – Sequenze urbane all’interno dei recenti quartieri sviluppati dopo l’Unità d’Italia: i cosiddetti quartieri di “rimprovero e insegnamento per la vecchia Roma” – il caso dell’Esquilino
Roma, vista satellitare dell’area compresa tra Quirinale e Esquilino sviluppata dopo l’Unità d’Italia
Roma, evidenziazione della “sequenza urbana” che da Piazza della Repubblica a Piazza Vittorio Emanuele II

In questi quartieri il tessuto urbano è organizzato – per zone legate ai proprietari originari – secondo il modello della griglia urbana ortogonale. Nonostante l’apparente regolarità dei tessuti, le maglie urbane – a causa del sistema speculativo in base al quale si sono sviluppate[9] – risultano mal collegate sia al centro storico che tra di loro. Si ricorda che i quartieri della “Nuova Capitale”, realizzati come sfida a Roma antica e basati sull’approccio urbanistico Beaux-Arts, vennero definiti di “di rimprovero e insegnamento” nei confronti della vecchia Roma, caratterizzata, da “viuzze strette e lerce[10]”. Nella Roma post-unitaria le strade appaiono molto larghe e rigidamente rettilinee, mentre le rare piazze, dovendo risultare “proporzionate” a quelle strade, ci appaiono sovradimensionate e molto distanti dalla “scala umana”. Le “piazze” di questi quartieri, diversamente dal centro storico, mostrano nella totalità dei casi come il loro centro risulti attraversato da un asse. Lungo le strade, le facciate degli edifici diventano monotone: indipendentemente dal numero di edifici al loro interno, esse tendono a coincidere con l’intero isolato, perdendo così quel ritmo e quella varietà riscontrabili nel centro storico. Ciononostante, l’architettura resta ricca e, talvolta, piacevole; le strade mantengono una certa vitalità grazie alla presenza di edifici multifunzionali dotati di negozi lungo i marciapiedi. … Tuttavia questa Roma, che ha perduto l’effetto sorpresa in nome dell’ordine e dell’uniformità – ergo le viste di scorcio dei riferimenti visivi che cambiano di continuo – presenta delle passeggiate noiose e stanchevoli, sebbene ancora possibili.

Le piazza dei quartieri Ottocenteschi risultano quasi indipendenti dal resto della città; Esse sembrano non appartenere ad un sistema interconnesso di spazi, né ci appaiono “protette” dalla circolazione veicolare, come invece dovrebbero risultare su almeno un lato. Semmai, esse si mostrano come spazi autosufficienti, senz’altro utili per la vita degli edifici circostanti. Il fatto di non appartenere ad una “sequenza urbana” che inviti al passeggio rappresenta un limite.

Sequenza Urbana da Piazza della Repubblica a Piazza Vittorio Emanuele II
  1. (La Città delle “Corti” – Scorciatoie attraverso i blocchi della “Città Ortogonale”) “La Città del primo Novecento e il suo tessuto urbano” – Sequenze Urbane all’interno della città sviluppata all’inizio del XX secolo: “Il tentativo di riconciliazione con gli spazi urbani nella città tra il 1900 e il 1925” – Il Quartiere “Trionfale” e i suoi blocchi a corte.
Roma, Vista satellitare parziale del Quartiere Trionfale
Roma, evidenziazione della rete di sequenze attraverso i blocchi a corte del Quartiere Trionfale

Anche questa parte di città è caratterizzata da un tessuto urbano organizzato secondo il principio della griglia urbana ortogonale. Anche qui, infatti, i grandi assi tipici del tessuto urbanistico del XIX secolo continuano a dominare la scena. La larghezza delle strade ha quasi del tutto perso il corretto rapporto proporzionale con l’altezza degli edifici circostanti.

A causa della necessità di recuperare la giusta relazione tra larghezza delle strade e altezza degli edifici, le strade sono quasi costantemente caratterizzate da alberature sui marciapiedi.

Se da un lato questa soluzione possa risolvere quel problema dall’altro, considerando che le facciate risultano nascoste dietro gli alberi, fa sì che esse perdano qualsiasi valore di riferimento per la città e, ovviamente, per il pedone.

Quando si passeggia per questi quartieri, diviene praticamente impossibile ritrovare qualsiasi idea di suddivisione gerarchica tra le strade. Nonostante questo, la Roma premoderna rappresenta l’ultimo modello di città che – perlomeno al livello architettonico – cerca di mantenere una relazione diretta con la città storica. In molti di questi quartieri, nonostante la perdita del corretto rapporto tra l’altezza degli edifici e la larghezza delle strade, e nonostante la monotonia delle visuali – concepite più per un veloce traffico veicolare, che per un lento e piacevole passeggio – gli edifici continuano a mantenere la presenza al pianterreno di negozi ed altre attività vitali. La presenza di queste attività assicura quella “spontanea sorveglianza” così importante per i pedoni e che di lì a poco, con lo zoning, è andata scomparendo.

In questi quartieri ci sono rari esempi di piazze (più che altro “larghi”), enormi e indipendenti dalla rete degli spazi pubblici. Queste “piazze” non appaiono minimamente “protette” dal traffico veicolare che le circonda: esse sono concepite come delle rotatorie. Tuttavia questi quartieri sono provvisti di tutti gli spazi per le attività sociali all’interno dei isolati urbani: questi sono infatti organizzati in una fantastica rete di corti verdi pedonali, dove è possibile trovare campi di gioco per i bambini, panchine e tavoli per gli anziani e, ovviamente, delle alternative pedonali alle strade del quartiere.

Una peculiarità di questi quartieri riguarda gli androni di accesso alle scale e agli appartamenti, che risultano disposti quasi esclusivamente nelle corti, privilegiando un uso commerciale e/o artigianale dei fronti su strada.

Scorciatoie pedonali attraverso le corti dell’ex quartiere popolare Trionfale a Rome
  1. (La Città Visionaria) “La Città Modernista e il suo tessuto urbano” – Sequenza Urbana all’interno del quartiere EUR, iniziato nel 1939 e completato dopo la Seconda Guerra Mondiale: “la città metafisica delle auto” – L’E.U.R
Roma, l’area dell’EUR
“Sequenza urbana” lungo l’asse principale della via Cristoforo Colombo

Possiamo adottare la definizione di “città visionaria” esclusivamente per la porzione del quartiere EUR ove la logica generale del piano regolatore, così come gli intenti originari – (un progetto dimostrativo temporaneo) – risultano ancora leggibili.

Che lo si voglia o meno credere, anche in questo caso è possibile trovare una gerarchia tra le strade, sebbene essa risulti assolutamente indipendente da qualsivoglia idea di scala umana: l’asse principale del quartiere, via Cristoforo Colombo, con i suoi 100 metri di larghezza, risulta estremamente largo se rapportato all’altezza degli edifici che la fiancheggiano. Via Cristoforo Colombo è disegnata per le automobili … a nessun uomo sano di mente passerebbe per la testa l’idea di passeggiare al centro strada, sperando di godere dei “riferimenti visivi” (leggibili solo nella pianta di progetto). Quegli elementi risultano estremamente distanti tra loro e privati di ogni possibile “cornice costruita”: per questo motivo, nonostante la loro dimensione, essi si dissolvono nello spazio!

Non è un caso se l’EUR, concepito “a dimensione di automobile” e lasciato incompleto fino al secondo dopoguerra, sia stato promosso e completato – dopo il crollo del fascismo – da parte della FIAT.

La struttura urbana di questo “quartiere”, pur mostrando una grande coerenza nei suoi edifici Razionalisti, si configura come un modello di città molto distante dai bisogni umani: sembra scaturire da una pittura metafisica di De Chirico, i cui spazi vuoti provocano agorafobia piuttosto che attirare e favorire la socializzazione delle persone!

Un altro carattere peculiare di questo quartiere – pianificato per le automobili e basato sul concetto di zoning – è rappresentato dall’assenza di attività sociali ed economiche lungo l’asse e le “piazze” principali.

Qui infatti, non si incontrano negozi, bar, ristoranti e zone “protette” dal traffico ove poter passeggiare in sicurezza e incontrare altra gente: gli unici “negozi” sono rappresentati dai molti distributori di benzina lungo le complanari … a conferma che ci troviamo in una sorta di luogo suburbano dove risulta più logico guidare un’automobile che passeggiare!

Un altro triste aspetto di questa parte della città riguarda i suoi edifici, (specie i più recenti) concepiti in modo che non definiscano più le strade: i loro prospetti, infatti, risultano separati dagli inutili marciapiedi e confinati all’interno di orribili recinzioni.

Questo genere di città non aiuta certamente ad integrare la gente e farla socializzare, semmai serve ad isolare gli individui e promuovere l’insicurezza!

Sequenza lungo la Via Cristoforo Colombo all’interno del quartiere E.U.R.
  1. Conclusioni

Ci sarebbero almeno altre due diverse città di Roma da descrivere, entrambe appartenenti alla categoria della cosiddetta “Roma dei palazzinari”. La prima realizzata nel secondo dopoguerra e la seconda, (peggiore di quella), sviluppatasi a seguito dell’approvazione del Piano Regolatore Generale del 1962 e dei successivi Piani di Edilizia Economica e Popolare … tuttavia, considerando che l’unica lezione che ci trasmettono è un modello “urbano” da non ripetere mai più, non penso meritino di essere descritte in questa sede!

Riassumendo quindi, una lettura del tessuto dei diversi quartieri ci viene utile per poter comprendere tutti i vantaggi e/o svantaggi dei diversi modelli di città. La conoscenza di questi vantaggi può suggerire le possibili soluzioni per riorganizzare tutte quelle zone dove risulti irriconoscibile la sola idea di città.

L’analisi di un centro storico ci aiuta a comprendere l’importanza di aspetti come l’effetto sorpresa; i riferimenti visivi; il ritmo di una passeggiata – battuto dal susseguirsi di spazi pubblici (rete di piazze); la varietà e articolazione delle facciate – che si susseguono l’un l’altra lungo i fronti urbani – che crea un senso di unità privo di uniformità degli edifici; la commistione di funzioni, ecc. Tutti questi aspetti possono riportarsi all’interno di un sistema complesso che possiamo definire “sequenza urbana

Possiamo suddividere gerarchicamente queste sequenze in:

  • Sequenze Urbane Principali – quelle lungo le quali troviamo le strade e piazza principali.
  • Sequenze Urbane Secondarie – quelle lungo cui si dispongono i percorsi pedonali secondari che fanno uso di modeste piazzette e corti.

Lungo le sequenze urbane principali troviamo generalmente negozi al dettaglio, mentre lungo le sequenze urbane secondarie troviamo le botteghe artigiane, le autorimesse, gli accessi privati e le pareti cieche, o impermeabili, al pianterreno.

In entrambe i casi, queste sequenze urbane usano gli spazi pubblici come cerniere, in grado di attirare e riorientare chi passeggi. L’esistenza di queste sequenze spiega il perché le piazze storiche funzionino meglio rispetto alle piazze dei quartieri più recenti, poiché queste ultime risultano concepite in maniera indipendente rispetto all’idea di una rete pedonale.

Le moderne “piazze”, infatti, risultano spesso sovradimensionate e concepite in maniera indipendente e autosufficiente, poiché esse non appartengono a un più complesso sistema interconnesso di spazi pubblici, ragion per cui, non offrono mai lo stesso piacevole senso di benvenuto che un pedone percepisce in una piazza storica centrale. Conseguentemente, esse non generano vita all’interno del quartiere.

 

[1] Langford P., The Writings and Speeches of Edmund Burke, Oxford, Clarendon Press 1981

[2] Plinio Marconi, saggio intitolato L’Architettura rustica nell’Isola di Capri, in “Le Madie”, pubblicazione mensile d’Arti Paesane, n°2, Dicembre 1923, pag. 22.

[3] Mazzola E. M., Architettura e Urbanistica, Istruzioni per l’Uso – Architecture and Town Planning, Operation Instructions, (prefazione di Léon Krier), Gangemi Edizioni, Roma 2006; Mazzola E. M., Toward Sustainable Architecture – Verso un’Architettura Sostenibile, (prefazione di Paolo Portoghesi), Gangemi Edizioni, Roma 2007. Mazzola E. M., The Sustainable City is Possible – La Città Sostenibile è Possibile, (prefazione di Paolo Marconi), Gangemi Edizioni, Roma 2010.

[4] Le Corbusier, La Ville Radieuse, Éditions de l’Architecture d’Aujourd’hui, Collection de l’équipement de la civilisation machiniste, Boulogne-sur-Seine, 1935.

[5] Caos nelle città. Architettura, Modernismo e Crisi del Petrolio. Intervista di Robert Looby a James Kunstler traduzione di Silvia Andriolo pubblicata da Three Monkeys Online

[6] The Long Emergency – Surviving the End of the Oil Age, Climate Change, and Other Converging Catastrophes of the Twenty-first Century, di James Howard Kunstler, 2005, Atlantic Monthly Press. Versione italiana: Collasso – Sopravvivere alle attuali guerre e catastrofi in attesa di un inevitabile ritorno al passato, di James Howard Kunstler, 2005, Edizioni Nuovi Mondi Media.

[7] Richard Sennet, American cities: the grid plan and the protestant ethic, International Social Science Journal; XLII, 3, 1990.

[8] Jane Jacobs, The Death and Life of Great American Cities, Tradotto e pubblicato in Italia nel 1969 a cura di Einaudi

[9] Questi quartieri si sono sviluppati secondo il sistema della “convenzione”, molto ben descritto da Italo Insolera in Roma – Immagini e realtà dal X al XX secolo, Laterza Edizioni, Roma-Bari 1980, pag. 367: «la convenzione è un contratto tra il proprietario di un terreno e il Comune. Il proprietario si impegna a cedere al Comune ad un prezzo modesto le superfici stradali (generalmente secondo un tracciato fatto dal proprietario stesso) – quindi ridotte al minimo indispensabile per la sola circolazione [questo commento è mio] – e raramente qualche area per i pubblici servizi (scuola, mercato, ecc.); il Comune si impegna a costruire le fogne, l’acquedotto, le condutture del gas, i marciapiedi, il selciato, la pubblica illuminazione, le fontanelle e i tombini per l’innaffiamento e si impegna alla manutenzione permanente di tutto ciò (oppure il Comune incarica, sempre a proprie spese – abbondantemente anticipate – lo stesso proprietario di realizzare queste opere). Il Comune infine autorizza la costruzione dei lotti risultanti dal tracciamento delle vie, secondo il progetto presentato dal proprietario, raramente con qualche modificazione».

[10] Giovanni Faldella, Roma Borghese, Roma 1882 Op. cit.

4 pensieri su “Leggere la città attuale per disegnare quella futura – sequenze urbane di Roma

  1. Certo gran parte dei progettisti su larga scala e gli architetti e urbanisti, negli anni ’30 trovarono un mondo così come la grande crisi del ’29 lo aveva consegnato e che stava veleggiando verso la più immane catastrofe mai prodotta nella storia : la Seconda Guerra Mondiale. E certo non a causa loro. Piuttosto le Courbusier and C. si stavano adeguando al modello capitalistico del Taylorismo e del Fordismo, come d’altronde tutte le Nazioni compreso il capitalismo di Stato dell’U.R.S.S. Insomma si ragionava in grande e infatti i più grossi vinsero la partita. Ma caddero anche tutti i veli dell’ipocrisia del patriottismo, che come noto è l’ultimo rifugio delle canaglie.
    Per tornare a noi, gli architetti possono fare ben poco per modificare l’andazzo generale di un modello economico-sociale purtroppo, ma almeno possono non rendersi complici e visto che dopo quarant’anni di modello liberista, nato proprio in quegli anni ad opera di geni come Von Mises e Van Hayek, sarebbe pure ora di darsi da fare, come anche tu fai, e di proporre un’alternativa innanzitutto di tipo economico e sociale in cui urbanistica e architettura c’entrano e molto.

  2. Questo è un ottimo articolo. È quello che mi ha spinto, alcuni giorni fa, a mettere il suo blog tra i miei bookmarks. Le sue osservazioni, che condivido pienamente, sono molto acute e spingono il lettore a divenire parte attiva nel processo immaginativo da lei descritto.
    Non saremo d’accordo sulla questione stadio, ma un assessore all’urbanistica come lei porterebbe degli ottimi cambiamenti alla città.

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