La vicenda dell’edificio di via Ticino 3 di cui avevo dato notizia qualche settimana fa si arricchisce di molte novità … ma soprattutto di uno scoop che non potrà essere ignorato!
Per chi ancora non conoscesse il caso, si tratta di un progetto, a firma dell’arch. Ridolfi, Presidente dell’Ordine degli Architetti, Paesaggisti e Restauratori della Provincia di Roma, già membro (dal 2008 – 2013) del Comitato per la Qualità Urbana ed Edilizia di Roma Capitale (Co.Q.U.E.); il progetto andrà a sostituire un edificio dei primi del Novecento, posto a ridosso del prestigioso Quartiere Coppedé.
Per la comprensione di ciò che si dirà di seguito, si ricorda che i promotori del progetto hanno da sempre sostenuto che l’edificio attuale risultasse esser stato costruito negli anni ’50 del Novecento. Infatti, i responsabili degli uffici tecnici e della Soprintendenza che hanno dovuto esprimere un parere per poter rilasciare il permesso per costruire, ai sensi di questa datazione hanno ritenuto che, secondo la normativa vigente, non vi fossero le condizioni per la cosiddetta “presunzione del vincolo” che ne impedirebbe la demolizione e sostituzione.
In realtà, progettista, promotori e tecnici d’ufficio incaricati, hanno fatto appello alla discutibile scelta della precedente normativa, la quale aveva portato a 70 anni l’età per la quale un edificio potesse ritenersi vincolabile … essi hanno infatti dimenticato che, tra le novità apportate al Codice dei Beni Culturali sulla presunzione di vincolo[1], il Codice degli Appalti (Dlgs 50/2016) prevede una misura che riporta a 50 anni la soglia per considerare vincolato un bene immobile pubblico (anche in assenza di puntuale provvedimento di vincolo).
Nella norma si specifica inoltre che la cosa riguarda anche gli immobili privati. Infatti, si chiarisce che il Soprintendente, una volta studiato il caso specifico, può avviare la procedura di vincolo! … C’è quindi da chiedersi come possa essere possibile che, già nel 2014, nonostante la collocazione dell’edificio, la Soprintendenza non fece le dovute ricerche e, conseguentemente, non ritenne di dover apporre il vincolo!
La norma attuale chiarisce che gli immobili di proprietà privata sono considerati beni culturali quando interviene un espresso provvedimento di vincolo. Mentre fanno eccezione quelli di proprietà di soggetti pubblici privatizzati, opera di autore non più vivente e realizzati da oltre 70, ovvero 50 anni (si veda sopra), per i quali vale la presunzione di culturalità. … anche in questo caso, l’edificio di vi Ticino fa da cornice al bellissimo villino (vincolato!!) dove viveva Beneamino Gigli.
Ebbene, per evitare errori procedurali, la ricerca non richiedeva grandi sforzi … semmai bastava saper dove cercare … e pensare che noi architetti siamo obbligati a fare inutili corsi per l’aggiornamento formativo permanente che dovrebbero aiutarci a far bene il nostro mestiere, quando basterebbe conoscere le cose da fare che già abbiamo imparato da studenti!
In ogni modo questa mattina, in poche ore, il prezioso Andrea Iezzi è stato in grado di fare ciò che, chi avrebbe dovuto documentarsi ed approvare, avrebbe dovuto fare.
Come avevo suggerito infatti, una semplice visita all’Archivio Storico Capitolino, ha consentito di estrarre e fotografare il progetto originario, elaborato nel 1930 dall’ing. Ugo Gennari per conto del conte Gerolamo Naselli e terminato di costruire nel 1931. Successivamente, l’edificio è passato alla Congregazione delle suore “Ancelle Concezioniste del Divin Cuore” ed ha subito una sopraelevazione negli anni ’50. Questa modifica, pur alterandolo, non ha snaturato l’immobile originario, né ha danneggiato l’adiacente Villino Gigli.
Ironia della sorte, come oggi lo è Ridolfi, nel 1945 l’ing. Ugo Gennari, agli albori dell’esistenza dell’Ordine degli Architetti di Roma ne è stato il Presidente[2] …
Ebbene, prima ancora di avere questa certezza avuta solo nella tarda mattinata di oggi (venerdì 13 per gli scaramentici!), lo scorso 10 ottobre 2017, Italia Nostra aveva proceduto ad avviare un esposto presso la Procura della Repubblica nel quale, tra le ragioni elencate si ricordava che:
«[…] L’immobile in parola, pur essendo stato interessato da successivi interventi di sopraelevazione, presenta elementi di decoro e riferimenti formali tipici dell’architettura degli anni ’30 del secolo scorso.
Tale immobile, appartenuto ad un ente ecclesiastico – la Congregazione delle suore “le Ancelle Concezioniste del Divin Cuore” – risulta oggi di proprietà della società NS Costruzioni Srl.
L’attuale proprietà sta pubblicizzando la vendita di soluzioni abitative di lusso che dovrebbero sorgere dove attualmente sorge il bene di cui sopra.
Risulterebbe, infatti, il progetto di demolizione del manufatto esistente e la sua sostituzione con una palazzina residenziale di moderna concezione, con una volumetria complessiva fuori terra di 3.200 MC, per un totale di n. 7 appartamenti, n. 15 box auto e n. 7 cantine (v. foto allegata).
Dal rendering del progetto non può che evincersi l’assoluta estraneità del nuovo e previsto edificato con il contesto storico-architettonico esistente: la demolizione non solo distruggerebbe un bene perfettamente conservato e di indubbio rilievo artistico-architettonico ex se, ma creerebbe un vulnus irreparabile a tutta l’armonia ed unicità del quartiere “Coppedè”.
La scrivente associazione non può che sollevare profondi dubbi, innanzitutto, sulla “superficiale” ed inspiegabile scelta con la quale il Comune di Roma, anche per il tramite della propria Commissione Edilizia, sembra abbia autorizzato il progetto de quo. Ciò soprattutto se tiene conto che nel PRG del 2008 l’edificio ricade nei Tessuti di espansione otto-novecentesca a lottizzazione edilizia puntiforme – Tessuto 5 (T5) della città storica, in cui sono ammessi i soli interventi edilizi finalizzati al miglioramento della qualità architettonica, anche in rapporto al contesto, e/o all’adeguamento funzionale degli edifici. Il progetto in questione, stravolgendo e compromettendo definitivamente l’unità architettonica del quartiere, non può certamente rientrare tra gli interventi autorizzabili di miglioramento ed adeguamento funzionale!
Sotto altro profilo, altrettanto inspiegabile e censurabile è il fatto che, ad oggi, l’immobile in parola non risulti sottoposto a tutela specifica da parte della Soprintendenza di settore. Sul punto, si rileva in primo luogo che l’immobile, appartenuto in precedenza ad un ente ecclesiastico, parificato al fine della tutela agli enti pubblici, avrebbe dovuto essere assoggettato, ai sensi dell’art. 10, c. 1, D.Lgs. 42/2004, alle disposizioni di salvaguardia del Codice fino al momento della verifica di interesse culturale ai sensi degli artt. 12 e ss., con conseguente impossibilità di compiere interventi modificativi e, a maggior ragione, demolitivi.
In ogni caso, quanto alla verifica dell’interesse culturale – che sembrerebbe essere stata compiuta, con esito negativo, solo nel 2014 – non può sottacersi la stupefacente decisione della Soprintendenza di privare di tutela un bene (la cui esecuzione risale ad oltre 70 anni fa) che, per quanto detto in precedenza, presenta sicuro interesse storico – artistico ex se ed anche quale elemento che contribuisce a caratterizzare l’unicità del contesto nel quale è inserito».
Alla luce delle cose dette, dunque, l’esposto chiedeva:
«che l’intestata Procura della Repubblica di Roma Voglia accertare e valutare se nei fatti, atti e comportamenti sopra riportati siano rinvenibili fattispecie penalmente rilevanti procedendo, in caso affermativo, nei confronti dei soggetti responsabili. Con espressa riserva di costituirsi parte civile nell’eventuale successivo procedimento penale.
Chiede inoltre che Voglia valutare l’opportunità di promuovere ogni misura necessaria ad impedire la definitiva alterazione del bene e dell’intero quartiere Coppedè, anche attraverso il sequestro del sito e del manufatto da demolire.
Chiede di essere personalmente sentito ed inoltre, ai sensi dell’art. 406, comma 3 c.p.p., di essere informato dell’eventuale richiesta di proroga delle indagini preliminari, nonché, ai sensi dell’art. 408, comma 2 c.p.p., circa l’eventuale richiesta di archiviazione.
Chiede infine, ai sensi dell’art. 335 c.p.p., che le vengano comunicate le iscrizioni previste dai primi due commi del medesimo articolo».
Per concludere, segnalo che questa mattina, in occasione della manifestazione organizzata in via Ticino da Italia Nostra, dal Comitato dei Cittadini del quartiere e dall’Associazione Info.Roma, alla quale è intervenuta anche una troupe di RAI 3 Regione guidata dalla giornalista Rossana Livolsi, il Presidente Nazionale di Italia Nostra, Oreste Rutigliano, ha comunicato l’esito dell’incontro con i responsabili del II Municipio di Roma, i quali si sono già attivati per verificare se possano esserci le condizioni per l’istituzione del vincolo. Sempre durante la manifestazione di oggi, la rappresentante della Sezione Romana di Italia Nostra Mirella Belvisi – che sta seguendo la situazione legale dei permessi – ha informato i presenti del fatto che le è stato comunicato che, qualora si ravvisasse la falsità delle dichiarazioni che hanno consentito l’ottenimento del permesso di costruzione, il cantiere già avviato verrebbe immediatamente chiuso e posto sotto sigilli!
Bene, il dado è tratto!
[1] http://blogs.dlapiper.com/regulatory-ita/2016/10/24/edifici-pubblici-vincolati-gli-immobili-over-70/
[2] http://ordine.architettiroma.it/logistica-ed-i-bilanci/
Solo per precisara ed aggiornare, ma senza intenzione di incidere sul merito dell’articolo, la verifica di interesse culturale obbligatoria, per le opere ricadenti nell’art. 10 c.1 è stata nuovamente portata ad oltre 70 dall’art. 1, comma 175, lettera a), legge n. 124 del 2017. Sarebbe utile inoltre precisare quando il bene è stato dismesso dall’ente ecclesiastico. Infine, pare dall’esposto che una verifica sia stata effettivamente eseguita e con esito negativo, cosa che sembra contraddire l’assunto di partenza.
Sì, ha ragione Vittorio Sgarbi…
Con questo criterio solamente burocratico alla fine ci dovremmo tenere migliaia di brutti edifici che se pur datati non hanno nessun valore architettonico.
Rispettare il contesto significa progettare edifici antichi?
Le città’ si evolvono e l’architettura deve avere le caratteristiche del periodo in cui si interviene altrimenti si creano dei falsi d’epoca.
La stratificazione architettonica contribuisce a rendere interessante l’aspetto urbanistico di una città’ perché’ rispecchia la tendenza formale e il tipo di materiali contemporanei e nel contempo permette di ottimizzare la qualità’ della vita e il riutilizzo del l’antico evitando ulteriori espansioni urbanistiche.
Vogliamo imbalsamare Roma?
Il punto sarebbe proprio questo. A me sembra che le città stiano involvendo più che evolvendo, almeno in Italia, almeno Roma. E le tendenze formali recentemente si sono sviluppate in funzione di quanto profitto economico sono capaci di generare e questo è il solo linguaggio che parlano, insieme ai materiali che utilizzati. Sono certamente un’impronta e una testimonianza del tempo… del dominio del capitale investito per costruirle, magari male, magari non finite molte, ma tutte a carico del pubblico pagante. Quelle private poi, sedi di banche o centri commerciali esprimono proprio l’aleatorietà di una lingua provvisoria e incerta dove una scelta può essere uguale al suo contrario…un po’ a cazzo di cane ! Aleatoria è anche la scelta della misura del vincolo temporale : 50 anni, 70, e se sono 71? O 59 ? Come i limiti metrico spaziali di certi vincoli, utilissimi in certi casi ma inutilmente repressivi e riduttivi in altri. L’unica autentica traccia che le città in Italia in questi anni stanno lasciando a futura memoria è la voracità con cui gli investimenti di capitale divorano gli ultimi spazi vuoti, spesso pubblici, spessissimo in spregio a tutte le norme del vivere civile e urbanistiche, lasciando dopo il fiero pasto, solo cadaveri e carcasse, corpi decomposti e maleodoranti !
…i materiali utilizzati, nelle opere in cui è il pubblico a pagare, sono scelti in funzione della loro capacità di alzare il costo è dunque il rendimento…per chi presta i soldi, sempre la banca. Vedi la Nuvola. E MAI per una reale esigenza “di linguaggio” o di funzione. Si chiama speculazione.
Da vetero studente della Facoltà di Valle Giulia e come vetero abitante ed amante di Roma……. CONCORDO PIENAMENTE CON QUESTO INTERVENTO perchè non esprime ” parere di parte ” ma fotografa il generale abbandono, a motivo di lerci ed ottusi interessi mercenari, dei criteri di armonia architettonico-urbanistica che hanno generato e caratterizzato, nei secoli, la CITTA’ PIU’ BELLA DEL MONDO : ROMA.
Solo in Italia c’è ancora chi pensi a queste stupidaggini inculcare da gente in malafede. Il falso storico è una idiozia creata da Brandi e Pane per tutelare solo le loro stupidità. Mai, nella storia dell’umanità, l’uomo si era posto un falso problema del genere
…e poi quale linguaggio vuoi che parli la città italiana oggi, dove ogni spazio vuoto diventa spazio sprecato, ogni spazio verde spazio inutile quando non necessario alla criminalità organizzata, tipo i ” Punti Verdi Qualità “, una città che sarebbe il luogo delle esigenze della collettività e invece è stata ridotta al luogo dello smarrimento proprio di quelle esigenze. La faccio breve : se una collettività e indotta a non avere più “tempo libero ” per se, essendo ridotta a lavorare ( lavora, consuma, crepa ) a cosa le servono i parchi, i giardini, gli spazi sociali…e così via. Meglio metteteli a reddito costruendo stronzate a uso e profitto del privato ! Elementare Wathson.
…ridotta a lavorare in quasi schiavitu’ o non lavorare che è uguale…
…metterli a reddito costruendo stronzate ( in un linguaggio approssimativo e becero, che però un catena di corifei sulla stampa specializza e non, dopo essere stata ben pagata, ovvio, celebra come innovativo e moderno, forse contemporaneo, che solo Dio sa che significa ) costringendo da una parte i residenti e non, compresi i turisti, a pistarsi i piedi e vivere scomodi odiandosi e, dall’altra a coltivare l’illusione che i pochi che ci guadagnano possano godersi il bottino da qualche altra parte. Non è così. Alla fine la cacca ci sommergerà tutti.
Abbattiamo tutto e al posto degli edifici storici facciamo dei bei palazzoni anonimi che sono identici ad Hong Kong, Berlino o Londra. Prendiamo esempio dalla Palermo degli anni ’60, che si è liberata del peso del passato, quei villini liberty orrendi crollati sotto i piedi del Progresso. Visto che è l’era della plastica facciamo grattacieli rivestiti di plastica al centro di Roma: basta col vecchiume. Viva la modernità! Viva la qualità dela vita! Viva la stratificazione! Seppelliamo l’antico, in un mare di plastica e cemento!
P.s. Grazie Mauro, cavaliere del nuovo e del bello.
Un Ignorante.
Egregio Mario Volpato,
facciamo un esempio: secondo il tuo pensiero potrebbe essere cosa meritoria costruire un palazzetto del tipo che dovrà sorgere al posto di quello demolito in via ticino 3 anche che sò in piazza di Santa Maria in Trastevere così da “rendere interessante il tessuto urbanistico della città” !! Fortunatamente S.Maria in Trastevere gode ancora di vincoli tali da non correre il pericolo di demolizioni demenziali del tipo di Via Ticino 3. Resta preoccupante (pernicioso) il concetto espresso da persone come te di rendere interessante il tessuto urbanistico della città con queste modalità. Ha ragione Sgarbi: capre!! capre, siete capre!
che schifo, è come demolire il colosseo,
ma arriveranno anche a questo
La forma è la forma è la forma … indipendentemente dal conservare o sostituire! Ma anche il contesto ha i suoi diritti, le sue eccellenze, le sue coerenze e le sue brutture.
Quello che dispiace in questo caso è l’incapacità di interpretare il contesto e di esprimere un tema formativo, insomma di generare una forma architettonica.
(Il progetto tra l’altro mi ricorda un edificetto costruito ad Ancona e pubblicato tempo fa su Facebook.)