Il prossimo 19 dicembre, nella Sala G. Nugnes del Consiglio Comunale di Napoli si terrà il convegno “Recuperiamo le Vele – per uno sviluppo sostenibile, urbano e sociale di Scampia” … un convegno che, già dal sottotitolo, dimostra la sua ipocrisia e la sua intenzione di abusare terminologicamente della parola magica “sostenibile”, sì da poter far figurare gli organizzatori come persone realmente interessate al bene dell’ambiente e delle persone.
Le cose sono due:
- Gli organizzatori non hanno idea di cosa si intenda per “sviluppo sostenibile”, ragion per cui hanno riportato nel titolo le parole come “urbano e sociale” che, in una reale pianificazione “sostenibile”, dovrebbero già risultare incluse!
- Gli organizzatori hanno intenzionalmente inserito certe parole (ignote al loro modo autoreferenziale di guardare all’architettura e all’urbanistica) solo per poter far credere alla gente di essere realmente interessati a certe dinamiche sebbene – per mere ragioni ideologiche – ambiscano esclusivamente a mantenere in piedi un ecomostro, figlio della follia visionaria “funzionalista”, a loro cara!
Sarò disposto a credere che certe realtà spersonalizzanti e criminogene possano “recuperarsi … per uno sviluppo sostenibile, urbano e sociale“, solo nel momento in cui chi sostenga certe ipotesi ci andasse a vivere!
È troppo comodo infatti, vivendo e lavorando altrove, svolgere il ruolo dei “buoni che si preoccupano del degrado sociale“, proponendo idiozie di ogni genere rigorosamente “sostenibili“.
E già, perché “sostenibile” è il termine (ipocrita) ormai indispensabile per aprire certe porte… come diceva la vecchia pubblicità del confetto Falqui, “basta la parola!”
Sarebbe ora di dire basta a questa costante presa per i fondelli delle persone. La gente non ha bisogno di tetti piantumati (che non portano alcun beneficio alle falde freatiche e all’ambiente), né ha bisogno di “prati e boschi verticali” che richiedono un abuso di fertilizzanti per restare in vita, né le persone necessitano di produrre energia (pseudo) pulita per continuare a vivere in certa immondizia urbanistico-edilizia, i cui progettisti avrebbero meritato l’applicazione del Codice di Hammurabi! Né si può continuare a far credere che possano esistere “edifici bio”, “edifici green”, “edifici LEED”, “edifici eco-sostenibili” in luoghi suburbani del tutti insostenibili … figuriamoci poi edifici come sarebbe mai possibile credere che le Vele di Scampia possano risultare “recuperate” in maniera sostenibile!
La realtà è che, essendo tutte queste schizofrenie urbanistico-architettoniche state progettate da vecchi “luminari” delle nostre università, quei “luminari” e i loro discepoli attuali, pur di non vederle gradualmente venir giù, necessitano di prendere per i fondelli la gente, proponendo assurdità (dette da “chi ci capisce“), piuttosto che cospargersi il capo di cenere, riconoscere gli errori e chiedere scusa per aver testato, su cavie umane ignare, le proprie follie!
A tal proposito, per comprendere meglio le ragioni di determinati comportamenti, suggerisco vivamente la lettura del testo che scrissi nello scorso mese di giugno intitolato “Periferie griffate – quando il cattivo esempio viene dall’alto – Le ragioni della difesa dell’indifendibile da parte del mondo accademico[1]”
A chi mi ritenga esagerato o fazioso, ricordo che Mario Fiorentino, progettista del Corviale di Roma, ebbe ad affermare:
«[…] ci sono due modi di fare Architettura … o forse ce n’è solo uno … c’è quello semplice e pacato dell’utilizzazione degli schemi super testati che l’edilizia pubblica in Italia – e non considero solo quella romana – ha più o meno accettato. E poi c’è quello sperimentale, che è il metodo a cui l’esperienza di Corviale appartiene. Io ricorderò sempre come Ridolfi, che è stato il mio vero maestro, sempre mi diceva: “quando progetti per un cliente (e l’edilizia pubblica è un cliente come un qualsiasi altro privato), senza rivelarglielo tu devi sempre sperimentare” perché, in effetti, queste sono esattamente le opportunità nelle quali gli esperimenti possono essere fatti![2]»
A chi ritenga che certi “mostri sacri” meritino ancora rispetto invece, ricordo come Giancarlo De Carlo prima, ed Andrea Sciascia poi, ribadendo le parole “positive” di Vittorio Gregotti riguardo al suo progetto per lo ZEN di Palermo hanno scritto:
«il loro ultimo fine (degli architetti n.d.r.) era di materializzare l’idea che la città storica, espressione delle classi sociali che avevano dominato e oppresso la società umana, doveva essere abbandonata ai suoi fondatori, mentre alle classi sociali popolari in ascensione sarebbero stati destinati i nuovi quartieri costruiti in periferia che, aggregandosi, avrebbero finito col generare la Nuova Gerusalemme: la città della società senza classi, libera, giusta e fraterna[3]».
… A proposito di certe affermazioni sulla “città della società senza classi, libera, giusta e fraterna”, ri rammenta infatti che lo stesso Vittorio Gregotti, intervistato da Enrico Lucci durante la puntata del 20 febbraio 2007 de “Le Iene”, alla domanda «perché, se sostiene che sia tanto riuscito e bello non ci va lei a vivere allo ZEN?» rispose: «che c’entra, io faccio l’architetto, non faccio il proletario![4]»
Alla luce di certe cose, non penso sia più ammissibile che la nostra società – gravemente malata – continui a promuovere convegni come quello in programma il 19 dicembre e/o proposte “serissime” come quella del “chilometro verde” di Corviale[5], quest’ultima premiata e, addirittura, divenuta lo spunto per il film “Scusate se esisto”, oltre che per l’ultimo, immondo, concorso ideologico per il Serpentone, che imponeva il divieto di proporne l’abbattimento. Grazie a quel progetto e a quel film, l’architetta Guendalina Salimei è divenuta la nuova “divinità” dell’architettura nostrana, sebbene il suo progetto per Corviale ispirato alle idiozie del “Bosco Verticale” e dei “prati verticali” faccia ridere e non porterà mai alcun beneficio alle persone che (soprav)vivono al Corviale, ma solo alla regolarizzazione del 4° piano abusivo dell’ecomostro di Fiorentino!
Tornando alle Vele di Scampia, un’altra assurda proposta è stata recentemente presentata e osannata dai parolai – mai domi – che scrivono sulla stampa di settore.
Si tratta di “Hacking Gomorra” – come sovvertire sul piano urbano ed estetico le Vele, periferia per eccellenza[6] dei designers Paolo Cascone e COdesignLab, presentato alla Galleria Davide Gallo in occasione della Milano Design Week nell’ambito del Fuorisalone.
Nelle intenzioni dei progettisti il progetto consisterebbe nello “hackerare (fare a pezzi) le Vele attraverso la stampa 3d con un progetto di auto-rigenerazione” … ci troviamo quindi davanti all’ennesimo caso in cui i progettisti credono fermamente che ciò che appaia sullo schermo sia realmente realizzabile e che, addirittura, possa migliorare la vita dei disperati e l’estetica delle Vele!
Secondo quanto affermano i progettisti, «l’hackeraggio delle Vele, (la semplice parola “trasformazione” avrebbe reso meno “visibile” questa idiozia (n.d.r.) avvenuto in modo spontaneo negli anni in cui gli edifici erano completamente lasciati a loro stessi e andato nella direzione di una chiusura (cancelli, sbarramenti, come si diceva), viene ripensato nella direzione opposta dell’apertura su doppia scala. Sulla grande dimensione con la possibilità di inserire nella struttura estremamente rigida degli edifici dei moduli, pensati come plug-in del struttura preesistente, in grado di personalizzare gli interni delle abitazioni. Sulla piccola dimensione con la produzione di un FabLab da installare negli spazi comuni degli edifici per produrre oggetti di uso comune come tavoli e lampade, a partire sempre da una griglia originata dalla struttura. Tutto realizzato con materiali riutilizzati e provenienti, almeno in parte, dagli stessi edifici.»
Ebbene, chiunque dia credito a certe idiozie – peraltro alimentando pericolosamente la tendenza a credere che certe “soluzioni” possano aiutare a migliorare certe realtà, spersonalizzanti e criminogene – dovrebbe venire condannato a trasferirsi a viverci per il resto della vita.
Sinceramente sono davvero stufo di sentir parlare (e veder realizzare) inutili murales, belli o brutti che siano, sostenendo che possano migliorare la vita delle periferie degradate, sono stufo di sentir parlare a vanvera di sostenibilità, sono stufo di sentir promuovere la produzione di energia pulita, piuttosto che di riduzione dei consumi!
Inoltre, considerato che gli archi-cialtroni (tutti rigorosamente dei luminari) responsabili di tutte le peggiori mostruosità urbanistiche italiane non sono mai stati condannati a viverci – e che per molti di loro è ormai troppo tardi per farlo – forse è ora di farlo con tutti i loro difensori, venditori di fumo!
Quegli esperimenti urbanistico-architettonici hanno fallito in toto, per eccesso di ideologia; ergo, piuttosto che difesi, andrebbero rasi al suolo, come già accadde al Pruitt-Igoe di St. Louis, perché ritenuto “ambiente inabitabile, deleterio per i suoi residenti a basso reddito“… A meno che i difensori di quell’immondizia non vogliano – per coerenza – trasferirsi a viverci, provvedendo di tasca loro ai continui e necessari interventi manutentivi.
La demolizione del Pruitt-Igoe, eseguita nel lontano 1972, 5 giorni prima che venisse deciso di costruire il Corviale (!!!) e soli 17 anni dopo l’ultimazione della costruzione, venne definita dallo storico Charles Jencks come “la morte di certe utopie“, ragion per cui non v’è ragione alcuna per cui dovremmo continuare a sperperare denaro pubblico per un accanimento terapeutico che, come in medicina, si limiterebbe solo a posticipare la morte del malato e mai alla sua guarigione!
… Talvolta gli architetti dovrebbero imparare a riconoscere i propri fallimenti, i professori universitari dovrebbero imparare a far tesoro degli errori altrui, piuttosto che imporre ai propri studenti di emulare opere fallimentari. Soprattutto, gli architetti dovrebbero comprendere che i propri sogni virtuali, nella realtà, potrebbero trasformarsi in incubi per gli esseri umani!
[1] http://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2017/06/28/periferie-griffate-quando-il-cattivo-esempio-viene-dallalto-le-ragioni-della-difesa-dellindifendibile-da-parte-del-mondo-accademico/
[2] Cfr. Ettore Maria Mazzola, “Contro Storia Dell’Architettura Moderna: Il Caso di Roma 1900-1940 – A Counter History of Modern Architecture: Rome 1900-1940”, Editrice ALINEA, Florence 2004
[3] Andrea Sciascia, Tra le Modernità dell’Architettura – la questione del Quartiere ZEN 2 di Palermo, L’Epos Edizioni, Palermo 2003.
[4] Cfr. Ettore Maria Mazzola, “Noi per lo ZEN”. Progetto di Rigenerazione Urbana del Quartiere San Filippo Neri (ex ZEN) di Palermo – “Noi per lo ZEN”. Project for the Urban Renewal of San Filippo Neri Neighbourhood (ex ZEN) in Palermo. (Introduzione di Rob Krier). GEDI Guppo Editoriale SpA, Roma, 2017
[5] http://www.lastampa.it/2014/12/03/societa/un-chilometro-verde-a-corviale-cos-il-film-pu-diventare-realt-ryBxjcIAiim8Xk1Bfx3coM/pagina.html
[6] http://www.rivistastudio.com/studiorama/hacking-gomorra/
Un applauso vivissimo e qualche piccola annotazione
La prima è che parrebbe impossibile imbruttire certe opere e invece c’è chi ci riesce benissimo, grazie all’aiuto della progettazione computerizzata (la cui evidente utilità da certi punti di vista ovviamente non metto in dubbio); forse anche Lei ha notato che, grazie alla facilità di disegno consentita dai vari programmi oggi a disposizione, le porcherie architettoniche, hanno proliferato in maniera impressionante, tutte accomunate da un’unica matrice: colpire, scandalizzare, provocare, insomma far parlare, diventare un caso su cui i soloni di turno si eserciteranno nelle consuete fumosità spesso ben pagate da chi se ne giova.
Seconda, l’hackeraggio. Eh già, perché una cosa è la trasformazione, altro è l’hackeraggio; vogliamo mettere un’aggiunta inutile al casermone, con il plug-in!
Come succede in tutti i popoli colonizzati e asserviti, domina a tutti i livelli la necessità, l’ansia di non apparire “indigeni”,, di sentirsi all’altezza dei colonizzatori. E quindi hackeraggio, plug-in, jobs act, spread, news e via bestemmiando….
Chi non ricorda quel signore che, in Italia, in un convegno di Italiani su problemi italiani, si permise di esprimersi in inglese, senza che nessuno lo prendesse a pernacchie o lo invitasse a usare la lingua di Dante che, non pare abbia molto da invidiare a quella di Shakespeare?
Saluti.
Ma, Ettore caro, sappiamo che urbanistica e architettura sono uno dei prodotti del modello economico-sociale sovrastante e dunque nel nostro tempo non c’è mai stata nessuna Gerusalemme per le classi popolari e mai ci sarà. Grave promuovere illusioni per la vendita di un prodotto scadente, ma è ciò che è stato fatto, in buonafede o no non ha alcuna importanza, da molti architetti e soloni un tanto al chilo, un po’ in tutto il mondo a partire specialmente dal passaggio degli anni ’60 ’70. Eppure è stato sempre evidente che la costruzione a basso costo, di abitazioni, servizi e quartieri, non garantisse standard di vita sufficienti malgrado gli sforzi a volte meritori ma sovente illusori dei progettisti. Non sempre, non dovunque ma molto spesso e sempre dove lo Stato sociale era debole o travisato. Apprezzo sempre i tuoi puntuali riferimenti agli interventi di edilizia economica ben riusciti a Roma e altrove a dimostrazione che tutta la catena di quella produzione aveva caratura e funzionamento ben diversi dagli esempi qui citati.