In questi anni, specie all’epoca in cui sviluppavo i progetti di rigenerazione urbana per il Corviale di Roma[1] e lo ZEN di Palermo[2], mi è capitato più volte di fare riferimento allo splendido esempio di rinascita di Le Plessis Robinson, a sudovest di Parigi, ad opera di Françoise Spoerry prima e, Marc e Nada Breitman poi … un intervento realizzato grazie al coraggio del sindaco illuminato, Philippe Pemezec, che ha portato un’immonda banlieuse a divenire una città modello.
Va quindi da sé che, quando ho appreso che il premio Driehaus 2018[3] veniva assegnato ai coniugi Breitman sono stato felicissimo. Infatti, ho pensato, forse è ora che, anche in Italia, si comprenda il valore di quel progetto e, soprattutto, ci si renda conto di ciò che si possa fare per portare sicurezza, bellezza e benessere anche in quei luoghi … o meglio “non-luoghi”, figli dell’ideologia modernista, dove la gente è costretta a “sopravvivere”, piuttosto che vivere.
Ma c’è di più, perché la conoscenza della storia di quel quartiere, dalle origini al difficilissimo periodo post-bellico, fino all’intervento che l’ha riqualificato nel vero senso del termine, mostra un’infinità di punti di contatto con analoghe situazioni italiane tristemente note.
E non parlo solo di similitudini di degrado sociale ed urbano, né di similitudini estetiche dovute alla bruttezza di quei luoghi, tipica dell’architettura cosiddetta “brutalista” del periodo, ma di similitudini nel comportamento – censurabile – di certi politici i quali, pur appartenendo ad una corrente politica conosciuta come quella “attenta alla classe operaia”, sembrano interessati esclusivamente a fare di tutto affinché la povera gente, parcheggiata e dimenticata in periferia, resti in quella condizione di squallore e disagio sociale (cfr. articolo di Charles Siegel a fine testo)
In prima persona, infatti, ho subito un vergognoso ostracismo per il progetto di Corviale, scontrandomi con certi personaggi della “sinistra” romana i quali, con fondi pubblici, organizzano inutili manifestazioni “riqualificanti” che, in realtà, non portano alcun beneficio ai residenti del Corviale. Tutte le mostre di progetti per riqualificare quell’errore lungo un chilometro, hanno rigorosamente ed intenzionalmente escluso tutte le proposte che – nel rispetto della richiesta dei residenti espressa in occasione della manifestazione “Recupera Corviale[4]” – proponevano di sostituire l’ecomostro di Fiorentino & co., con un intervento “a dimensione umana” ispirato ai quartieri del primo Novecento.
Nel corso delle discussioni (che custodisco ancora nella mia casella di posta elettronica), in questi anni mi è apparso sempre più chiaro il fatto che, per certi “filantropi”, la perdita di quella sorta di “bancomat” (ove naturalmente non vivono), metterebbe a repentaglio gli introiti per le loro ipocrite manifestazioni radical-chic … compromettendo altresì la possibilità di gettare fumo negli occhi, in occasione delle campagne elettorali dove il “popolo-bue” risulta facilmente manipolabile.
Alla luce di quanto sopra, appare infatti chiaro che un progetto come quello che avevo sviluppato, recuperando una serie di norme e strumenti annullati dalle cosiddette “leggi fascistissime” del ’25 – ’26, non possa essere minimamente fatto conoscere alla gente, perché figurerebbe come un pericolosissimo precedente, oltre che un suicidio!
Quale politico “interessato al sociale” potrebbe mai pensare di sostenere un progetto porterebbe ad una rigenerazione totale dell’area che, tra l’altro, prevede: aumento di circa 2000 residenti; integrazione sociale; realizzazione di 5 piazze e luoghi di socializzazione; realizzazione di scuole ed altre attività culturali, commerciali e di svago attualmente inesistenti; creazione di nuovi posti di lavoro; restituzione di circa 12 ettari di terreno da destinarsi a parco; … ma soprattutto un guadagno per lo Stato di circa 518 mln/€ piuttosto che sperpero di denaro pubblico?
Quindi, meglio difendere le “filantropiche” teorie urbanistico-architettoniche portate avanti dai vari Gregotti, De Carlo, Fiorentino, ecc., tanto care a quella corrente politica “attenta alla classe operaia” che, per ragioni politiche più che professionali, fece “grandi” quei progettisti … tra tutte quelle teorie vale infatti la pena di ricordare che, «il loro ultimo fine (degli architetti n.d.r.) era di materializzare l’idea che la città storica, espressione delle classi sociali che avevano dominato e oppresso la società umana, doveva essere abbandonata ai suoi fondatori, mentre alle classi sociali popolari in ascensione sarebbero stati destinati i nuovi quartieri costruiti in periferia che, aggregandosi, avrebbero finito col generare la Nuova Gerusalemme: la città della società senza classi, libera, giusta e fraterna»[5].
Per par condicio voglio però ricordare che, quando alla Regione la maggioranza era in mano al “centro-destra” e la Governatrice era Renata Polverini, grazie all’interessamento (un vero e proprio innamoramento nei confronti del mio progetto) dell’On. Buontempo, provammo ad organizzare un convegno che, tra l’altro, avrebbe portato a Roma il sindaco di Le Plessis-Robinson … ebbene, ad una settimana dall’evento, dopo che la Regione aveva già speso 30.000 € in brochures, biglietti aerei, prenotazioni di alberghi, pubblicità, ecc., il convegno venne misteriosamente annullato dalla governatrice in persona – come ci riferì scusandosi l’onorevole – in realtà, occorreva molto poco per comprendere che il contenuto di quel convegno risultava in conflitto col recentissimo “Piano Casa” della Regione …
Ironia della sorte, sebbene nulla avessi mai avuto a che spartire con l’on. Buontempo, che tra l’altro su mia richiesta aveva accettato di evitare di dare una connotazione politica a quel convegno, alcuni individui dell’attuale giunta, quando qualcuno fece il mio nome, mi bollarono come “fascista”.
Torniamo quindi a parlare di cose più piacevoli, parlando del premio Driehaus ai Breitman e di Le Plessis-Robinson. … Per evitare accuse di faziosità, lo farò dando la parola a David Brussat e, soprattutto a Charles Siegel, dei quali mi sono permesso di tradurre i due testi che seguono e che invito tutti a leggere attentamente.
Driehaus for the Breitmans (David Brussat)[6]
L’annuale Driehaus Prize, istituito nel 2003 e intitolato al filantropo di Chicago Richard H. Driehaus, è un premio alla carriera conferito agli architetti “classico/tradizionali” contemporanei, amministrato dalla University of Notre Dame School of Architecture. Se mai gli edifici dei suoi vincitori venissero raccolti e ordinatamente sistemati in una valle, o su una collina, o magari vicino a un corso d’acqua, questo luogo potrebbe risultare l’insediamento più bello della storia dell’umanità. La sola idea risulta preziosa … sebbene possa risultare uno strumento pericoloso, nelle mani del revival classico.
Il Premio Driehaus di quest’anno è stato conferito a una coppia di architetti, ben noti nella comunità classica, ma estranei al grande pubblico, come lo sono la maggior parte degli architetti, specialmente negli Stati Uniti: Marc Breitman e sua moglie, Nada Breitman-Jakov, fondatori di Atelier Breitman, a Parigi. Essi sono meglio conosciuti per l’intervento di “Le Plessis-Robinson”, pianificato e realizzato a sud-ovest di Parigi: dopo aver rilevato un triste paesaggio urbano, tipico dell’edilizia pubblica “modernista”, a partire dal 1990, lo hanno trasformato in un Paradiso.
Va detto che, curiosamente, fin dai tempi antichi un plessis era considerato un villaggio circondato da una recinzione fatta di rami. Nel caso specifico, invece, il villaggio risalente prima dell’839, aveva preso nome dal cognome dei suoi governanti o illustri cittadini, quali Raoul, Piquet e (dopo la rivoluzione del 1789) Liberté. Successivamente, nel 1909, venne unito al vicino villaggio di Robinson, così chiamato per un cabaret che narrava di una casa immaginaria sull’albero, sul genere di quella costruita dalla famiglia di naufraghi ne The Swiss Family Robinson (che a sua volta ha suggerito il Robinson Crusoe di Defoe). Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’ex villaggio / comune, ormai divenuto una sorta di città-caserma per i gendarmi parigini, venne soffocato dalla realizzazione di un agglomerato di case popolari. Nel 1990, quando i Breitman vennero incaricati di pianificare il loro intervento, era Le Plessis-Robinson era ormai considerato un luogo deplorevole.
Un passaggio delle motivazioni della giuria del Driehaus recita:
«La radicale riqualificazione di Plessis-Robinson (1990-2017), un famigerato sobborgo operaio, è stata realizzata in “condizioni politiche estremamente difficili”. Grazie all’operato dei Breitman – in veste di principali architetti – un quartiere degradato, costituito da enormi caseggiati e quasi privo di spazi civici e commerciali, è stato trasformato in una fiorente e orgogliosa città dell’Ile-de-France e della Région Parisienne, ove splendide strade, piazze, viali e parchi, sono fiancheggiati da belle facciate stradali e con particolare attenzione agli eleganti edifici pubblici.»
Appare molto facile immaginare quelle che possano essere le “condizioni politiche estremamente difficili” menzionate. Anche senza conoscere i dettagli infatti, posso comprendere come la politica possa ruotare – almeno in parte – attorno alla consapevolezza che, l’impatto di un luogo bello in sostituzione di un altro brutto, possa risultare positivamente rivoluzionario. Risulta altresì facile immaginare quella che possa essere la sensazione di pericolo che, ogni qual volta si faccia pubblica menzione di Le Plessis-Robinson, vada ad insinuarsi nella mente degli esponenti del sistema “politica-sviluppo-architettura” … specie nella mente degli architetti modernisti: “Non far sapere al pubblico di quel posto … altrimenti siamo spacciati!”
Sono certo che, nel corso degli anni, su questo progetto siano state scritte tante cose per deriderlo, se non altro per ritenerlo un posto bellissimo ma inappropriato ai tempi moderni. Luoghi analoghi come Seaside e Celebration, per citarne solo due in America, o Poundbury in Gran Bretagna, sono infatti regolarmente oggetto di condanna da parte della stampa di settore la quale, con pochissime eccezioni, opera come strumento di censura delle notizie riguardanti una bella nuova architettura. Potremmo mai quindi pensare che Le Plessis-Robinson possa esser passata indenne ad un simile trattamento in Francia? Improbabile!
Nel 2013, ebbi la possibilità di partecipare a Chicago alla cerimonia di premiazione del Driehaus. In quell’occasione potei vedere il quadro commissionato a Carl Laubin per il decimo anniversario Premio. Quel dipinto, un capriccio, ritrae le opere dei primi dieci vincitori del Driehaus, riunite in un panorama suggestivo. Ovviamente, il risultato è un incantevole, paradisiaco, paesaggio urbano. Ebbene, per quanto quegli edifici possano risultare diversi, essi mi ricordano la vista di Le Plessis-Robinson riportata all’inizio di questo post.
Il quadro di Laubin, questo quartiere e altre situazioni simili, evidenziano la superiorità estetica di tutte quelle comunità il cui design risulti stilisticamente intriso di bellezza. L’essere intrisi di bellezza è un importante ammonimento, perché un villaggio analogo, caratterizzato però da opere Le Corbusier, per fare un esempio, potrebbe anche avere comunanza di forma alla base del progetto (difficilmente assimilabile a qualsivoglia linguaggio architettonico reale), ma risulterebbe brutto – o diciamo noioso, per non dire spaventoso – ergo qualcosa di simile all’edilizia popolare sostituita dai Breitman a Le Plessis-Robinson.
I coniugi Breitman, vantando diversi progetti – per lo più singoli edifici – in Francia, Belgio, Olanda e altrove, sono i degni destinatari del Driehaus del 2018.
(Avevo già scritto scritto su Le Plessis-Robinson in un post pubblicato nel 2012 nei primi quattro anni del mio blog, che sono stati epurati dal Providence Journal nel 2013. Parte della mia ricerca per quel post era stata presa da un pezzo dello scrittore di architettura Charles Siegel, “Le Plessis-Robinson: un modello per la crescita intelligente” pubblicato su Planetizen nel 2012.
Le Plessis-Robinson: un modello per la crescita intelligente (Charles Siegel)[7]
Alla luce del fatto che progetti come il Plan Voisin di Le Corbusier, lo sviluppo del quartiere affaristico de La Défense e la Tour Montparnasse a Parigi, vengono regolarmente indicati come modelli per un’ideale riqualificazione modernista – ad “alta densità” – di Parigi, Charles Siegel ha preferito guardare a sud-ovest della capitale, alla città di Le Plessis-Robinson, come una lezione di riqualificazione basata su un modello completamente diverso, sebbene storicamente coerente, di crescita intelligente.
Quando l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy invitò dieci “archistars” internazionali – tutti autori di grattacieli avanguardisti – a fornire la propria visione per la Grand Paris nel 2007 – un piano indirizzato a realizzare un anello ferroviario attorno a Parigi, corredato da nuovi sviluppi urbanistici in prossimità delle stazioni – fu subito chiaro che, i piani per la crescita intelligente della capitale, dovessero seguire lo stantio modello modernista de La Defense.
Eppure, se solo il signor Sarkozy avesse voltato lo sguardo un po’ più a sud de La Defense, nella stessa Regione di Parigi avrebbe potuto scoprire un modello di crescita intelligente decisamente migliore. Dal 1989 infatti, Le Plessis-Robinson ha demolito i suoi casermoni modernisti, sostituendoli con nuovi quartieri rispettosi del tradizionale stile della regione Ile de la Cite.
Lo sviluppo neo-tradizionale di Le Plessis-Robinson risulta sufficientemente denso per una crescita intelligente: il quartiere “Coeur de Ville” ha infatti una densità lorda superiore alle 67 persone per acro – decisamente maggiore quindi rispetto ai progetti di “grattacieli nei parchi” proposti per Parigi, per esempio il Parigi Rive Gauche, che presenta una densità di 46 persone per acro. … Ma c’è di più, perché questa densità risulta far parte di in un ambiente decisamente più attraente e vivibile rispetto al tipico sviluppo modernista.
Storia di Le Plessis-Robinson
All’inizio del XX secolo, Le Plessis era un piccolo villaggio attorno ad un campanile romanico. L’adiacente cittadina di Robinson era nota per le sue guinguette, i cabaret con giardini del piacere, dove i parigini della belle-époque si rifugiavano dalla città. Nel 1909, le due cittadine vennero ufficialmente unite con decreto presidenziale.
Nel 1912, poco dopo la loro unione, il nuovo Ufficio per le Case Economiche acquistò un terreno demaniale che, negli anni ’20, divenne una città giardino di stile modernista. Successivamente, negli anni ’30, venne costruita una seconda città giardino modernista, più densa della prima.
Tuttavia, considerato che la prevista nuova connessione ferroviaria non venne mai costruita, l’Ufficio per le Case Economiche non riuscì mai a trovare degli inquilini per il secondo sviluppo, sicché si accordarono con la Gendarmerie destinandola a caserma. Nel 1939, Le Plessis-Robinson era a tutti gli effetti una città di guarnigione con 10.000 abitanti.
All’indomani della Seconda Guerra Mondiale, quando il governo della città passò nelle mani del Partito Comunista Francese, vennero realizzati una serie di progetti, tipici dell’edilizia pubblica senza volto di quegli anni che, ben presto, caratterizzarono tutta la periferia parigina del dopoguerra.
Negli anni ’80, Le Plessis-Robinson contava 21.000 residenti, dei quali il 75% viveva in alloggi popolari, mentre l’80% delle unità immobiliari risultava sfitto e il governo cittadino era in bancarotta.
Philippe Pemezec diviene sindaco
Nel 1989, dopo 46 anni di governo comunista, viene eletto sindaco il trentatreenne Philippe Pemezec, la cui campagna elettorale aveva promesso di rivitalizzare la città. Quando i sostenitori di Pemezec appresero di aver vinto il ballottaggio, marciarono nella stanza dove venivano contati i voti, agitando il tricolore e cantando la Marsigliese. Diversamente, per protestare contro la vittoria, i comunisti interruppero la prima riunione del Consiglio presieduta da Pemezec, salendo in piedi sulle sedie e cantando l’Internazionale.
I primi tentativi di rivitalizzazione operati da Pemezec si basarono su miglioramenti estetici, come la pulizia dei graffiti, la piantumazione di fiori, la costruzione di fontane e il restauro degli edifici … tuttavia la città necessitava di cambiamenti più radicali. Il drammatico cambiamento nel controllo politico portò con sé un cambiamento ancora più drammatico, nel carattere della città: Pemezec, infatti, adottò dei piani atti a sostituire l’edilizia modernista con uno sviluppo neo-tradizionale.
Coeur de Ville
Le Plessis-Robinson, essendo stato costruito come un sobborgo di case popolari, risultava privo di un centro, tranne che per alcuni vecchi edifici pubblici e due ristoranti.
Nel 1990, il nuovo governo della città incaricò François Spoerry, già autore della nota cittadina turistica neo-tradizionale di Port Grimaud, affinché progettasse il nuovo quartiere di Coeur de Ville (Cuore della Città), basandosi su un modello di urbanistica tradizionale caratterizzato da strade, piazze e facciate di edifici lungo i marciapiedi. Tuttavia, Le Plessis-Robinson aveva una così pessima reputazione che, solo un imprenditore espresse interesse nei primi cinque anni dopo la creazione del piano. Nel frattempo, i politici comunisti ormai in minoranza, si opposero al piano.
La città dovette quindi attrezzarti in operazioni di marketing che potessero attirare l’interesse degli imprenditori ad investire i propri capitali. Per esempio, venne organizzato un festival annuale di guinguettes, con personaggi in costumi della Belle-Epoque, un evento che, nel solo primo anno, richiamò ben 10.000 visitatori, divenuti 20.000 il secondo e 30.000 da allora in poi.
Pemezec venne dunque rieletto nel 1995, con oltre 2/3 delle preferenze, facendo cadere nell’oblio l’opposizione comunista al piano. Da quel momento in poi la città riuscì dunque ad attrarre abbastanza imprenditori per poter completare il Coeur de Ville entro il 2000.
Il nuovo quartiere misura 12 ettari (quasi 30 acri), e presenta alloggi per 2.000 residenti – il cui 10% in alloggi sociali – ed è dotato di un nuovo centro amministrativo, due scuole, un asilo, una palestra, un ufficio postale e una piazza, con molte attività commerciali, oltre ad un parcheggio sotterraneo.
Cité-Jardins 1 e 2
Il secondo tentativo di ricostruire Le Plessis-Robinson ebbe meno successo. La città voleva sostituire le fatiscenti città giardino degli anni ’20 e ’30 tuttavia, in quanto monumenti storici, i piani necessitavano dell’approvazione del capo architetto dei Batiments de France, Joseph Belmont, un modernista dogmatico!
Belmont decise quindi che la città giardino degli anni ’20 sarebbe stata restaurata, piuttosto che demolita, sebbene questo progetto venisse criticato come “il restauro più costoso in Francia“.
Per sostituire il progetto degli anni ’30 invece, Belmont organizzò un concorso ad inviti che coinvolgeva tre studi di architettura modernista. Alla fine, venne scelta la proposta “meno cattiva”, rappresentata dal fosco progetto degli architetti Alluin-Mauduit.
Fortunatamente, il disaccordo economico tra questi architetti e l’ufficio degli alloggi ha impedito loro di portare avanti altri progetti di “riqualificazione” dei quartieri del dopoguerra.
Bois des Vallées
Nei primi anni ’90, la demolizione del Patterson College liberò un’area su cui la città decise di costruire un quartiere neo-tradizionale – caratterizzato da un mix di edifici d’affitto e alloggi sociali – progettato da Marc e Nada Breitman. L’intervento prevedeva anche un centro per disabili e delle nuove caserme per i gendarmi, anch’essi progettati con lo stesso criterio di architettura tradizionale proposto per le unità residenziali.
Questo progetto, in qualità di progetto pilota per il miglioramento delle periferie, è stato realizzato con finanziamenti del Dipartimento di Hauts-de-Seine e dell’Ufficio per gli Alloggi Sociali e stato completato nel 1996.
Cité-Jardins 3 e 4
Nel 2000, tre anni dopo l’abbandono di Alluin-Mauduit, la città incaricò l’arch. Xavier Bohl per il completamento dei restanti progetti di sostituzione delle unità abitative postbelliche.
Bohl venne scelto dalla giuria di un concorso atto a promuovere la realizzazione di un quartiere – in linea con lo spirito del progetto di Spoerry – sviluppato su 21 ettari … un’area molto più ampia del Coeur de Ville. Il progetto consta di 1.300 unità abitative, di cui 250 sociali e 6.000 metri quadrati di attività commerciali e di pubblico impiego.
Il progetto prevede inoltre un sistema di torrenti e stagni che usufruiscono di pompe per il ricircolo dell’acqua, impiegando le precipitazioni meteoriche per ricaricare il sistema, evitando così il consumo idrico.
Grazie al drastico cambio di reputazione, Le Plessis-Robinson ha trovato facilmente diversi imprenditori interessati a implementare questo progetto che, infatti, è stato completato nel 2009.
Dopo vent’anni di ricostruzione, Le Plessis-Robinson consta oggi di due centri, collegati da fronti commerciali continui lungo Avenue Charles de Gaulle e Grande Rue. Il livello occupazionale nella città è aumentato del 50%, facendo di Le Plessis Robinson un modello virtuoso che dimostra come una corretta urbanistica, accompagnata da un’architettura attraente, possano contribuire a rivitalizzare una città.
Un modello migliore per la crescita intelligente
A questo punto, facendo un raffronto tra i vivaci quartieri neo-tradizionali descritti e gli squallidi spazi pubblici de La Defense, appare chiaro che Le Plessis-Robinson risulti un modello di crescita intelligente decisamente migliore.
I dettagli stilistici non sono importanti quanto le dimensioni degli edifici e degli spazi pubblici. Eppure, gli architetti modernisti tendono a progettare i loro edifici come icone, pensate per attirare l’attenzione su di sé – come il grande arco de La Defense. Diversamente, gli architetti neo-tradizionali svolgono un ruolo molto più importante, attento alla progettazione di luoghi pubblici, vivaci e attraenti.
La storia di Le Plessis-Robinson ci insegna che nulla risulti più obsoleto che l’avanguardia di ieri. Si rifletta sul fatto che, così come i progetti abitativi funzionalisti ritenuti all’avanguardia – dagli anni ’20 fino alla metà del secolo – sono quelli per i quali oggi si invoca la demolizione, allo stesso modo, tra meno di cinquant’anni, l’architettura avanguardista di oggi sembrerà obsoleta ed anche più grottesca. Diversamente, gli esempi contemporanei di architettura e urbanistica tradizionale a misura d’uomo, una volta superata la prova del tempo, continueranno sempre ad apparire attraenti.
Turisti provenienti da tutto il mondo si recano a Parigi per godersi la sua urbanistica ed architettura tradizionale … Quanti sono invece i turisti vengono a La Defense per sedersi all’aperto e godersi la sua urbanistica modernista?
Negli Stati Uniti, ci sono stati molti progetti “HOPE VI[8]” che hanno sostituito l’edilizia popolare della metà del secolo con interventi di urbanistica neo-tradizionale, tuttavia pochi risultano vitali e attraenti come Le Plessis-Robinson. I francesi dimostrano ancora di essere leader mondiali nella creazione di un grande urbanistica.
Così come i viali e i luoghi della Parigi di Haussmann del XIX secolo furono imitati in tutto il mondo, oggi la Francia potrebbe essere nuovamente considerata un modello mondiale … però dovrebbe smettere di ritenere necessario il coinvolgimento di archistars autoreferenziali internazionali per immaginare il futuro di Parigi, poiché l’unica cosa che le occorre è semplicemente di riscoprire la tradizione francese di progettare grandi luoghi urbani.
[1] https://iflanewsbrief.wordpress.com/2012/02/03/arch-ettore-maria-mazzola-to-receive-the-imcl-international-urban-design-award/
[2] http://www.livablecities.org/articles/proposal-urban-regeneration-suburb-zen-palermo-italy
[3] https://architecturehereandthere.com/2018/01/19/driehaus-for-the-breitmans/
[4] Tenutasi il 14 dicembre 2001 presso la Sala dello Stenditoio dell’Istituto S. Michele a Ripa di Roma
[5] Andrea Sciascia, Tra le Modernità dell’Architettura – la questione del Quartiere ZEN 2 di Palermo, L’Epos Edizioni, Palermo 2003.
[6] https://architecturehereandthere.com/2018/01/19/driehaus-for-the-breitmans/
Buon per i Francesi. Da noi, si sa, la massima aspirazione è “tenersi all’altezza dei tempi”. Anche se i tempi attuali, in quanto ad altezza, fanno rimpiangere il Nano Bagonghi…..