Come proteggere il Forlanini, il San Giacomo, il Santa Maria della Pietà e Palazzo Nardini dalle grinfie della speculazione?
Sulla carta, il nostro Codice di Procedura Civile obbligherebbe gli amministratori pubblici a comportarsi come il “buon padre di famiglia[1]”, ovvero a gestire il denaro altrui tendendo a non sperperare … ma è proprio sempre così?
Viviamo in un Paese straordinario, con un patrimonio storico culturale e delle tradizioni che il mondo invidia. Il nostro Paese è anche sempre stato considerato un Paese dove il giuramento di Ippocrate veniva preso seriamente in considerazione, così come un Paese dove, dato l’altissimo livello di tasse pagate dai cittadini, la Sanità e le cure venivano garantite a chiunque.
Nel nostro Paese, fino agli anni ’40, costruire un ospedale non significava solo rispondere alle esigenze sanitarie degli italiani, ma anche aggiungere un ulteriore tassello alla bellezza del Belpaese.
Successivamente, con l’avvento delle teorie moderniste in architettura, si decise che l’attenzione all’estetica degli ospedali – che possiamo vedere nei padiglioni del Policlinico Umberto 1° e del Santa Maria della Pietà, nel Fatebenefratelli all’Isola Tiberina, nel San Camillo, nel Forlanini, nello Spallanzani – fosse superflua; sicché si pensò che l’aspetto esteriore – tanto utile a fornire un’ambientazione piacevole ed accogliente necessaria per evitare la caduta in depressione del malato – fosse un’idiozia borghese da dimenticare, così come già fatto per le periferie … è giù quindi con agghiaccianti progetti brutalisti, fatti di materiali dalla vita breve (ma modernissimi) che, come per l’edilizia pubblica, hanno poi comportato spese manutentive – rigorosamente pubbliche – costanti!
Qualche decennio dopo, a peggiorare la situazione ci si mise un gruppo di buontemponi che, approfittando del loro ruolo di Ministri dello Stato, decisero che gli ospedali pubblici potessero esercitare come delle strutture private, fornendo – a pagamento – delle prestazioni intramoenia … di fatto avviando quel lento, ma non troppo, ed inesorabile processo destabilizzante, necessario alla demonizzazione della sanità pubblica da parte dei cittadini insoddisfatti, sì da poter giustificare la dismissione del modello equo e civile di sanità italiano, in nome di un modello elitario e incivile degli “esportatori di civiltà e democrazia”.
Tutto questo, accompagnato da politiche destabilizzanti delle economie locali (… perché ce lo chiede l’Europa), ha fatto sì venissero promosse leggi finanziarie che hanno comportato sempre maggiori “tagli” alla spesa pubblica, con particolare attenzione alla sanità!
Peccato davvero, perché tutt’oggi i nostri medici e ricercatori, nonostante quei tagli e nonostante la quasi inesistenza di fondi per la ricerca, sono quelli che (spesso in qualità di “cervelli in fuga”) fanno le grandi scoperte in campo medico. Peccato, perché il nostro corpo infermieristico (sempre più bistrattato), grazie al suo grado di preparazione, viene esplicitamente richiesto dall’Inghilterra[2] con offerte che prevedono il posto fisso, il pagamento di corsi per il miglioramento della conoscenza della lingua e uno stipendio dignitoso con orari ragionevoli!
Ma tutto questo, per i nostri amministratori politici non ha alcun valore, essi sono sufficientemente gratificati dagli stipendi e benefit da favola che i burattinai gli consentono, affinché se ne stiano buoni e zitti e, semmai, promuovano campagne denigratorie sul grado di preparazione degli studenti e professionisti italiani e sullo stato dei nostri ospedali …
Chissà se hanno mai provato a chiedersi se, dall’estero, chi ci chieda di abbassare il nostro livello culturale lo faccia proprio perché vede la preparazione degli italiani come un pericolo per i propri cittadini e professionisti …
Veniamo quindi al vero argomento del testo odierno, la dismissione del nostro patrimonio immobiliare sanitario.
Nel lontano 2008, epoca in cui la Regione Lazio era governata dalla giunta “di sinistra” presieduta da Piero Marrazzo, lo storico Ospedale San Giacomo degli Incurabili venne inspiegabilmente chiuso … sebbene il documento di donazione del Cardinale Salviati (1562) obbligasse il mantenimento della funzione ospedaliera e nonostante fossero appena stati ristrutturati 32mila metri quadrati della struttura!
Alcuni anni prima che ciò avvenisse, pensando di “risanare i conti” della ASL regionale, la giunta di “centro destra” della Regione Lazio, presieduta da Francesco Storace, seguendo il filone della svendita del patrimonio immobiliare tanto cara alla sua area di appartenenza, aveva pensato bene di creare “una società, la San. Im Spa, alla quale furono venduti 56 ospedali laziali, tra cui il San Giacomo, a un prezzo di 1.949 milioni di euro. San. Im. ha quindi ceduto alla società Cartesio i crediti vantati verso le Asl e le aziende ospedaliere per il pagamento dei canoni di affitto. E quindi Cartesio ha emesso titoli sul mercato, incassando fondi per pagare a San. Im. i crediti ceduti. Si voleva naturalmente risanare il debito della sanità del Lazio, però la Regione adesso deve pagare, fino al marzo 2033, un canone d’affitto per gli immobili venduti alla San. Im di quasi 90 milioni l’anno. E di questi per il San Giacomo in particolare continua a pagare, e continuerà a farlo, quasi 2 milioni[3]”.
Davvero una strategia economica ineccepibile … ovviamente se, piuttosto che pensare alle finanze pubbliche, pensiamo ai conti dei privati che ne stiano beneficiando!
Ma il caso del San Giacomo, ancora irrisolto, non è l’unico, come si è detto infatti, già dall’era Storace, ben 56 strutture ospedaliere laziali vennero cedute! Più di recente invece, anche se non se ne parla, esiste un’altra storiaccia, legata allo storico Forlanini, progettato nel 1928 dagli ingegneri Ugo Giovannozzi, Giulio Marconigi e Ferdinando Poggi.
Il Forlanini è una straordinaria struttura ospedaliera – sia dal punto di vista dell’operato che dell’estetica – che è stata svenduta per una cifra irrisoria[4] … 280 mila metri quadrati di struttura ospedaliera venduti a 70 milioni, ovvero a 250 €/mq! … una vicenda per la quale nel 2016 Fabrizio Santori, consigliere regionale del Lazio di Fratelli d’Italia, decise di chiedere alla Procura «di valutare ogni profilo di illiceità penale ed erariale e accertare qualsiasi atto teso a ledere i diritti dei cittadini». Una vicenda che invece la Regione difende come “un’operazione di trasparenza e razionalizzazione dei servizi, anche per aiutare il risanamento della sanità laziale.”
Lo scorso 6 febbraio, il Sole 24 Ore[5] ha titolato “Lazio: nuova vita socio-sanitaria per l’ex ospedale Forlanini”. L’articolo, utile alla campagna elettorale della giunta uscente, ricorda come Zingaretti abbia tenuto a sottolineare: «In questi mesi non siamo stati fermi, abbiamo messo a disposizione gli spazi esterni e gli ambienti dell’ex ospedale per lo svolgimento di manifestazioni culturali e cinematografiche e sostenuto lo svolgimento, al suo interno, di attività formative e di divulgazione da parte del Ministero dei beni e delle Attività Culturali e del Turismo (…)». E già, perché nella “Società dello Spettacolo”, una Città metropolitana dove i posti letto scarseggiano e dove il Pronto Soccorso del vicino San Camillo è al collasso, una struttura ospedaliera come il Forlanini è bene che la si usi per delle fiction cinematografiche che magari raccontano di un ospedale all’avanguardia, piuttosto che utilizzarla come un vero e proprio ospedale!
Dalla Regione comunque, nonostante il malcontento dei cittadini, nonostante lo stato di collasso della Sanità, l’Assessore al Bilancio Sartore ha tenuto a far sapere che «con questo atto di indirizzo oltre a ribadirne la fruizione pubblica specifichiamo che ci sarà un coinvolgimento comunità locali e delle associazioni del territorio, anche mediante l’istituzione di un tavolo di confronto aperto per monitorare lo stato di avanzamento del progetto e condividere finalità e destinazione dei servizi riservati alla cittadinanza. Noi confermiamo la volontà di recuperare e riqualificare il complesso monumentale e il parco circostante, garantendo la proprietà pubblica e usufruendo di risorse pubbliche. L’attuale stato di conservazione e la sua riqualificazione strutturale e funzionale richiedono importanti finanziamenti a carico degli investitori pubblici da coinvolgere nel processo di valorizzazione patrimoniale.» …
Belle parole, specie in una campagna elettorale, ma la realtà dei fatti è che il tempo scorre e nulla cambia … se non i conti di cui sopra!
Inoltre, dati i precedenti, non v’è da star tranquilli ascoltando Zingaretti e la Sartore parlare di “futuro di uno dei più importanti progetti di riqualificazione urbanistica degli ultimi decenni” … Infatti, grazie al PRG 2008 (PD), al Piano Casa 2009 (PdL) ed alla nuova Legge sulla Rigenerazione Urbana (PD)[6], Roma si è impoverita del Villino Naselli di via Ticino 3, sta per perdere villa Paolina in Piazza XXI Aprile ed altri 21 villini e palazzine storiche … oggetto di piani di “Riqualificazione Urbana”[7] basati sull’abuso terminologico, piuttosto che sulla reale rispondenza del termine e/o sul rispetto delle normative!
Tra le tante tristi storie legate alle strutture ospedaliere storiche romane, c’è anche quella dello straordinario complesso dell’ex Ospedale Psichiatrico del Santa Maria della Pietà, progettato da Edgardo Negri ed Eugenio Chiesa nel 1909 e completato ed entrato in funzione nel 1913.
La struttura ha infatti cessato le sue attività in ambito sanitario nel 1999, in ottemperanza della cosiddetta “Legge Basaglia”, n°180 del 13 maggio 1978, “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori“. Da allora in poi, è il caso di dirlo, questo meraviglioso complesso ospedaliero “a zero impatto ambientale”, sta vivendo una storia figlia della follia!
Una amministrazione regionale in crisi, ma in grado di fare seri programmi socio-economici-sanitari a medio termine, dovrebbe rendersi conto che il Santa Maria della Pietà, costituisca un bene rilevante – sotto il profilo urbanistico, architettonico, ambientale e culturale – i cui padiglioni e parco – secondo per essenze arboree e per flora solo all’Orto Botanico – rappresentano un unicum meritorio d’esser riscattato dalle sua attuale condizione di degrado, restaurandolo, rifunzionalizzandolo e, successivamente, salvaguardandolo e valorizzandolo.
Anni fa un mio ex cliente inadempiente dell’area pontina, una persona inqualificabile della quale porto un pessimo ricordo, ebbe a dirmi: “architè, il business del futuro so’ i vecchi e la monnezza” … e infatti, i numeri del business privato – con contributo pubblico – delle RSA nel quale voleva investire mi diede molto da pensare.
A tal proposito mi sono sempre chiesto come mai lo Stato ritenga un settore in perdita ove operare tagli, quello che a dei privati appare invece come un business molto redditizio! Mi sono sempre chiesto il perché lo Stato si rifiuti di svolgere il ruolo di calmiere in certi settori così delicati.
In questo caso, pensando allo splendore dell’ambientazione del Santa Maria della Pietà, e ripensando al Criterio 3 del D.P. 22.12.1989, (Norme per la progettazione di Residenze Sanitarie Assistenziali) che recita: “La concezione architettonica e spaziale deve ricreare, all’interno della struttura, condizioni di vita ispirate a quelle godute dagli ospiti al proprio domicilio”, mi chiedo se questa struttura non possa e non debba esser destinata a questa indispensabile funzione … specie in un Paese come il nostro dove, a causa di scelte politiche che hanno progressivamente disincentivato l’interesse a metter su famiglia e fare figli, l’età media risulta essersi drasticamente innalzata.
Ebbene, in una Regione dove scarseggiano i posti letto, dove l’assistenza pubblica agli anziani è un problema serio a carico delle famiglie … grazie al quale esiste perfino un “racket delle badanti[8]”, forse sarebbe il caso di considerare che il Santa Maria della Pietà potrebbe destinarsi proprio a questa funzione!
La proprietà del complesso è suddivisa fra la Regione Lazio (12 padiglioni) e l’Azienda ASL (24 padiglioni), ed ha una consistenza edilizia complessiva di circa 500 mila mq su 36 edifici all’interno di un vasto parco urbano, (con circa 7 chilometri di viabilità interna) di pertinenza ai fabbricati, che ha una superficie di 27 ettari ed una vegetazione di estremo interesse botanico che, come detto, risulterebbe un ambiente meraviglioso, in grado di risollevare lo spirito dei degenti!
Se comunque non dovesse essere questo mio suggerimento la possibile soluzione allo stato di degrado, altre ne potrebbero scaturire da un serio dibattito per il quale, già dall’ottobre 2016, esisterebbero anche delle “Linee Guida per la Valorizzazione del dismesso Ospedale Psichiatrico “Santa Maria della Pietà” di Roma, ai fini della sua riconversione”. Un documento ricco ed utile, indi snobbato, elaborato da un noto e stimatissimo docente della Facoltà di Architettura il quale, essendo una persona modesta, ergo grande e pura, mi ha chiesto di non esser menzionato.
Appare inimmaginabile che una struttura del genere, pur sottoposta a tutela ai sensi del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, “Codice dei beni culturali e del paesaggio” versi in questo stato … o forse non occorre nessuna immaginazione al pensiero che i nostri amministratori e governanti, come visto di recente, ambiscono a far cadere in rovina e svendere il nostro patrimonio, piuttosto che trarne un lungo e duraturo profitto[9].
Un ultimo capitolo merita la vicenda di Palazzo Nardini[10], il più grande palazzo quattrocentesco (di oltre 6500 mq) nel centro di Roma che, da quasi 40 anni, risulta abbandonato e preda del degrado.
Il palazzo ha una lunghissima ed affascinante storia, che va dall’esser stato sede del primo governatore della città, da cui il nome della strada su cui si affaccia, via del Governo Vecchio appunto, ad essere stato sede della Pretura per poi, negli anni della contestazione, esser stato la Casa delle Donne.
Ebbene, nel programma di dismissione del nostro patrimonio, promosso da degli amministratori i quali, essendo incapaci di gestire la cosa pubblica nel medio lungo termine, preferiscono optare per la politica dei “pochi maledetti e subito”, questo meraviglioso Palazzo rischia di venir frammentato in residenze di lusso ed altre funzioni che lo snatureranno, contravvenendo alla normativa sul restauro e la conservazione dei beni architettonici, che impedirebbe modifiche interne che compromettano l’integrità e la lettura degli ambienti originari.
Anche in questo caso, il tempo rischia di correre troppo in fretta prima che qualcuno possa intraprendere un ricorso che impedisca questo ennesimo scempio.
Per questa ragione, al fine di dare qualche suggerimento ai nostri amministratori pubblici interessati a far “tornare di moda l’onestà”, ma anche a beneficio di quelli, distratti, dell’attuale giunta regionale, nonché a beneficio di qualsivoglia associazione di cittadini interessata a combattere queste battaglie, tengo a ricordare che, nonostante l’abominio generale delle leggi in base alle quali stanno perpetuandosi questi scempi, il famigerato Piano Casa chiariva:
«Particolare attenzione è rivolta agli aspetti paesaggistici ed ambientali. A tale scopo sono vietate le trasformazioni all’interno degli insediamenti urbani storici (come individuati dal Piano Paesistico Regionale), nelle aree a rischio idrogeologico e nei complessi rurali realizzati prima del 1930, oltre che nelle aree particolarmente delicate dal punto di vista idrogeologico ed in quelle di demanio marittimo.
Sono previsti, inoltre, una serie di possibili interventi, di iniziativa pubblica e/o privata, volti al cambio di destinazione d’uso degli edifici non residenziali dismessi o non completati, con la finalità di recuperare tali volumetrie ai fini residenziali, riservando un quota compresa fra il 30 ed il 35% da destinare a locazione a canone concordato (housing sociale).[11]»
Mentre la nuovissima “Legge sulla Rigenerazione Urbana” afferma[12]:
«La legge sulla rigenerazione urbana, Legge Regionale 18 luglio 2017, n. 7 “Disposizioni per la rigenerazione urbana e per il recupero edilizio” è stata approvata dal Consiglio regionale e detta disposizioni ordinarie finalizzate ad incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, promuovere la riqualificazione di aree urbane degradate e di tessuti edilizi disorganici o incompiuti e riqualificare edifici a destinazione residenziale e non residenziale mediante interventi di demolizione e ricostruzione, adeguamento sismico e efficientamento energetico (…)limitare il consumo di suolo, razionalizzare il patrimonio edilizio esistente, riqualificare aree degradate e caratterizzate da funzioni eterogenee e tessuti edilizi incompiuti, migliorare la sicurezza statica, la sismicità e l’efficienza energetica degli edifici esistenti, nonché favorire la realizzazione di nuove opere pubbliche ed il completamento di quelle previste.
(…) Sono escluse dal campo di applicazione della legge;
- le aree sottoposte a vincolo di inedificabilità (…).»
Ebbene, se nel primo caso appare espressamente detto che “sono vietate le trasformazioni all’interno degli insediamenti urbani storici”, così come appare chiaro che, in nessuno dei casi in narrativa, né nel caso degli edifici già vittime dell’errata applicazione di queste norme vi sia un 30 – 35% di volumetria destinata ad “housing sociale”, nel secondo viene invece chiaramente detto che la norma trovi applicazione esclusivamente in “aree urbane degradate e di tessuti edilizi disorganici o incompiuti” che, per certo, non possono essere Palazzo Nardini e/o il centro storico di Roma, né tantomeno le zone e/o complessi edilizi ed ospedalieri degli anni ’30 che, infatti, fino all’abominevole PRG 2008, risultavano essere classificate nelle “Zone B” e, come tali, immodificabili ed eventualmente da sottoporre a vincolo!
[1] Infatti, nel capitolo – Obbligazioni del Mandatario, art. 1710 (Diligenza del mandatario) si legge: «Il mandatario è tenuto a eseguire il mandato (2030, 2392, 2407, 2608) con la diligenza del buon padre di famiglia» (1176 – diligenza nell’adempimento).
[2] http://nuvola.corriere.it/2017/08/01/cercasi-infermieri-italiani-a-londra-ma-molti-non-superano-il-test-di-inglese/
[3] http://roma.repubblica.it/cronaca/2017/10/29/news/roma_caso_san_giacomo_l_ospedale_fantasma_chiuso_da_dieci_anni_qui_niente_alberghi_-179683296/
[4] http://www.iltabloid.it/2016/12/22/roma-forlanini-santori-fdi-svenduto-a-250-euro-al-metro-quadro-pronto-esposto-alla-procura.html
[5] http://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/notizie-flash/2018-02-06/lazio-nuova-vita-socio-sanitaria-l-ex-ospedale-forlanini–170033.php?uuid=AEY7EUvD
[6] http://www.regione.lazio.it/consiglio-regionale/?vw=newsDettaglio&id=2499#.WoFcYOghJPY
[7] http://roma.repubblica.it/cronaca/2018/01/30/news/roma_scempi_legalizzati_giu_altre_9_ville-187612448/
[8] http://www.libertas.sm/notizie/2017/06/01/san-marino-barbara-bartolini-sul-caso-badanti.html
[9] http://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2017/10/21/dopo-via-ticino-incontri-ravvicinati-di-terzo-tipo-col-ministero-dei-beni-culturali/
[10] http://roma.repubblica.it/cronaca/2018/01/08/news/roma_palazzo_nardini_pronta_la_vendita_da_casa_delle_donne_a_resort_di_lusso-186048359/
[11] http://www.regione.lazio.it/rl_urbanistica/?vw=contenutidettaglio&id=86
[12] http://www.regione.lazio.it/rl_urbanistica/?vw=contenutiDettaglio&cat=1&id=234
2 pensieri su “La malsana politica della Regione Lazio in materia di Sanità e patrimonio urbanistico-architettonico”