Alla luce di quello che è successo a Rimini nell’ultimo anno, nonostante i tentativi reiterati di riportare alla ragione il sindaco da parte dei cittadini e di moltissimi rappresentanti della cultura locale e nazionale, sono portato a pensare che un giorno il sindaco Gnassi, attraversando il Ponte di Tiberio sul Marecchia, debba essersi sentito come Giulio Cesare sul Rubicone[1], sentenziando che non potesse più tornare indietro su una decisione presa: “alea iacta est!”
Ma è davvero impossibile tornare sui propri passi?
Il comportamento del sindaco nei confronti della stragrande maggioranza dei riminesi (e non solo), che non gradiva l’installazione dell’immonda passerella in acciaio e legno sulle mura lungo il Marecchia, è stato davvero incomprensibile ed oltraggioso.
Io stesso, a luglio, venni invitato da alcuni colleghi e amici riminesi ad esprimere il mio parere sulla vicenda[2] … il risultato fu un’inutile ondata di consensi ed un paio di patetici, quanto ignobili, attacchi personali scritti da personaggi inqualificabili che parlavano in nome della politica vista come tifo calcistico, piuttosto che in nome dell’amore per la propria città! … Uno in particolare – peraltro un collega – in assenza di argomenti, ebbe ad offendermi personalmente per ragioni ideologiche e per una ingiustificabile “gelosia professionale”, acutizzata da un titolo di giornale locale che mi aveva definito “luminare” … titolo che io stesso rifuggo e non ho mai ostentato.
Successivamente, anche Italia Nostra nazionale scese in campo, ma anche lei senza ottenere un bel nulla … evidentemente il “dado era tratto” davvero e così, lo scorso 31 marzo, la passerella è stata inaugurata in pompa magna[3].
Il 2 aprile, il sito riminiduepuntozero.it ha pubblicato un bellissimo e ben argomentato articolo a firma di Giovanni Rimondini. Nell’articolo l’autore smonta in toto l’opera e mette a confronto l’atteggiamento dispotico del sindaco riminese, con il metodo “fascista” di operare durante il ventennio e quello “comunista” post bellico.
«[…] Il sindaco Andrea Gnassi non è un esperto di archeologia, né di storia e né di arte, ma gli vengono queste idee relative ad ambiti di competenza culturale non suoi e tutti dobbiamo subirle, perché col sindaco Andrea Gnassi non si discute, si ubbidisce e zitti. Decide lui. Questo rigore e squallore di decisioni personali non è, come qualcuno dice, un segno di un qualche disturbo caratteriale, ma il residuo del metodo togliattiano del cosiddetto “centralismo democratico”. Quando c’erano le sezioni del PCI, si leggevano gli ukase del “migliore” e dei suoi successori, tutti i compagni si alzavano per attestare la loro adesione: – Sono d’accordo col compagno segretario… Chi avanzava anche solo dei dubbi era fuori. Il comunismo non è morto. Ma nemmeno il fascismo, perché questi interventi sul corpo storico della città ricordano nello ‘stile’ politico quelli che Benito Mussolini faceva sul corpo storico della Nazione».
A tal proposito, ed anche per far comprendere al signor sindaco quanto possa essersi spinto oltre il limite del dispotismo di certi regimi, dai quali l’Italia sperava di essersi liberata per sempre, vorrei ricordare un aneddoto riportato nell’autobiografia del grande architetto Armando Brasini.
Per meglio comprendere l’aneddoto devo sottolineare il fatto che Brasini fu un personaggio straordinario, non solo per le sue capacità artistiche e progettuali, ma anche per il suo coraggio di dire le cose, senza peli sulla lingua, a chiunque gli capitasse davanti. Brasini, che ebbe il coraggio di non prendere mai la tessera del Partito Fascista, grazie alla sue capacità professionali, venne comunque tenuto in grandissima considerazione dal duce, per poi esser messo ai margini della professione a seguito della partecipazione al Concorso ad inviti per il Palazzo de Soviet a Mosca, che gli costò una “pugnalata alle spalle” da parte del suo “amico” e collega fascista, Marcello Piacentini … Ironia della sorte, l’ignoranza post bellica dell’intellighenzia catto-comunista, lo condannò ingiustamente come fascista, giammai per le sue idee politiche, ma semplicemente perché seguiva un tipo di architettura che, certi “esperti storici” del momento al soldo degli speculatori ritenevano fascista, ignorando il fatto che si trattasse invece dell’unico “stile” messo al bando dal fascismo[4].
Ebbene, a beneficio di chi creda davvero nell’ipotesi che Gnassi non potesse più tornare indietro sulla decisione presa, riporto questo passaggio tratto dall’autobiografia[5] Armando Brasini, su cui invito il sindaco e tutti i riminesi a meditare:
«Ricorderò che al tempo in cui presentai a Mussolini i progetti della via Imperiale, della via del Mare, l’ingrandimento della Piazza dell’Ara Coeli (che venivano a formare un’unica visione con il complesso monumentale che circonda il Vittoriale), un giorno mi accorsi che tra il Palazzetto Venezia in Piazza San Marco e la via dell’Ara Coeli si allestiva un grande recinto che aveva l’apparenza di un cantiere edilizio. Meravigliato, per rendermi conto di quanto stava succedendo chiesi notizia in proposito al governatore di Roma, il Principe Boncompagni, il quale mi informò di aver ceduto l’area recintata alla “Confederazione dell’Industria” la quale avrebbe fatto costruire un grande edificio. Alle mie proteste mi fu risposto che non vi era più nulla da fare perché il progetto del costruendo palazzo era già stato approvato dai più eminenti architetti del consiglio superiore dei Lavori Pubblici, dal ministro Ricci e financo da Mussolini, il quale aveva firmato di suo pugno il progetto stesso. Posto di fronte al fatto compiuto scrissi una lettera vivacissima a Mussolini, facendo presente che l’approvazione da parte sua della costruzione di quel palazzo era in netto contrasto con quanto egli aveva approvato precedentemente, mentre lo stato di fatto veniva a compromettere irrimediabilmente l’intera zona. Mussolini rendendosi conto dell’errore mi fece chiamare, mi ringraziò, ed accettò il mio consiglio; dopo di che diede ordine di sospendere l’inizio dei lavori e ciò permise di salvare la visione del Campidoglio e di tutto quanto lo circonda e che forma la più grande visione della romanità nelle sue epoche».
L’arroganza e la presunzione di Mussolini sono rimaste impresse nella storia, “il Duce non sbaglia mai” era il suo convincimento … tuttavia l’aneddoto riportato ci mostra come, anche chi supponesse la sua perfezione assoluta fosse in grado, in nome dell’amore per Roma, di ammettere i propri sbagli bloccando un progetto riconosciuto come “sbagliato”.
Quando un sindaco – come già fece Rutelli a Roma con Meier e l’Ara Pacis – in nome della sua fame di fama se ne strafrega del parere dei suoi cittadini, andando avanti per la sua strada sbagliata, i risultati (pessimi) si raccolgono presto … e la città non ne beneficia affatto.
L’intervento di Meier, così come avevo denunciato in epoche non sospette[6], ha aperto la stagione romana (dopo quelle fallimentari di Parigi e Londra) per ogni possibile scempio urbanistico … va da sé che, dopo Meier, tutti gli architetti e palazzinari si siano sentiti legittimati a violentare la città, e così tanti scempi sono stati messi in atto in danno della Capitale e molti altri siano in itinere!
Più di recente, come avevo raccontato nell’articolo col quale avevo provato a far riflettere Gnassi, un altro sindaco, Massimo Federici di La Spezia, ha avuto l’arroganza di imporre uno scempio all’interno della sua città … e le cose non gli sono andate benissimo: infatti, dopo l’inaugurazione dell’ignobile “riqualificazione” di Piazza Verdi, griffata dal presunto artista di fama internazionale Daniel Buren, gli spezzini lo hanno scaricato malamente, non rieleggendolo e sbeffeggiandolo all’indomani della sua sconfitta totale.
PS
Rimini, di recente, non è stata sfregiata solo con la “passerella della vergogna” – destinata ad avere vita breve, visto il modo ed i materiali con cui è stata realizzata – ma è stata anche teatro dell’immonda sistemazione, degna di un outlet o di uno shopping-mall di una squallida periferia americana, davanti al Castello Sismondo.
Il sindaco, come si è detto, ha sicuramente le sue colpe … ma la Soprintendenza in questi due scempi ha svolto un ruolo importantissimo, quanto irresponsabile!
Se dunque l’operato politico del sindaco risulta censurabile, quello dei responsabili dell’ente che dovrebbe tutelare il nostro patrimonio appare inaccettabile e meritorio di profonde riflessioni a livello nazionale!
[1] http://www.treccani.it/vocabolario/alea-iacta-est/
[2] http://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2017/07/06/rispetto-per-il-ponte-di-tiberio-a-rimini/
[3] http://www.riminiduepuntozero.it/nelluovo-di-pasqua-ce-la-passerella-fantozziana/
[4] Cfr. Ettore Maria Mazzola, “Architettura e Urbanistica – Istruzione per l’Uso”, Gangemi, 2007. Nel 1938 – nell’interesse dei soli “palazzinari” – affinché non si osasse più costruire in modo tradizionale, a cura del Ministero della Pubblica Istruzione Italiano venivano promulgate le “Istruzioni per il restauro dei Monumenti” il cui punto 8 così recitava: «per ovvie ragioni di dignità storica e per la necessaria chiarezza della coscienza artistica attuale, è assolutamente proibita, anche in zone non aventi interesse monumentale o paesistico, la costruzione di edifici in “stili” antichi, rappresentando essi una doppia falsificazione, nei riguardi dell’antica e della recente storia dell’arte»
[5] “L’Opera Architettonica e Urbanistica di Armando Brasini – dall’Urbe Massima al Ponte sullo Stretto di Messina” – A cura di Luca Brasini, Stabilimento Tipografico Arti Grafiche Joniche del Rag. A. Pagnotta, Corigliano Calabro (CS), 1979.
[6] Cfr. Ettore Maria Mazzola, “Sacrificati da Rutelli sull’Ara Pacis” “Carta Qui, il Lazio e Roma” Nr.7, Febbraio 2006
Bene hai fatto a ricordare brevemente la figura e la personalità di Brasini senza sorvolare sulla superficialità dei suoi detrattori.