Poco dopo aver appreso del “dono” del nostro senatore a vita alla “sua” Genova, avevo scritto[1] ciò che pensavo di quel gesto e di quella proposta. In molti, del resto, si sono poi indignati davanti a cotanta sfacciataggine e presunzione, oltre che davanti alla proposta stessa, quantomeno discutibile!
A seguire, però, sono venute fuori ulteriori ipotesi di ricostruzione che, piuttosto che aiutare il governo italiano e il governatore della Liguria a capire che occorrerebbe rivedere il modo di concepire, affidare e coordinare la “ricostruzione”, in nome di una logica più sostenibile, rischiano di far trionfare la proposta di Renzo Piano come l’unica strada percorribile.
Per esempio, la proposta dell’arch. Giavazzi di Bergamo[2], il cui video ha spopolato nella rete, appare come quanto di più assurdo ed ipocrita si possa auspicare per risolvere il problema. Nel video viene mostrato un progetto delirante ispirato alla folle proposta di Le Corbusier per Rio de Janeiro che, sebbene appaia assolutamente insostenibile sotto tutti i punti di vista, viene presentato come “sostenibile”, “ecologico” e quant’altro, nel tipico linguaggio degli architetti-demiurghi abituati ad abusare terminologicamente di parole ed argomenti lontani anni luce dalla realtà di ciò che propongono. Del resto, questo tipo di abuso è anche conseguenza del fatto che la gente comune, vuoi per pigrizia, vuoi per una ingiustificata sudditanza psicologico-culturale nei confronti di “chi ci capisce”, vuoi per menefreghismo, finge di comprendere e apprezzare l’operato di chi risulti più bravo con la lingua che con la matita a progettare!
Sul caso Giavazzi e sulla sua “sponsorizzazione” da parte di Beppe Grillo viene da chiedersi se all’ex comico genovese sia partita definitivamente la brocca o se, più maliziosamente pensando, possa aver deciso di fingere di spingere per questa follia, in modo da poter essere messo alla berlina e spianare così la strada all’amico e consigliere di sempre (oltre che concittadino), Renzo Piano! … Come diceva il pessimo Giulio Andreotti, “a pensar male si fa peccato, ma spesso si ha ragione!”
In questa tristissima vicenda tuttavia, ciò che più mi ha spiazzato, è stata la “proposta alternativa” presentata da Italia Nostra[3], una proposta profondamente in contraddizione con quello che, a mio modesto avviso, dovrebbe essere l’approccio di questa fondamentale istituzione a tutela del nostro territorio!
Sin dalla premessa giustificativa della “proposta”, il discorso di Italia Nostra appare una contraddizione (più avanti spiegherò il perché), laddove si legge: “Si procede oggi sulla base della fretta alla forzatura di un’unica soluzione possibile. Dissentiamo. Il ponte Morandi è stato un ponte monumentale vissuto con orgoglio dalla città che identificava in quella struttura il suo “Ponte di Brooklyn”.
Ne siamo proprio sicuri? Davvero TUTTI i genovesi la pensavano così? Davvero tutti i genovesi, specie quelli che hanno visto la luce andar via dalle loro finestre a seguito della “strada volante” sulle loro case, erano orgogliosi di quella presenza? Davvero possiamo (o farei meglio a dire “dobbiamo”) considerare un monumento una struttura mastodontica, del tutto irrispettosa delle persone, delle case e del paesaggio, solo perché progettata da un “mostro sacro” vietato da criticare? Davvero Italia Nostra vuol farci credere che, se Morandi fosse vissuto oggi e se avesse proposto oggi quella follia, non si sarebbe opposta alla costruzione e, addirittura, l’avrebbe difesa e considerata un simbolo e un monumento identificativo di Genova?? Davvero Italia Nostra vuole farci credere che, se Calatrava (per citare l’archistar più in voga in materia di ponti), dall’alto nel suo nome prestigioso, progettasse un viadotto che dalla Giustiniana volasse fino alla Romanina per abbreviare la lunghezza del GRA, passando sulle case di Roma, avallerebbe la proposta, come fecero i politici e gli esperti che avallarono l’opera di Morandi negli anni ‘60? Non sarà che anche all’interno di Italia Nostra possano esserci architetti e ingegneri “consiglieri”, troppo ideologicamente schierati a favore del presunto “moderno”, che indirizzano in maniera sbagliata la presidenza, facendogli perdere di vista le possibili contraddizioni con lo spirito dell’istituzione?
A cosa vale quindi la giustissima lamentela riguardo al “silenzio della Soprintendenza” genovese, se il parere richiesto mira a tenere in piedi e ricostruire un’opera che violenta il paesaggio e la città?
Come si può immaginare che Italia Nostra rivendichi la necessità di “restituire a Genova il suo simbolo”, dimenticando che il simbolo della città sia la “Lanterna” e non il “Ponte Morandi”?
Inoltre, appare davvero inimmaginabile – peraltro ben sapendo quello che sia lo stato di conservazione[4], ergo di vita rimanente della tratta di autostrada sopravvissuta alla tragedia – che il più importante presidio a difesa del nostro ambiente e patrimonio italiano possa aver affermato:
«Si valuti dunque, perlomeno, la soluzione tipologica che corrisponde all’ipotesi di un ponte in acciaio, formato da tre campate sospese, con tre piloni di altezza totale di oltre 100 metri, con il piano autostradale posto a 45 metri dal piano di campagna. I piloni sostengono la soletta su cui transitano i veicoli per mezzo di tiranti, detti stralli, costituiti da robusti cavi d’acciaio. Rispetto alla lunghezza complessiva dell’attraversamento della Val Polcevera, pari a 1100, le tre campate centrali saranno concepite per una lunghezza complessiva di oltre 600 metri, evitando ogni interferenza idrogeologica. Anche questo ponte potrebbe essere realizzato adottando le più moderne tecnologie costruttive, con i massimi standard di sicurezza, di affidabilità, di manutenibilità e di vita nel tempo».
Purtroppo, davanti a certe affermazioni, devo ricordare come mi sia già capitato anni fa di dover discutere, all’interno di Italia Nostra, con persone che, nel bel mezzo della battaglia per impedire la formazione della “Commissione Grattacieli” proposta dalla giunta Alemanno, pensavano a difendere gli scheletri degli immondi grattacieli dell’EUR, ritenuti un “simbolo”, piuttosto che cogliere la palla al balzo e promuoverne la demolizione e sostituzione con un’edilizia più consona al contesto … certe contraddizioni non riuscirò mai a comprenderle, se non in base all’ideologia degli architetti ed alla loro mancanza di coraggio di rimettere in discussione determinate figure “intoccabili” dell’architettura italiana!
A chi faccia certi proclami credo inoltre utile ricordare che, indipendentemente dalle presunte affermazioni di alcuni genovesi circa il ruolo “simbolico” del Ponte crollato, la realtà dei fatti ci racconta che i genovesi e non solo, viste le inquietanti affermazioni dell’ex capo della protezione Civile, Bertolaso, riguardo alle infrazioni sui limiti di velocità dettate dal terrore di transitare su quel viadotto[5], vivessero con terrore la presenza del viadotto incombente sulle loro teste, definendolo come un qualcosa di inquietante[6], piuttosto che un simbolo in cui riconoscersi. Semmai, come dichiarato dal comico Luca Bizzarri, “i genovesi, di ritorno verso casa, nel vedere da lontano quel ponte, capivano di essere giunti a destinazione”, che è cosa ben diversa da poter ritenere che i genovesi si identificassero orgogliosamente con quella struttura, come qualcuno (che non viveva e non vivrebbe mai sotto quella immensa “spada di Damocle”) ha voluto far credere!
Come ho già scritto negli articoli precedenti, resto fermamente convinto che “non sia la velocità con la quale si raggiunga un luogo ad essere importante, ma la sicurezza con la quale lo si raggiunga”, ragion per cui ancora una volta voglio ribadire che, indipendentemente dai proclami di archistars e demiurghi, indipendentemente da progetti folli di architetti e ingegneri in cerca d’autore, indipendentemente da proposte di ponti volanti da parte di associazioni a tutela del paesaggio e del patrimonio, ciò che serve a Genova sia un percorso alternativo, certamente più lungo da realizzarsi e da percorrere e sicuramente caratterizzato dalla presenza di gallerie, che risulti il più rispettoso possibile dell’orografia e delle vite umane, piuttosto che dell’ego del progettista e degli interessi fondiari o, comunque, privati!
A conclusione, ospito volentieri alcune immagini commentate da parte dell’amico Luciano Belli Laura riguardo la proposta di Renzo Piano.
UN BEL GIOCO PER ESSERE BELLO DEVE DURARE POCO … Quello di Renzo Piano, invece, durerà “mille anni”. Parola di archistar.
di Luciano Belli Laura
[1] http://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2018/09/02/genova-crolli-doni-sgraditi-e-necessita-di-ricostruire-un-paese-allo-sfascio/
[2] http://www.askanews.it/video/2018/09/17/sul-blog-di-grillo-progetto-alternativo-per-il-ponte-di-genova-20180917_video_19452659/
[3] https://genova.repubblica.it/cronaca/2018/09/11/news/_non_c_e_solo_renzo_piano_la_proposta_di_italia_nostra-206127696/
[4] http://espresso.repubblica.it/attualita/2018/09/13/news/ponte-morandi-1.326939
[5] https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/08/16/ponte-morandi-bertolaso-ogni-volta-che-lo-attraversavo-correvo-il-piu-possibile-e-violavo-tutti-i-limiti-di-velocita/4562945/
[6] https://www.avvenire.it/attualita/pagine/il-ponte-crollato-per-i-genovesi
caro Ettore, sabato 15 Italia Nostra, per effetto della scadenza del Consiglio nazionale e delle elezioni conseguenti, ha eletto i suoi nuovi rappresentanti. L’elettorato ha ritenuto di confermarmi fiducia e mi ritrovo di nuoco Consigliere nazionale. In questa fase di passaggio delle consegne il dibattito si è limitato a scambi di email e messaggi wtp. Il tema non è stato discusso dal CDN e quanto espresso da Oreste è l’espressione del presidente uscente e della sezione locale.
la mia opinione -in estrema sintesi- è che debba consolidarsi quanto sopravvissuto e possibile (oggi le tecniche, peraltro non invasive, abbondano) e ricostruire “com’era dov’era”. Il problema va trasferito sul piano dell’urbanistica (che non si insegna più a nessuno, salvo rare eccezioni): su quello che c’è da fare rifare e trasferire sotto il ponte, sulle questioni idrogeologiche del sito e non solo, sulla rete dei collegamenti urbani ed extra. seguirò il dibattito sul tuo blog e premo perchè il nuovo CDN discuta e decida opportunamente quanto prima. un caro saluto
Mi chiedo se una soluzione di compromesso non possa invece essere proprio avanguardia di un nuovo modo di pensare urbanistica e paesaggio.
Da un lato ricostruire il ponte, salvaguardando l’attuale arteria autostradale MA SOLO in attesa di realizzare un nuovo e migliore collegamento, terminato il quale la vecchia strada potrà essere destinata al traffico locale.
Dall’altro ricostruire sì, ma IN MURATURA, quindi realizzando un ponte ad arcate di 70-100 metri, tutt’oggi perfettamente alla portata dell’ingegneria e senza nemmeno troppi sforzi (un po’ meno, credo, delle maestranze italiane dopo 70 anni di cemento armato ovunque).
Ora io ne faccio una questione politica (nel senso alto del termine): ricostruire, ma con criteri di sostenibilità ambientale vera e soprattutto sostenibilità paesaggistica, significa imporre su un palcoscenico come quello un ritorno a un paradigma estetico di decenza tradizionale. Una volta dimostrato coram populo che “sì, si può costruire come una volta opere di proporzioni gigantesche che non facciano esteticamente schifo pure a Bocelli” si romperà una diga di conformismo.
Dispiace che tutti i politici si siano affannati a promettere la ricostruzione del ponte dov’era e com’era (nel senso di “monumentale”, “incombente”, “simbolo per i genovesi”), senza pensare che questa è un’occasione per un ripensamento urbanistico della città. Siamo sicuri che i genovesi si sentirebbero così persi senza il ponte Morandi, la diga di Begato, il biscione o le lavatrici, dopo aver rinunciato al rione di Madre di Dio e al colle di San Benigno? D’altra parte, il mix di modernità e antichità, di coraggio e nostalgia è sicuramente uno dei marchi di fabbrica di questa città. Perché allora non aprire un dibattito, sulla Val Polcevera, anche senza quel ponte. L’autostrada sarà interrotta per un paio d’anni durante i quali bisognerà adattare soluzioni di viabilità. Si potrebbe dare impulso alla realizzazione della gronda e interrompere da ora l’autostrada a Pra. Si potrebbe far scendere il moncone di ponente sul Polcevera per attraversare il fiume con 1-2-3 piccoli ponti nuovi ad arcata, ideati in un ripensamento globale della viabilità e dell’urbanizzazione. Si potrebbe trovare il modo di collegare l’uscita di Cornigliano all’area Ilva senza gravare sulla viabilità della città e dell’aeroporto. Ma vi prego, ditemi che il progetto bergamasco è solo uno scherzo di cattivo gusto!
complimenti per lo splendido, breve e puntualissimo commento! Grazie davvero per il prezioso contributo
Mi viene da pensare, caro Ettore, che se il ponte crollato si inscrive nell’ideologia del cemento armato, questo che si vede qui sopra si inscrive in quella del facciamo presto senza pensarci troppo e soprattutto senza cambiare punto di vista nell’approccio urbanistico generale prima ancora che architettonico e tecnologico.
I ponti sospesi crollano se sopra ci passano Tir e milioni di auto. Ora il fatto che il pontesia crollato a ferragosto con traffico minimo e non abbia abbattuto decine di palazzi e fabbriche sottostanti causando non 43 morti ma 500/1000 morti e’ un caso. Certo sarebbe stato meglio fosse crollato di notte quando non passava nessuno. Chi non ha chiuso il ponte sara giudicato dai giudici.Puoi spendere in manutenzione tutti soldi che ti pare ma non bastano. In occasione della scelta ,visto che nessuno ne parla, proporrei valutare alternativa nuova esisterebbe ipotesi TUNNEL. Un fascio di 5 tunnel sotterranei in cui far passare 1_auto, 2_tir pesanti,3_ferrovia, 4_tunnel di soccorso 5 tunnel servizio metropolitana