Ai milanesi, evidentemente, non bastava aver vissuto gli sprechi dell’EXPO e City Life e doversi preparare a quelli delle Olimpiadi e del nuovo Stadio del Milan e dell’Inter – rigorosamente accompagnato da un’immane colata di cemento come nel triste e controverso caso di Tor di Valle a Roma – così è stata tirata fuori dal cilindro magico del “partito del cemento” l’idea di realizzare un nuovo mega Centro Commerciale, il “Merlata Mall[1]”.
Sebbene stiano venendo al pettine molti nodi relativi all’immonda speculazione dell’EXPO 2015[2] e City Life, a Milano sembra che il cemento ed il consumo di suolo non abbiano mai fine.
Viene da chiedersi: è mai possibile che non si possa mai pensare ad un corretto riuso, piuttosto che continuare a consumare suolo e cementificare? E poi, è mai possibile che a Milano, qualsiasi intervento si promuova – Nuovo Policlinico incluso – debba sempre essere necessario realizzare un mega centro commerciale[3]??
Ma chi ci va a vivere e lavorare in tutte queste nuove, immense, volumetrie? Forse a Milano sono così avanti che cloneranno le persone per fare in modo che l’offerta possa apparire rispondente alla reale domanda? E poi, se così fosse, chiediamoci: è possibile che a Milano ci siano tanti nababbi in cerca di casa, piuttosto che persone del ceto medio-basso in cerca di un semplice alloggio? … Sperando che la risposta non si tramuti in una presa per i fondelli come gli appartamenti del “Bosco Verticale” che dovevano essere a prezzo calmierato per le giovani coppie e poi sono stati messi sul mercato a prezzi per principi sauditi!
Anche sui commercianti milanesi occorrerebbe riflettere: quanti sono i negozianti che necessitano di aprire un nuovo esercizio a Milano? E quanti sono i ristoratori che necessitano di fare altrettanto? … Poi però, onestamente pensiamo anche a quante attività già in essere dovranno chiudere, a seguito dell’apertura di tutti questi nuovi mega centri commerciali, peraltro lontani dalle strade dove la gente gradirebbe poter continuare a passeggiare in libertà e sicurezza!
Questa estate, polemizzando sul progetto per San Siro, il caro amico prof. Sergio Brenna, aveva scritto sulla sua bacheca FB:
«Come negli anni ’50/’60, quando a decidere dove, quanto e che cosa costruire era la convenienza economica di proprietà fondiarie e investitori immobiliari. Con due aggravanti, però: 1) che oggi la dimensione fisica ed economico-temporale degli interventi proposti ai Comuni è enormemente accresciuta dalla dimensione finanziaria globalizzata; 2) che allora i Comuni si dividevano tra quelli succubemente asserviti da Giunte compiacenti (Roma/Rebecchini, Napoli/Gava, Palermo/Ciancimino e giù giù per varie plaghe d’Italia) e quelli che si illudevano di poter beneficiare di qualche contropartita di utilità pubblica, moderandone le tendenze pur senza una visione di pianificazione pubblica preventiva. Oggi i Comuni, indipendentemente dall’orientamento politico, pensano solo a facilitare le aspettative di investimento finanziario degli operatori, offrendosi di comparteciparvi con le aree di proprietà comunale (è accaduto con 100.000 mq comunali a Porta Nuova e rischia di accadere con quelle di S. Siro)».
Mentre Matteo Cattaneo, commentando l’articolo di Marco Bellinazzo pubblicato su Il Sole 24 Ore, Economia e Imprese, Sport & Business l’11 luglio[4], scriveva:
«90 anni? Una riflessione sulla questione San Siro, lasciando da parte ogni considerazione sullo Stadio (aspetto storico, cosa farne, come sarà, aspetti procedurali e formali): Come può la Giunta valutare la pubblica utilità di qualcosa che non può conoscere? Non sarebbe meglio ridurre (e di molto) i termini della Concessione? La Giunta esprimerà un parere sulla pubblica utilità di questa iniziativa che si basa finanziariamente su proventi immobiliari di massive edificazioni parallele all’impianto sportivo e che prevede un partenariato da parte del Comune stesso, con concessione dei suoli per 90 anni. Lasciando da parte anche le considerazioni sui ruoli (Squadre di calcio che fanno Real Estate, Enti pubblici che entrano sul mercato come partner di iniziative speculative), la durata della concessione dà da pensare: il ciclo vita degli edifici proposti nei rendering è inferiore alle concessioni e di molto; la partecipazione del project financing a questo tipo di iniziative è di molto, di molto più breve. Viene da pensare che nel corso dei 90 anni di concessione saranno diverse le modifiche, le demolizioni, le ricostruzioni, gli apporti finanziari, la forma e l’utilizzo stesso dell’area, a seconda delle scelte degli “inquilini” e a seconda anche delle Giunte municipali che si susseguiranno e del quadro normativo che cambierà: e tutto questo non è valutabile in quello che ad oggi è all’esame della Giunta, di qualunque documentazione secretata si tratti».
… che dire? Lo slogan di una vecchia pubblicità definiva Milano“da bere” mentre oggi, guardando alla tavola imbandita dai palazzinari e dai loro “mecenati” della politica, potremmo farne uno nuovo parlando di “Milano da mangiare”, visto che nulla – nemmeno le accorate richieste di appello di chi stia denunciando la follia in corso – sembra essere in grado di fermare i tentacoli dei cementificatori milanesi (ed esteri)!
Quello che più disturba di queste operazioni è che, sempre, i promotori abusino di termini positivi quali sostenibilità, rigenerazione e/o riqualificazione urbana, resilienza, smart, eco, bio, ecc., per far presa sulla gente credulona e spianare a strada all’ennesima colata di cemento! …
Del resto la loro forza risiede proprio nel menefreghismo della gente disposta a farsi prendere per i fondelli: quante sono le persone che vanno a controllare i numeri reali per verificare se le frasi dette corrispondano alla realtà?
Tanto per intenderci, gli edifici spacciati come “sostenibili” in occasione di recenti giochi olimpici di Pechino e Londra, non si sono dimostrati essere esattamente quello che era stato detto: la cosiddetta “carbon footprint[5]” del Bird’s Nest Olympic Stadium di Pechino, progettato da Ai Weiwei, Pierre de Meuron, Jacques Herzog, Li Xinggang è valutata in 1300 kg CO2 e/m2, mentre quella dell’Olympic Stadium di Londra, progettato da Populous Architects è pari a 250 kg CO2 e/m2 … diversamente, quella del meno conosciuto Mapungubwe Interpretation Centre di Peter Rich Architects, realizzato “a chilometri zero” e con materiali durevoli ha un impatto di soli 60 kg CO2 e/m2!
Sarebbe quindi ora di farla finita con il raggiro degli slogan “sostenibili” delle archistars autoreferenziali a servizio della speculazione[6], ma questo non riguarda solo l’aspetto relativo alla sostenibilità, ma anche quello relativo alla presunta “intelligenza” (rigorosamente definita “SMART”) di determinati interventi … che, forse, dovremmo iniziare a definire “SILLY”!
La descrizione del progetto per il “Merlata Mall” recita infatti: «[…] il mega centro commerciale […] si svilupperà su una superficie di circa 70.000 mq, nel cuore del primo urban smart district milanese e sarà costituito da due futuristici edifici collegati tra loro, adiacenti al complesso residenziale Uptown e collegati grazie a un ponte pedonale con l’area Mind”. […] Nel super centro commerciale – che sarà costruito da Ceetrus, l’azienda francese subentrata ai reali sauditi – saranno presenti 190 negozi, 40 ristoranti e bar, un Fresh Market, 10mila mq dedicati all'”intrattenimento innovativo e immersivo” e un cinema multiplex. […] Il mall ospiterà una food court emozionale e una zona commerciale che si mixerà all’area deputata al tempo libero e al divertimento e proporrà un format inedito di fresh market oltre che viali e piazze dove passeggiare, intrattenersi e godere di proposte culinarie di ogni genere […] Il sito offrirà un’esperienza che va oltre lo shopping. Sarà un luogo fatto per divertirsi, stare insieme, scoprire sapori, seguire eventi, trovare ispirazione, far giocare i bambini […] Un luogo in cui ognuno potrà trovare il proprio mondo e soddisfare i propri desideri, un progetto che guarda al futuro unendo innovazione, sostenibilità e massima attenzione al fattore umano“.
Ebbene, a parte l’insopportabile uso di parole inglesi (utili agli imbecilli per sentirsi colti e convincere i creduloni della validità del progetto) e il dubbio sul perché dei francesi – “subentrati ai reali sauditi” – debbano essere autorizzati a raccogliere le uova d’oro della gallina Italia (ormai i nostri politici hanno ceduto tutto a loro, mari inclusi), occorre chiedersi per quale oscura ragione dovremmo accettare come corretta la definizione di “primo urban smart district” … ovvero il “primo esempio di quartiere urbano intelligente”??
Cosa ci sarebbe di intelligente in un centro commerciale che ammazza la vita, e con essa la sicurezza e il commercio di una città? Solo un imbecille potrebbe sostenere l’intelligenza di una cosa del genere!
Soprattutto, solo un imbecille, o qualcuno che deve semplicemente ripulire del danaro, può ritenere utile investire su una tipologia che gli stessi inventori americani hanno ormai da tempo abbandonato, perché ritenuta fallimentare[7].
In realtà, non solo gli americani, ma tanti Paesi che avevano sposato questo genere di interventi suburbani, hanno iniziato a dismettere il “mall” abbandonandolo al suo triste destino. In tanti casi, però, esso è stato sostituito con quartieri residenziali a destinazione mista, ispirati ai nostri centri storici, ovvero sul concetto di “casa e bottega”, perché all’estero, dopo decenni di fede assoluta nelle pippe mentali della “Ville Radiesuse” di LeCorbusier, hanno iniziato a comprendere che gli esseri umani non possono dipendere esclusivamente dall’autotrazione!
È chiaro che, se lo Stato si cala le braghe e si fa fregare partecipando alle spese per le infrastrutture e i terreni – come per gli stadi di cui sopra – gli speculatori ci vanno a guadagnare comunque … a quel punto gli imbecilli non sono più gli speculatori e i promotori di queste iniziative, ma i politici che gliele consentono e gli italiani che le accettano andandoci a fare gli acquisti. … guardando all’infinita serie di progetti similari in giro per l’Italia, dove i promotori sono esteri, occorrerebbe chiedere ai nostri politici idioti e venduti, se risulti logica questa strategia, sostenuta con i soldi degli italiani, per incentivare gli investimenti degli stranieri!
Ma anche occorrerebbe riflettere sul fatto che presto, anche in Italia, vedremo la falce di Amazon abbattersi sui suoi centri commerciali lasciando le città italiane circondate da “non luoghi” destinati a divenire un serio problema sociale e di sicurezza … proprio come è accaduto altrove!
L’essere umano infatti, tramutandosi in “antropolectus[8]” – una sorta di parassita descritto in un precedente articolo come con un essere mitologico con un divano al posto delle gambe – si crede furbo acquistando tutto da casa … del resto, a chi fa piacere stare delle ore seduto in un’automobile stressandosi nel traffico, oppure alla ricerca della propria auto all’interno di un gigantesco parcheggio claustrofobico di un centro commerciale?
Però si rifletta sul fatto che, se l’alternativa a dover prendere l’auto, stressarsi nel traffico ed andare al centro commerciale tornasse ad essere – come nei casi americani che ho documentato – il negozio sotto casa, allora non ci sarà Amazon che tenga, per cui Milano ci pensi bene prima di vendersi ai nuovi conquistatori.
[1] http://www.milanotoday.it/attualita/merlata-mall-centro-commerciale.html?utm_source=newsletter&utm_medium=email&fbclid=IwAR2CLDLCLyugr7ingzkWfzDY8SaTBK3dtXkoAzKr4AUPJvPtQj8upoVgLZo
[2] https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03/04/expo-2015-sala-smentito-dai-suoi-stessi-numeri-il-buco-e-di-2372-milioni/2515456/
[3] http://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2018/02/18/propaganda-dellinsostenibile-sostenibile/
[4] https://stream24.ilsole24ore.com/video/notizie/inter-milan-ecco-nuovo-san-siro-12-mld-investimenti-privati/ACP494X
[5] https://www.reteclima.it/carbon-footprint-impronta-di-carbonio-di-prodotto-e-di-processo-iso-14067-ed-iso-14069/
[6] http://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2018/02/17/i-professionisti-dellipocrisia-rigenerazione-riqualificazione-sostenibilita-unimmensa-presa-per-i-fondelli-negli-interessi-della-speculazione/
[7] http://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2017/06/24/centri-commerciali-no-grazie-e-sono-gli-americani-a-ricordarcelo/
[8] http://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2017/05/31/lantropolectus-evoluzione-involuzione-dellessere-vivente-piu-pericoloso-per-il-pianeta-e-per-se-stesso/
Parlo da residente in cascina merlata: la zona ha bisogno di un’area commerciale come questa. Per giunta, molti hanno scelto di vivere qui proprio in funzione dei servizi promessi (centro commerciale e scuola sotto casa). Attualmente chi cerca un’area commerciale in zona deve per forza utilizzare un mezzo (pubblico o privato), con tutto il footprint che ne segue e la congestione in termini di traffico. Basta fare un salto al Centro di Arese per vedere il pienone.
Questo per dire che è giusto preoccuparsi, ma anche che bisogna comprendere le esigenze di un quartiere ad alta densità, con abitazioni sviluppate verticalmente fino anche a 24 piani, che al momento non è servito da nulla.
La presenza di un’area commerciale è ancora più giustificata dal fatto che nei prossimi anni questa area di Milano diverrà un nuovo centro (tra università con prima lezione attesa nel 2025 e ospedale già in costruzione da tempo) e che non può diventare tale senza un posto che offra ristorazione e possibilità di fare acquisti.
certo, dato l’errore iniziale, serve correre ai ripari … però occorre anche riflettere su una storia che raccontava mia nonna.
C’era una volta una massaia incapace che decise di preparare del pane, non avendo esperienza presto si rese conto di aver versato troppa acqua sulla farina. Punta nell’onore disse all’acqua: cosa credi, che non ho sufficiente farina? Aggiunse la farina e si rese conto che occorreva aggiungere nuovamente acqua … ma nuovamente il quantitativo la costrinse ad aumentare la farina … alla fine, la poveretta moriva soffocata dall’immensa mole di acqua e farina che aveva aggiunto sul tavolo da lavoro!
Morale: se costruiamo luoghi assurdi con immensi edifici, saremo sempre costretti a consumare ulteriore territorio per renderli vivibili e, alla fine, moriremo di mala urbanistica!
Lo schema Ponzi. Indovina chi paga il conto !
caro Maurizio,
ridiamo per non piangere!
Nel frattempo la più urgente e necessaria opera pubblica italiana, il Piano Idro-Geologico Nazionale, langue senza vita dentro gli scaffali delle buone intenzioni, quelle che portano dove sappiamo. Cos’è, non si trovano i capitali ? Gli investimenti non sarebbero remunerativi ? O per caso non ci sarebbe modo di garantire stra-profitti privati, scaricando comunque i costi sul pubblico ? Se ancora esistesse una proprietà pubblica nella mente dei politici nostrani tutti. A stento resiste il Sistema Sanitario Nazionale !