Carissimi amici, colleghi e lettori del mio blog, in passato, in più di un’occasione, ho scritto, dalle pagine di questo blog e altrove, scagliandomi contro l’immonda truffa dei CFP e di tutte le altre vessazioni riservate alla nostra categoria[1].
Nei miei articoli ho spiegato in maniera dettagliata come sia stata strutturata questa persecuzione, indicando quello che, a mio avviso, sia l’obiettivo finale della truffa, che non è legata solo al giro di denaro – nemmeno nascosto – relativo al rilascio o meno del riconoscimento dei crediti formativi per gli eventi proposti, oppure al giro di denaro dei parolai e dei loro sponsor, poiché la cosa va collegata direttamente alla riforma – criminale – delle pensioni messa in atto dalla deprecabile Fornero, poiché il criterio sanzionatorio per la mancata maturazione dei CFP mira – come avevo dichiarato in un convegno tenutosi presso l’ex Mattatoio di Roma subito dopo il concepimento della norma – a ritardare l’anzianità per il pensionamento!
Ebbene, su segnalazione di un collega, che ha chiesto di restare anonimo, sono venuto a conoscenza di un botta e risposta tra l’Ordine degli Architetti di Roma e uno Studio Associato di avvocati che si è espresso in maniera inequivocabile sull’argomento.
I brani che seguono sono estratti da quel rapporto epistolare – rintracciabile per intero sul sito dell’OdA di Roma sebbene difficile da ritrovare. Si tratta infatti di preziosissime informazioni che tutti i colleghi – ma anche tutti gli altri professionisti vittime delle stesse, inaccettabili, vessazioni – dovrebbero conoscere e far conoscere, affinché si ponga fine a questa ingiustificata persecuzione e vengano fatti valere i nostri diritti di liberi professionisti … che tanti sacrifici hanno fatto per raggiungere e tenere in piedi le proprie attività!
Riassunto della vicenda (il corsivo è ripreso dalla documentazione prodotta n.d.r.)
Lo scorso anno, in vista della “Votazione Modifica Art. 9 del Codice deontologico prossima Conferenza degli ordini Roma 12/07/2019. Mozione correlata all’oggetto in trattazione (art.07 Regolamento della Conferenza)”, il Presidente dell’Ordine degli Architetti di Roma, Flavio Mangione, ed il suo Segretario, Alessandro Panci, inviavano al Consiglio Nazionale degli Architetti e, per conoscenza, all’Ufficio di Presidenza un documento protocollato PU 1056 2019 07 08 ORDARCRM nel quale si diceva:
«Egregio Presidente, stimati consiglieri,
In occasione dell’ultima conferenza degli ordini tenutasi a Roma l’8 marzo del 2019, abbiamo chiesto una verifica dell’applicabilità dell’art.9 del nostro codice deontologico ai procedimenti disciplinari, condizione necessaria per poter disporre una modifica ulteriore credendo opportuno non aspettare le risultanze di ricorsi di parte: a tutela nostra e degli stessi iscritti.
In questo lasso di tempo abbiamo chiesto ai nostri avvocati di esprimersi su tale fatto e il responso dei tre studi legali ha sottolineato un’anomalia legata soprattutto ad un ordine preciso di gerarchia della legislazione nazionale (Allegato n. 01 parere legale).
Norme di primo livello
1) Legge
2) D.P.R. – Decreto del Presidente della Repubblica
3) Decreto Legislativo
4) Decreto Legge
5) Regio Decreto
Norme di Secondo Livello
1) Decreto Ministeriale
2) D.P.C.M – Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri
3) D.C.I. – Delibera Comitato Interministeriale
Norme di Terzo Livello
- Circolari;
- Interpretazioni
- Ordinanze
Il raccordo/coordinamento di leggi promulgate in tempi diversi è strutturato con le seguenti regole fondamentali:
- Una norma successiva di grado inferiore non può modificare una norma precedente di grado superiore;
- Tra norme di pari efficacia quelle successive abrogano ed integrano quelle precedenti».
Ci siamo chiesti allora, sotto spinta anche del nostro consiglio di disciplina, come possa un codice deontologico con la modifica dell’art.09 sovrascrivere il sistema sanzionatorio del Regio Decreto del 23 ottobre del 1925. Come può tale modifica, introdotta con circolare del CNAPPC n.104 del 2/08/2017 e con le nuove sanzioni disciplinari ivi descritte, essere ritenuta operante nonostante sia derogatoria di norme di grado superiore. Nello specifico le sanzioni descritte nel R.D. n.2537 del 1925 e richiamate anche all’art.42 del codice deontologico e dal Regolamento per l’aggiornamento professionale.
A tale quesito hanno risposto studi di avvocati congiunti: la risposta che oggi abbiamo è che la modifica del regio decreto n. 2537 del 1925 da parte di un codice deontologico non può essere operante per gerarchia delle leggi.
A supporto e conforto, di tale condivisibile visione, arriva anche un parere dell’allora Ministro di Giustizia Orlando che sul nuovo schema di regolamento sulla formazione professionale degli iscritti si esprime senza mezzi termini dicendo che “(..) la materia disciplinare non rientra tra le Competenze del Consiglio Nazionale, ai sensi delle disposizioni di cui all’art.07 del D.P.R n.137/2012, ed è disciplinata dalle disposizioni di cui al
R.D. 23 ottobre 1925 n.2537.” (All.to n.02)
Ed è per questo che non può essere votata la modifica dell’articolo 9 del nostro codice deontologico non essendo né applicabile né di competenza del Consiglio Nazionale la deroga dal sistema sanzionatorio descritto dal R.D. e che prevede quattro tipi di sanzioni, ma la sola applicazione di esse.
Pertanto credendo opportuno che la Conferenza degli ordini sia messa in grado di poter decidere coscientemente, poniamo all’ufficio di presidenza, al Presidente e all’intero consiglio la seguente MOZIONE correlata all’argomento in trattazione ai sensi dell’articolo 7 del Regolamento della Conferenza:
“La votazione sulla modifica dell’art. 09 del codice deontologico sia ritirata e riproposta solo dopo l’acquisizione di altri pareri autorevoli di legali sul merito dell’applicabilità dell’art.09 del codice deontologico ai procedimenti disciplinari, che siano di conforto all’espressione della Conferenza degli ordini.”
La soluzione di tale quesito è essenziale e propedeutico ad ogni ulteriore modifica non solo del nostro codice deontologico, ma anche per poter avere una giusta posizione nel ripensare il regolamento e, non ultimo, per poter prendere in modo definitivo una posizione sul D.P.R. 137/2012».
Il Parere dei consulenti
In data 4 marzo 2019, i consulenti legali (avv.ti Gianluca Piccinni, Alessandro Lembo, Fabio Mastrocola, Marco Coda e Rodolfo Pulzella) incaricati dall’Ordine degli Architetti di Roma inviarono un articolato documento nel quale chiarivano in maniera inequivocabile l’illegittimità della sanzioni previste per la mancata maturazione dei cfp imposti dall’odiosa e stupida norma vessatoria a carico dei professionisti!
Nel documento, per il quale si rimanda alla pagina web dell’Ordine (se lo stesso risulta ancora disponibile), poteva leggersi:
«[…] Come è noto, l’art. 7 del D.p.r. 7/08/2012 n. 137, rubricato “Formazione continua”, stabilisce che “Al fine di garantire la qualità ed efficienza delta prestazione professionale, nel migliore interesse dell’utente e della collettività, e per conseguire l’obiettivo dello sviluppo professionale, ogni professionista ha l’obbligo di curare il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale secondo quanto previsto dal presente articolo. La violazione dell’obbligo di cui al periodo precedente costituisce illecito disciplinare“.
[…] In ossequio a quanto stabilito dal citato art. 7, il CNAPPC ha emanato il “Regolamento per l’aggiornamento e sviluppo professionale continuo” approvato il 26/06/2013 e pubblicato sulla G.U. in data 15/09/2013.
L’art. 4 del regolamento cosi dispone: “Costituisce illecito disciplinare la violazione dell’obbligo di cui all’art. 7, comma 1, del D.P. R. 7/08/2012 n. 137″.
[…] Al 3° comma del medesimo articolo è previsto che “L’iscritto ha l’obbligo di acquisire nel triennio 90 crediti formativi professionali, con un minima di 20 crediti annuali di cui almeno 4 crediti professionali per ogni anno derivanti da attività derivanti da attività di aggiornamento e sviluppo professionale continua sui temi della Deontologia e dei Compensi professionali “.
[…]Il comma 6 dell’art. 9 del regolamento dispone altresì: “il Cnappc si riserva di emanare le linee guida e di coordinamento che si rendessero necessarie in sede di applicazione del presente Regolamento relativamente alle classificazioni delle materie che possono avere valenza formativa, alle attività che possono avere valenza formativa, alla articolazione dei percorsi formativi, alle modalità operative per la gestione dei crediti formativi ed ai criteri relativi alla possibilità di esonero “.
Il Codice deontologico entrato in vigore il 1/01/2014 all’art. 9 introduce l’obbligo di curare il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale” e stabilisce che “il mancato rispetto dell’obbligo di aggiornamento professionale ai sensi delle norme vigenti, e la mancata o l’infedele certificazione del percorso di aggiornamento seguito, costituisce illecito disciplinare”, sanzionabile ai sensi del successivo art. 41;
L’art. 41 si limita a stabilire “le sanzioni previste per le violazioni alle presenti norme, ai sensi della normativa vigente sono:
- L’avvertimento;
- La censura,
- La sospensione,
- La cancellazione,
Sono fatte salve comunque, le sanzioni disposte dalle leggi dello Stato “.
[…] Successivamente il Consiglio Nazionale, nella seduta del 7/09/2016, ha approvato la modifica dell’art. 9 del Codice deontologico con l’aggiunta del comma 2° sulla base della seguente motivazione: “l’obiettivo della modifica dell’art. 9 del Cadice deontologico è di consentire, al termine del primo triennio sperimentale, una uniforme e chiara applicabilità delle sanzioni disciplinari sulla base della mancata acquisizione dei Crediti Formativi Professionali “.
Il nuovo comma 2) dell’art. 9 specifica che: “In deroga all’art. 41, commi 2, 3 e 4 del presente Codice la mancata acquisizione dei CFP fino al 20% comporta l’irrogazione della censura, mentre la mancata acquisizione di un numero di CFP superiori al 20% comporta l’irrogazione della sanzione della sospensione da calcolarsi nella misura di 1 giorno di sospensione per ogni CFP mancante “.
Con successiva circolare prot. n. 2997 del 29/09/2016 il CNAPPC ha precisato che “le modifiche all’art. 9 del Cadice deontologico hanno efficacia a partire dal ricevimento della presente circolare e non necessitano di ulteriori approvazioni o recepimento con delibere di Consiglio da parte de gli Ordini “.
Ed ancora, il CNAPPC ha approvato in data 21/12/2016 le “Linee Guida e di coordinamento del regolamento per l’aggiornamento e sviluppo professionale” stabilendo all’art. 8: “Alla scadenza del triennio formativo l’Ordine territoriale, mediante il Consiglio di Disciplina, riscontrando l’illecito avvia l’azione disciplinare in conformità al Cadice deontologico vigente, fatta salva la possibilità dell’iscritto di un ravvedimento operoso, nel termine perentorio di sei mesi dalla scadenza triennale”.
“Le sanzioni sono previste dall’art. 9, comma 2, de! Cadice Deontologico “.
“Per la determinazione del debito formativo si terrà conto della mancata acquisizione dei 12 c.f.p. triennali sui temi delle discipline ordinistiche obbligatorie: i c.f.p. ordinari, in tal senso, verranno computati fino ad un massimo di 48 c.f p. “
[…] Infine, il Consiglio Nazionale ha approvato in data 31/05/2017 (pubblicato sulla G.U. in data 15/07/2017) il nuovo regolamento per l’aggiornamento e lo sviluppo professionale che è entrato in vigore dal 1/07/2017, il cui art. 4, primo comma, così recita: “costituisce illecito disciplinare la violazione dell’obbligo di cui all’art. 7, comma 1, D. P. R. 7/08/2012 n.137″».
Dopo l’articolata e completa premessa normativa, i legali avevano esaminato e risolto i primi due quesiti che gli erano stati posti, chiarendo:
«[…] Iniziamo la nostra disamina partendo dall’art. 1 delle preleggi al Codice civile (leggasi testualmente): “Sono fonti del diritto:
- Le leggi (Cost. 70 e seguenti, 117, 138; prel Cod. Civ. 2, 10 e seguenti);
- I regolamenti (prel Cod. Civ. 3 e seguenti);
- Gli usi (prel Cod. Civ. 8 e seguenti)”.
Inoltre, l’art. 4 delle preleggi al c.c. stabilisce che “I regolamenti (prel Cod. Civ. 3) non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi “.
Infine, l’art. 11 delle preleggi al c.c. (“Efficacia della legge nel tempo”) prevede che “La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo (Cost. 25) “.
In sintesi, la legislazione nazionale e ordinata secondo una precisa gerarchia, tenendo presente che la Costituzione italiana e la legge fondamentale.
- NORME DI PRIMO LIVELLO
1) Legge
2) D.P.R. – Decreto del Presidente della Repubblica
3) D. Lgs. – Decreto Legislativo
4) D.L. – Decreto Legge (emanato dal Governo – temporaneo: decade dopo 60 gg se non convertito in Legge – emanato solo per questioni a carattere di urgenza);
5) Il Regio Decreto: atto normativo avente forza di legge nell’ordinamento giuridico italiano, attualmente in vigore, ma non più emanabile.
- NORME DI SECONDO LIVELLO
1) D.M. – Decreto Ministeriale (Emanato dai Vari Ministeri)
2) D.P.C.M. – Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri
3) D.C.I. – Delibera Comitato Interministeriale
- NORME DI TERZO LIVELLO
1) Circolari
2) Interpretazioni
3) Ordinanze
Il raccordo/coordinamento di leggi promulgate in tempi diversi e strutturato con le seguenti regole fondamentali:
- Una norma successiva di grado inferiore non può modificare una norma precedente di grado superiore;
- Tra norme di pari efficacia quelle successive abrogano ed integrano quelle precedenti.
Siffatta premessa e necessaria per risolvere l’antinomia creatasi da norme di grado diverse nell’ambito della formazione professionale degli Architetti.
Punto nodale della questione è infatti comprendere se, in forza dell’art.9 del codice deontologico, a seguito delle modifiche introdotte con la circolare del CNAPPC n.104 del 2/08/2017, le sanzioni disciplinari ivi previste possano essere ritenute operanti, nonostante siano derogatorie di norme di grado superiore (R.D. n. 2537 del 1925, richiamate dall’art. 42 del Codice deontologico e dal Regolamento per l’aggiornamento professionale)».
Il testo del parere legale continua con una accurata rassegna delle fonti normative che disciplinano e sanzionano le violazioni degli obblighi della formazione continua da parte degli iscritti all’Ordine degli Architetti.
In particolare, relativamente alle “Norme di 1° livello” spiega:
«[…] Regio Decreto del 23 ottobre 1925, n. 2537 – L’art. 45 del R.D. 253711925 cosi dispone: “Le pene disciplinari, che il Consiglio può pronunciare contro gli iscritti nell’albo sono: 1) l’avvertimento 2) la censura 3) la sospensione dell’esercizio della professione per un tempo non maggiore di sei mesi 4) la cancellazione dall’albo” (segue poi la specificazione delle sopra richiamate sanzioni). Tale fonte primaria relativa alla disciplina degli illeciti disciplinari dunque è equiparata ad una legge dello Stato (in questo caso sotto forma di Regio Decreto) che determina e tipicizza compiutamente le sanzioni disciplinari applicabili agli Ingegneri e agli Architetti.
Decreto del Presidente della Repubblica del 07/08/2012 n. 137 – Fonte di pari rango, è il Decreto del Presidente della Repubblica del 07/08/2012 n.137 pubblicato nella G.U. n.189 del 14/08/2012 rubricato come “Regolamento recante la riforma degli ordinamenti professionali”.
Segnatamente, per quanto qui d’interesse, l’art. 7 rubricato “Formazione continua”, al primo comma così dispone: “Al fine di garantire la qualità ed efficienza della prestazione professionale, nel migliore interesse dell’utente e della collettività, e per conseguire l’obiettivo dello sviluppo professionale, ogni professionista ha l’obbligo di curare il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale secondo quanto previsto dal presente articolo. La violazione dell’obbligo di cui al periodo precedente costituisce illecito disciplinare.”
Scopo precipuo di tale norma è quello di istituire l’obbligo della formazione professionale per gli iscritti all’ Ordine e di sanzionare come illecito disciplinare la relativa violazione con implicito richiamo al sistema sanzionatorio tipizzato stabilito dal sopra richiamato R.D. n.2537 del 1925».
Mentre, per quello che concerne le “Norme di 2° livello”, indica:
- Regolamento per l’aggiornamento sviluppo professionale continuo, pubblicato sulla G.U. del Ministero della Giustizia n. 17 del 16/09/2013;
- Regolamento per l’aggiornamento sviluppo professionale continuo, pubblicato sulla G.U del Ministero della Giustizia n. 12 del 15/07/2017;
e chiarisce:
«I sopra menzionati regolamenti per la formazione continua, trovano la propria fonte diretta in una norma di rango primario, l’art.7 del DPR 31/12/2012, n. 247 e dunque sono attuativi di una norma primaria.
Il legislatore ha dunque affidato al Consiglio Nazionale la disciplina delle modalità e delle condizioni per l’assolvimento dell’obbligo di aggiornamento nonché della gestione e organizzazione dell’attività di aggiornamento a cura degli ordini territoriali.
Sono pertanto fonti di rango subordinato o di secondo livello.
L’art. 4 di entrambi i sopra citati regolamenti stabilisce al primo comma: “costituisce illecito disciplinare la violazione dell’obbligo di cui all’art. 7, comma 1, del Dpr 7/08/2012 n. 137”.
E poi spiega:
«[…] Le norme del codice deontologico di un ordine professionale, al di fuori dell’ambito disciplinare, non sono assimilabili a norme di diritto operanti nell’ordinamento generale.
[…] Trattasi pertanto di una fonte di rango subordinato che, per quanto attiene al procedimento disciplinare, è attuativa della norma primaria (R.d. n. 2537/25 e Dpr 137/12).
Il Codice deontologico del 2013 (entrato in vigore il 1° gennaio 2014) al 2° comma dell’art. 9 riporta pedissequamente il precetto normativo di cui all’art. 7 del D.P.R. del 7/08/2012 n.137.
[…] Il problema si verifica con le modifiche introdotte all’art. 9 del codice deontologico, da parte del Consiglio Nazionale, nella seduta del 7/09/2016 e all’emanazione del regolamento per l’aggiornamento e lo sviluppo professionale continua”.
Le modifiche introdotte con l’aggiunta del 2° comma all’art. 9 del Codice Deontologico, da parte del CNAPPC sono entrate in vigore il giorno stesso della pubblicazione della circolare n. 104, prot. 2997 del 29/09/2016.
Il nuovo comma 2) dell’art. 9 specifica che: “In deroga all’art. 41, commi 2, 3 e 4 de! presente Codice la mancata acquisizione dei CFP fino al 20% comporta l’irrogazione della censura, mentre la mancata acquisizione di un numero di CFP superiori al 20% comporta l’irrogazione della sanzione della sospensione da calcolarsi nella misura di 1 giorno di sospensione per ogni CFP mancante“.
Con tale modifica il CNA ha inteso derogare all’originario impianto sanzionatorio disciplinato dal R.D. del 1925 n. 2537 in materia di illecito disciplinare che prevedeva quattro sanzioni tipizzate.
[…] In altri termini, il CNAPCC ha introdotto una deroga al sistema sanzionatorio di cui al citato R.D. del 1925 n. 2537 ritenendo applicabili, in caso di mancata acquisizione dei crediti formativi, solo due sanzioni e precisamente, la censura e la sospensione, anziché le quattro stabilite dal R.D. cit. (rimangono inspiegabilmente escluse l’avvertimento e la cancellazione).
Appare evidente pertanto che, attraverso tale ultima modifica del codice deontologico apportata dal CNAPPC (entrata in vigore con la circolare 104 prot. 2997 del 29/09/2016), si è venuta a determinare una rilevante “alterazione” dell’intero impianto sanzionatorio stabilito da norme di rango superiore, in primis, il R.D. del 1925 n. 2537 ed in secundis dal D.P.R. n.137/2012 (attraverso il quale sono state ricomprese, nel novero degli illeciti disciplinari, le violazioni degli obblighi di formazione continua – art.7 comma 1).
A seguito dei suddetti chiarimenti, i legali hanno commentato in maniera inequivocabile:
«Quanto sopra evidenziato ci obbliga a porci il seguente interrogativo: può una norma deontologica derogare ad una norma di legge e al Regolamento per l’aggiornamento professionale?
Andando per ordine, a parere dello scrivente, vi è un insuperabile motivo per il quale la norma deontologica non possa derogare né ad una norma di legge né al Regolamento.
La risposta a tale quesito si rinviene nel rispetto del principio della gerarchia delle fonti, principio fondamentale di portata generale che presiede e regola la formazione delle norme.
Secondo tale principio, in caso di antinomia fra norme di diverso grado, la fonte di rango superiore (in questo caso legislativa) prevale su quella di rango inferiore (codice deontologico) che è da intendersi come mera fonte integrativa del precetto legislativo, priva cioè del carattere innovativo.
Ciò significa che la fonte inferiore che abbia un contenuto contrario o collida con quella superiore è da considerarsi inefficace e dovrà essere pertanto abrogata o disapplicata.
Ed infatti, nonostante le difficoltà riscontrate dalla giurisprudenza e dalla dottrina nel definire e collocare la norma deontologica all’interno del sistema giuridico, non v’è dubbio che la norma deontologica non possa certamente disapplicare o derogare una norma di legge (R.D. n.2537 del 1925) attraverso un provvedimento autonomo ed unilaterale assunto dal Consiglio Nazionale.
[…] è certo che le norme deontologiche devono trovare il loro fondamento nei principi dettati dalla legge, non potendo mai essere contra legem, né limitare l’ambito di applicazione della legge, svolgendo invero una funzione integrativa solo qualora richiamate da una norma.
In tal senso, si veda anche la sentenza del Tar Lazio (Tar Lazio, sent. 8855/2012 – pronunciata in una fattispecie analoga e dove si discuteva dell’applicazione di norme deontologiche) nella quale è stato ribadito il principio interpretativo delle norme deontologiche fondate sulla c.d. “gerarchia delle fonti” secondo cui la norma primaria deve prevalere sulla norma secondaria e quest’ultima può solo integrare la norma primaria, ma non derogarvi».
Il parere prosegue con la citazione di sentenze della Cassazione ed arriva ad affermare:
«Ciò permette di concludere che le norme deontologiche non hanno autonomia normativa e, in caso di antinomie, devono sottostare alla norma sovraordinata, conformandosi al precetto legislativo da cui dipendono, potendo casomai dare contenuto alla norma superiore integrandola nei limiti delle funzioni espressamente attribuitele.
Quanto sopra chiarito vale anche in caso di antinomie tra il Regolamento di aggiornamento professionale pubblicato sulla G.U. del Ministero della Giustizia del 16/09/2013 e il Codice Deontologico».
E, andando avanti, affrontando il tema “disciplinare”, il parere chiarisce:
«Tale precisazione era doverosa e ci permette di analizzare un altro aspetto rilevante della questione: occorre difatti domandarsi se il Consiglio Nazionale sia legittimato a emanare norme in materia disciplinare.
Dalla normativa di riferimento, si evince che il Collegio Nazionale è del tutto carente di potestà normativa autonoma in materia deontologica, essendogli consentito soltanto una funzione integrativa del precetto legislativo.
Sul punto, ad ulteriore conforto, si segnala l’autorevole parere reso dal Ministro della Giustizia (prot. n. 21026 del 22/05/2017), il quale, chiamato ad esprimersi in ordine all’adozione del Regolamento del 31 maggio 2017, ha chiarito che: “… la materia disciplinare non rientra tra le competenze del Consiglio Nazionale, ai sensi delle disposizioni di cui all’art. 7 del D.P.R. 7/08/2012 n. 137, ed è disciplinata dalle disposizioni di cui al R.D. 23/10/1925, 2537″.
In altri termini deve ritenersi pacifica la circostanza secondo la quale la materia disciplinare è riservata alle competenze del legislatore e pertanto non può essere derogata,come nel caso di specie, da alcun atto emesso da parte del CNAPPC».
Il documento dei consulenti si spinge poi a chiarire l’ambito relativo alla “retroattività” del Codice Deontologico:
«In concreto, con la circolare sopra richiamata il CNAPPC ha precisato che: “le modifiche all’art. 9 del Codice deontologico hanno efficacia a partire dal ricevimento della presente circolare e non necessitano di ulteriori approvazioni o recepimento con delibere di Consiglio da parte degli Ordini”.
In altri termini il CNAPPC, così facendo, intenderebbe applicare le modifiche introdotte al comma 2° dell’art. 9 all’intero triennio 2014-2016.
In realtà, come abbiamo visto, tale disposizione non può essere applicata al triennio 2014-2016 oltre che in virtù del principio di gerarchia delle fonti, anche in ossequio ad altri fondamentali principi del nostro ordinamento giuridico: il principio di irretroattività della legge ed il principio del legittimo affidamento il cui evidente fine è quello di tutelare le aspettative di stabilità e continuità di disciplina nei confronti dei soggetti interessati (iscritti).
La salvaguardia di situazioni di vantaggio pregresse è tradizionalmente affidata al principio di irretroattività delle norme sopravvenute, secondo cui non trovano applicazione le norme che si riferiscono a fatti e/o effetti che si collocano in un tempo anteriore alla loro entrata in vigore secondo il principio consacrato nell’art. 11 delle preleggi per il quale: “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo “.
A tale principio va aggiunto anche quello, del quale il primo costituisce espressione, del tempus regit actum, per effetto del quale la disciplina giuridica relativa a determinati fatti va individuata nel momento in cui tali fatti si realizzano».
Richiamando delle sentenze della Cassazione sul principio della “retroattività di una norma deontologica”, il documento chiarisce ancora:
«Seguendo tali orientamenti giurisprudenziali dunque occorre comprendere in concreto se l’originario impianto sanzionatorio disciplinato dal R.D. del 1925 in materia di illecito disciplinare che prevedeva quattro sanzioni tipicizzate: a) avvertimento, b) censura, c) sospensione, d) cancellazione, sia da considerarsi meno favorevole rispetto al sistema introdotto con la circolare n.104/2016.
In realtà, la modifica ha comportato certamente l’introduzione di una difforme procedura sanzionatoria con evidente riduzione a due delle originarie quattro fattispecie sanzionatorie (censura e sospensione) e con esclusione della sanzione più lieve dell’avvertimento e quella più grave della cancellazione.
[…] In conclusione, sulla scorta delle considerazioni sopra esposte, nel rispondere al primo e al secondo quesito, ritengo che le norme del Codice Deontologico in materia disciplinare riferite al periodo formativo 2014-2016 in antinomia (comma 2 dell’art. 9 del codice deontologico a seguito della modifica apportata dal CNAPPC del 29/09/2016) con il R.D. n.2534/1929 e con il D.P.R. n. 137/2012 nonché con il Regolamento per l’aggiornamento delle professioni debbano ritenersi inefficaci e pertanto vadano disapplicate, in quanto illegittimamente derogatorie di norme di grado superiore (principio della gerarchia delle fonti) ed emanate in carenza di potere del CNAPPC.
Ne consegue che nei confronti degli iscritti troverà applicazione la sola normativa del Codice Deontologico del 2013, prima cioè della modifica apportata dalla circolare del CNAPPC n. 104, prot. 2997 del 29/09/2016.
Infine, il parere affronta il 3° e ultimo quesito, relativo alle “Condizioni di esonero secondo le modalità indicate dal CNA”.
«[…] l’art. 3 del Regolamento per l’aggiornamento sviluppo professionale (che è identico nella sua formulazione sia del 16/09/2013 che nella successiva versione aggiornata del 15/07/2017) così dispone: “Il Consiglio dell’Ordine territoriale, su domanda dell’interessato, può valutare la possibilità di esonerare l’iscritto dallo svolgimento dell’attività di aggiornamento e sviluppo professionale continua, previa delibera consiliare motivata”.
Tale disposizione nulla dice in merito al termine di presentazione della richiesta di esonero.
L’unica espressa previsione di un termine per presentare l’istanza di esonero si rinviene nelle Linea Guida – paragrafo 7 – del CNAPPC del 21 dicembre 2016 dove è indicato il termine annuale di presentazione della domanda.
Peraltro, il paragrafo 11 della Linee Guida del 21 dicembre 2016 prevede che tali disposizioni trovino applicazione solo dal 1/01/2017 (“Le presenti Linee Guida entrano in vigore a partire dal 1 gennaio 2017”).
Ergo, nel rispondere al terzo ed ultimo quesito è possibile affermare che, in assenza di specifiche indicazioni nelle Linee Guida del termine di presentazione, nulla osta a valutare da parte del Consiglio di disciplina, l’esistenza di eventuali fattispecie documentate di esonero al fine di escludere l’applicazione di eventuali sanzioni disciplinari.
Ebbene, è ora di porre fine a questa inaccettabile persecuzione, peraltro illegittima! È ora che tutti i colleghi, in blocco, inizino a rifiutarsi di sottostare ad obblighi assurdi e per niente rispondenti al senso ultimo dell’obbligo di formazione, ovvero quello di “garantire la qualità ed efficienza delta prestazione professionale, nel migliore interesse dell’utente e della collettività” perché, come molti di noi hanno potuto constatare, la realtà dei fatti è che si tratta di un immondo sistema, mal pensato, che nasconde interessi economici e che, per quanto riguarda gli studi professionali provvisti di “schiavetti compiacenti”, consente la maturazione dei crediti fingendo di seguire dei corsi on-line!
Personalmente non mi stancherò mai di rivendicare il mio diritto di scegliermi i convegni e le manifestazioni atte a migliorare ed aggiornare le mie competenze, cosa che per motivi etici faccio regolarmente in giro per il mondo, sebbene l’Ordine degli Architetti di Roma si sia rifiutato di riconoscermi crediti … nonostante il possesso di certificazioni con crediti rilasciatemi in America e Inghilterra!
In ogni modo tengo a sottolineare ancora una volta che, i più grandi
architetti del passato, da Brunelleschi a Michelangelo, da Palladio a Borromini,
fino a giungere agli ultimi grandi architetti del primo Novecento, spesso non avessero
nemmeno studiato sui banchi universitari e, men che mai assistito a conferenze
patetiche dedicate alla presentazione del libro di qualche “trombone” o,
peggio ancora, tenute da un venditore di piastrelle o intonaco … eppure costoro
fecero del nostro Paese un luogo meraviglioso che il mondo intero ci invidia!
[1] Per esempio: http://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2019/01/20/ribelliamoci-allimmonda-farsa-dei-crediti-formativi-permanenti/
Condivido le considerazioni e i commenti sia sulla qualità non eccelsa di buona parte dei Convegni/Seminari con CFP sia, sopratutto, sull’apparato sanzionatorio che, giustificato o meno, si porta dietro la non partecipazione a questi.
Nel rispetto del Codice Deontologico non desidero entrare nel dettaglio, ma ho riscontrato casi in cui colleghi in regola con i CFP e ricoprenti cariche di responsabilità hanno presentato documentazione progettuale formalmente e tecnicamente non ineccepibile, pur essendo pagati anche con parcella piena, cosa oltremodo molto rara da più anni a questa parte.
Mi ritrovo, di questi tempi di blocchi e sblocchi per Covid-19 con Bonus risibili che vengono erogati a distanza di mesi, bloccato nel rinnovo della firma digitale che mi impedisce di firmare progetti e quindi di non poter emettere parcella e incassare oltre che per il sostentamento familiare, anche per il pagamento delle quote di iscrizione all’Ordine e il pagamento dei contributi ad Inarcassa mancando i quali a loro volta bloccherebbero lo svolgimento della professione.
Ci sarebbero altri commenti e considerazioni in generale da fare ma me ne astengo per il momento.