Sull’esito del concorso per la Rifunzionalizzazione di Palazzo Carcano a Trani[1]
Il 18 maggio dello scorso anno, a seguito della battaglia vinta con Italia Nostra e il Comitato “salviamo il Castello” contro la LIDL che pretendeva di realizzare un supermercato presso il fossato del Castello di Barletta, mi era stato chiesto di dare un aiuto per provare a salvare anche il Castello e la Cattedrale della splendida Trani, minacciati dalla inaccettabile proposta di “rifunzionalizzare ed ampliare” il Palazzo Carcano realizzando un orrendo parallelepipedo sulla piazza[2].
Quella proposta, che aveva scandalizzato l’intera comunità tranese e italiana, aveva generato la nascita del comitato “Salviamo Palazzo Carcano”, suscitando grande interesse da parte di Italia Nostra ed altre associazioni a tutela del patrimonio storico-architettonico italiano. Anche dall’estero, grazie alla divulgazione della notizia sui social networks, si erano levate tantissime voci contro questo scempio.
Tuttavia, l’arroganza dei promotori dell’Agenzia del Demanio e degli amministratori comunali, nonché il dubbio comportamento della Soprintendenza – che sembra sempre più disinteressata, specie durante la pessima gestione del Ministro Franceschini, alla protezione del nostro patrimonio – hanno finito per dare luce verde al frettolosissimo concorso che, come sempre purtroppo accade, appare come un’operazione di facciata atta a fingere trasparenza laddove le decisioni siano già state prese …
Eppure c’è chi, tra i professionisti, creda ancora alla validità di certe politiche che, nella totalità dei casi, prevedono giudici ideologicamente schierati che, dall’alto della propria ideologia, tendono a promuovere linguaggi architettonici astrusi che, probabilmente, potrebbero apparire consoni al Pianeta Marte, ma non certamente al nostro territorio.
Appare molto triste dover riconoscere che molti architetti, vuoi per incapacità di fare di meglio, vuoi a causa della lobotomizzazione patita sui banchi universitari, vuoi per puro servilismo (necessario a non rovinarsi la piazza), piuttosto che scendere in campo e combattere contro lo scempio del nostro Paese, difendono certe violenze accusando chi le combatta di anacronismo, di mancanza di inventiva … e perfino di fascismo!
Sembra infatti di essere tornati all’epoca in cui Viollet-Le-Duc, ostracizzato per le sue idee a favore del rispetto del carattere dell’architettura francese, dovette lasciare l’Academie des-Beaux-Arts di Parigi … una situazione che, la storia ci ha dimostrato, non portò a nulla di buono, inclusa la reazione Novecentesca che portò al “Funzionalismo”. A quell’epoca, infatti, il grande architetto francese ammoniva: «l’architettura è attualmente sottomessa a una specie di governo intellettuale, ancora più stretto di quello stabilito da Luigi XIV; essa non ha fatto la rivoluzione del 1789. Isolata, poco conosciuta. Definita male, è passata dal giogo di Lebrun – giogo che, quanto meno, si imponeva con una sorta di grandezza e originalità – a uno, volgare e limitato, che non appartiene né allo spirito del nostro tempo, né allo spirito del nostro Paese. Le è fatto divieto di imboccare una certa strada, ma non le viene detto quale scegliere; le viene gridato che non sa dove va, ma le vengono nascoste le luci che potrebbero dirigerla; le si dice addirittura ciò che non bisogna imparare, ma non si osa spiegarle pubblicamente solo quanto si vorrebbe che essa sapesse. Della direzione ufficiale, convinta, tirannica, ma perlomeno, potente dei Lebrun, non le rimane altro che l’asservimento a padroni tanto numerosi quanto poco autorizzati».[3]
In tutto ciò, come ricordavo nel mio libro Architettura e Urbanistica – Istruzioni per l’Uso[4] lo Stato, rappresentato dalle pubbliche facoltà universitarie di Architettura e Ingegneria, è stato connivente. La perdita di qualità dell’architettura e delle città, oltre che il danno al patrimonio è, senza dubbio, una vergogna di Stato pianificata nelle nostre Università!
Queste Facoltà si sono comportate esattamente come una la congregazione la quale, al pari delle peggiori sette religiose, sotto l’ispirazione di una presunta intelligenza superiore, emette una dottrina ritenuta immutabile e procede, per raccogliere aderenti, per iniziazione: L’insegnamento distorto che è stato esercitato negli ultimi settant’anni, è stato mirato alla sottomissione delle intelligenze ad una dottrina, in vista di un risultato concepito in anticipo che non si chiama modernità ma modernismo!
Come ricordava Viollet-Le-Duc[5], la storia ci insegna che, quando le corporazioni e le maestranze si preoccuparono più di mantenere i loro privilegi che di innalzare la loro attività al livello delle conoscenze del tempo, quando divennero esclusive e vollero allontanare i concorrenti anziché sorpassarli, esse morirono o furono bandite. Allo stesso modo, quando ci si rese conto che la “Santa” inquisizione per la fede accusava di eresia soprattutto i ricchi per confiscarne i beni, il suo potere cessò di esistere!
Come spiegava il grande architetto francese, preoccupato per la perdita di conoscenze e capacità di restauro del patrimonio medievale francese, a causa dell’insegnamento dogmatico e monistico dell’Academie des Beaux-Arts, l’influenza esclusiva che può assumere una congregazione irresponsabile nei riguardi di un potere esecutivo responsabile è talmente grande da rischiare di non poter essere controllata: cosa può opporre un’amministrazione non competente all’opinione di un’università o un ordine professionale che lo Stato stesso (poiché è lo Stato che li sostiene) considera del tutto competente? Come ammettere che un’amministrazione che non è artista, si accinga ad assumersi le responsabilità di affidare, per esempio, la costruzione di un monumento pubblico a un uomo che rifiuta un corpo che si ritiene si recluti nell’élite degli artisti?
L’amministrazione trova più semplice, e meno compromettente, ripararsi dietro l’opinione dell’organo colto (commissione giudicatrice decisa dall’Ordine degli Architetti o da chicchessia che, comunque, sarà composta come al solito dagli adepti della “setta” e mai dalla gente comune che dovrà vivere ciò che le si costruisce), che però non è responsabile e non è minimamente tenuto, nei confronti del pubblico, a rendere conto dei reali motivi che lo fanno agire, e ben si guarda dal rivelarlo, se lo farà argomenterà le sue decisioni con le tipiche frasi arcane mirati a far sentire il popolo come una massa di sudditi ignoranti per i quali lo Stato “buono” produce.
Si capisce che in tali condizioni, in un’amministrazione che “non se ne intende” di speciali questioni d’arte, gli affari della lobby vadano alla grande. Così queste amministrazioni si trovano ben presto completamente alla mercé dei capi della congregazione e circondate dai suoi aderenti, impiegati ad ogni livello. Questi ultimi divengono tanto più numerosi e sottomessi allo spirito del corpo, quanto più sentono che la sua influenza si accresce e che il suo potere si rinsalda in tutti i servizi dei lavori pubblici. Poiché tali servizi ormai intendono esprimere una sola opinione su tutto, e visto che tutti gli “oppositori del regime” sono stati costretti a tirarsi fuori dalla mischia, credono in perfetta buona fede di essere nel giusto … fino al momento in cui, per un caso fortuito, si assiste ad un brusco risveglio.
È solo a questo punto che questa responsabilità – che l’amministrazione credeva potesse accollare al corpo protetto – viene invece a ricadergli addosso come un macigno, a questo punto il corpo irresponsabile se ne lava le mani. Così facendo, si suppone, l’istituzione statale dovrebbe divenire per lo Stato imbarazzante, tuttavia inizia un tira e molla di scaricabarile finché, col tempo, ci si dimentica e si ricomincia come se niente fosse stato! … ma questo non può ritenersi accettabile.
La forma dittatoriale silente che caratterizza l’ambiente dell’Architettura di oggi è assolutamente inimmaginabile alla gente comune: gli architetti e gli studenti di Architettura si trovano in una situazione particolare a dir poco vergognosa: ripudiare le proprie idee, qualora tali opinioni e tali idee non siano ammesse dal corpo protetto dallo Stato, o essere condannati a una specie di ostracismo se mantengono le loro idee e le loro opinioni personali … A riprova di questo c’è la Legge che ha istituito il Comitato per l’Architettura Moderna che presiede alla stesura dei bandi dei concorsi di Architettura e, ovviamente, lo stesso bando che ha portato al risultato del progetto per Palazzo Carcano.
È esattamente la stessa situazione denunciata da Giulio Magni in una lettera del 1885 indirizzata a Raimondo D’Aronco: «[…] colui che deve lavorare si trova nel bivio difficilissimo, se cioè fare come la ragione lo guida o come il generalizzato sentimento gli impone … affrontare l’impopolarità è certo un eroismo![…]».
Si rifletta sul fatto che un qualsiasi corpo (in questo caso gli Ordini Professionali) sottomesso a una dottrina, (in questo caso la Teoria del “Famolo Strano” imperversante nelle Facoltà di Architettura e di Ingegneria), che dipende dallo Stato tramite un legame qualsiasi, tenderà sempre a servirsi fatalmente dello Stato per far trionfare la propria dottrina! Quando a questo si aggiungono le riviste (rigorosamente sponsorizzate dall’industria edilizia) specializzate – su cui ovviamente scrivono i grandi luminari dell’Architettura e i loro emuli – che bombardano in maniera monotona e dittatoriale i lettori con architetture astruse, la frittata è fatta.
Chi si ribella a questo circolo vergognoso viene immediatamente annientato da chi comanda abusando della sua posizione protetta e privilegiata. Gli studenti, e/o i giovani architetti che provano ad emanciparsi imparano subito, a loro spese, cosa costi. Se non seguono la strada uniforme tracciata dal cameratismo, si trovano le porte chiuse; se non cozzano contro un’ostilità dichiarata, vengono condannati dalla cospirazione del silenzio: se lo studente prova a divergere dall’idea del docente non passa, o passa a stento, e dopo lunghe sofferenze, l’esame progettuale; se un giovane architetto ha la fortuna di realizzare, o semplicemente progettare un intervento tradizionale, nessuna rivista lo prende in considerazione.
A questi ignorantissimi sostenitori del “famolo strano” in Italia sarebbe utile rileggere ciò che scrisse Maria Ponti Pasolini all’inizio del ‘900: «Noi in Italia più che altrove, ci crediamo intralciati dalla tradizione, la quale, per quanto gloriosa, pesa a molti come una cappa di piombo: la tradizione può essere, come il Manzoni disse dell’errore, un ostacolo contro il quale inciampa chi va alla cieca, ma per chi alza il piede diventa gradino»[6].
Purtroppo, come si è detto, l’agenzia del Demanio, promotrice del massacro di Palazzo Carcano e della Piazza del Castello di Trani, è andata avanti per la strada che aveva deciso ed oggi ci troviamo davanti alla impellente realizzazione di una ignobile bruttura che, per come maturata e concepita, si configura come un vero e proprio stupro urbanistico di una delle più belle città di Puglia.
Rendering del progetto vincitore, (fonte Traniviva.it)
Rendering del progetto vincitore, (fonte Traniviva.it)
Rendering del progetto vincitore, (fonte Traniviva.it)
Il progetto dal costo (iniziale) di 8,9 mln di Euro, elaborato dallo Studio DEMOGO di Treviso, come si può vedere dai rendering pubblicati dal sito www.Traniviva.it, si presenta come un progetto che non intende relazionarsi con il contesto in cui dovrà sorgere; in pratica come l’ennesima autocelebrazione di uno studio di architettura, privo di fantasia e interesse per i contesti in cui interviene che ripete, ovunque lavori, le stesse abominevoli forme, memori della peggiore edilizia brutalista degli anni ’70 del secolo trascorso[7].
L’architetto Enrico Cassanelli del Comitato “Salviamo Palazzo Carcano”, subito dopo aver appreso l’esito del concorso ha postato sulla pagina FB del Comitato[8] il caustico post seguente:
«ERA GIA’ TUTTO PREVISTO – Finalmente si conosce il progetto vincitore, e solo gli sprovveduti possono oggi meravigliarsi e storcere la bocca sul prossimo “cubo”; non serve nemmeno invocare vergogna per i tanti, tantissimi che in malafede avevano schernito con saccenteria chi a maggio aveva osato protestare (dichiarando:) “tutte chiacchere! Non andate appresso alla stupidaggini della gente, faremo un concorso internazionale e non ci sarà nessun cubo, quelle immagini sono solo uno schizzo così tanto per dire” … Poi nel bando hanno chiesto esattamente un cubo (possibilmente bello …) ed un cubo hanno avuto. Un’opera inutile resta un’opera inutile anche se la indori con un concorso internazionale».
Nel testo pubblicato da Traniviva.it sono invece stati pubblicati ampi brani del testo di accompagnamento del progetto, nonché delle motivazioni della commissione giudicatrice:
«Il progetto per il recupero e l’ampliamento di Palazzo Carcano offre l’opportunità di stabilire un confronto tra elementi urbani giustapposti. I caratteri e il registro spaziale della città di Trani si dispiegano in un sistema di singoli oggetti urbani: Castello Svevo, Piazza Re Manfredi, la Cattedrale, sono architetture in grado di definire un paesaggio visivo significante, un contesto rispetto al quale Palazzo Carcano deve trovare la propria intonazione». Alla luce delle considerazioni preliminari, i progettisti scelti dalla commissione hanno optato per «pochi e misurati gesti finalizzati a ricomporre l’unitarietà di Palazzo Carcano come elemento ben definito nel paesaggio urbano della città».
I progettisti, dal cui sito non si evince alcuna pratica del restauro, nella loro relazione hanno sostenuto: «Come approccio al restauro si è sentita la necessità da subito, di mantenere leggibile l’edificio di Palazzo Carcano nella sua forma e stratificazione attuale mantenendo compatto il dimensionamento dell’ampliamento in un unico piano, andando incontro alle esigenze ed alle percezioni della comunità che da sempre ha sentito proprio questo edificio per conformazione ed uso e soprattutto, nel rapporto visivo e cognitivo rispetto alle valenze storiche presenti. Il progetto di restauro ed ampliamento persegue quindi l’idea del significato di spazio e limite, prendendo come riferimento alcuni percorsi culturali ed artistici di artisti mediterranei.
Il progetto vuole «ridare un fronte “collettivo” al prospetto su Piazza Re Manfredi tenendo in considerazione una possibile valorizzazione a contenuto culturale della piazza, definendone proprio nel vuoto l’ingresso/terminale principale agli spazi museali/allestitivi della città. Un fronte “artistico” in continuità con il fronte est del Castello dove la piazza diventa il passaggio delle percorrenze pubbliche pedonali e delle fruibilità turistiche […].
Il fronte su via Beltrani in contrapposizione al significato dato a Piazza Re Manfredi diviene progetto urbano dell’asse del “Tribunale Diffuso” recuperando l’ingresso principale dell’edifico vincolato come ingresso alle funzioni principali del tribunale. L’apertura a sud del vecchio porticato e la valorizzazione di Via Accademia dei Pellegrini permette di localizzare sui fronti laterali ulteriori spazi ed accessi controllati e limitati destinati al piano terra alle funzioni del tribunale, mantenendo, al tempo stesso, l’idea di connessione tra gli spazi pubblici. L’ampliamento al piano terra si definisce quindi come una stanza aperta che evoca diverse metafore e rimandi, priva di confini fisici ma delimitata dalla proiezione a terra dell’unico piano superiore del tribunale destinato alle aule […]. Da un lato quindi, l’azione di sollevamento e di distaccamento dal suolo, crea una funzione collettiva/museale che recupera anche alcuni spazi di prossimità del Palazzo Carcano e l’ingresso principale su piazza, mentre dall’altro, la posizione di “copertura” del piano amministrativo ad uso più pubblico ne definisce uno spazio urbano protetto e limitato nella dimensione. […] Una architettura che si sdoppia nella sua massa rispetto alla città definendo una separazione degli usi funzionali ma riuscendo a tenere in sé le caratteristiche concettuali ed interpretative di due funzioni così diverse; una piazza sospesa per il tribunale, una piazza coperta per la città».
Alberto Lupo e Mina canterebbero “Parole, parole” … sarebbe infatti cosa buona e giusta che determinati slogan venissero accompagnati da spiegazioni accurate atte a dimostrare la loro veridicità!
Parole illusorie a parte, la realtà sul futuro di Palazzo Carcano è sotto gli occhi di tutti: un progetto che, come tutti i progetti autoreferenziali e dissonanti figli di certa ideologia, ingaggia una competizione – persa in partenza – con il contesto storicizzato su cui si innesta, provocando così la rabbia della gente che vede violentati i simboli della propria identità.
Ma per certi professionisti dell’edilizia (questa, infatti, non può definirsi “architettura“), il risultato più importante è esclusivamente quello di riuscire a mettere la propria firma sul territorio e garantirsi una positiva recensione su qualche rivista ideologicamente schierata, dove il parolaio di turno, autoproclamatosi “esperto”, darà ampio spazio alle proprie masturbazioni cerebrali necessarie a far comprendere a tutti la bellezza della violenza urbanistica di turno e, visto che fa tanto chic, far credere anche che il progetto risulti “sostenibile”.
Nel caso di palazzo Carcano, non c’è nemmeno da doversela prendere con i progettisti, che si sono limitati a ripetere, per l’ennesima volta, “la propria architettura per ogni dove”, perché i principali responsabili dello scempio sono da considerarsi coloro i quali hanno imposto questa violenza alla comunità, bandendo il concorso e, soprattutto, premiando un abominio del genere.
Appare incredibile che la stragrande maggioranza degli architetti si rifiuti di comprendere la gravità della cosa e, sempre più spesso, ricerchi altrove le responsabilità della bruttezza delle città, rifiutandosi di riconoscere il fallimento dell’architettura contemporanea.
La (ridicola) comunità degli architetti – di cui anch’io faccio parte – infatti, spesso si interroga sulle ragioni del disamore della gente per l’architettura contemporanea, ma, a causa della lobotomia ricevuta nelle facoltà di architettura, non riesce mai a comprenderne il perché.
Eppure a questa arrogante comunità (cerebrolesa dalla lobotomia) convinta di possedere “il verbo“, basterebbe provare ad ascoltare, almeno per una volta, il pensiero di chi non abbia subito lo stesso lavaggio del cervello sui banchi universitari … di colpo questa comunità potrebbe rendersi conto che le responsabilità della bruttezza e del disagio sociale delle periferie non risiedono nell’opera di geometri, ingegneri e palazzinari, ma proprio nell’ideologia che, nell’ultimo secolo, l’ha guidata.
Per come stanno le cose, tutti i rappresentanti dell’Agenzia del Demanio, gli amministratori politici, i soprintendenti e i professionisti tranesi e pugliesi che hanno consentito questo attacco al Castello, alla Cattedrale e al centro storico di Trani dovrebbero cospargersi il capo di ceneri, riconoscendo la gravità dell’errore commesso e bloccando la sua esecuzione, per poi implorare il perdono dei cittadini condannati a questa violenza.
Almeno gli amministratori locali dovrebbero, semplicemente riflettendo sull’interesse turistico suscitato dall’integrità del centro storico tranese – ergo sulle sue ricadute – pensare a cosa possa generare un precedente del genere.
Il Capo Indiano Sioux, Orso in Piedi, diceva: «Quando l’ultimo albero sarà abbattuto, l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce pescato, l’ultimo animale ucciso, vi accorgerete che non si può mangiare il denaro!»
Analogamente, occorrerebbe riflettere sul fatto che, quando il carattere dei nostri meravigliosi centri storici sarà perduto, divenendo non dissimile dalle periferie di tutto il mondo, non vi sarà più alcuna ragione di interesse a visitare le nostre città.
Come dicevo in precedenza, tornando al discorso “responsabilità” e riflettendo su alcuni commenti circolati in rete in questi giorni, è triste vedere come molti architetti, piuttosto che prendersela con se stessi per l’abominio dell’edificato dell’ultimo secolo, preferiscano additare i geometri, gli ingegneri e i periti abilitati a realizzare dei progetti, perché questa mancata presa di coscienza della realtà non conduce ad alcuna soluzione.
Come infatti accade per una persona instabile psicologicamente, la cui guarigione inizia nel momento in cui riesca ad ammettere di avere un problema ed accetti di intraprendere un percorso psicanalitico, la guarigione dell’architettura potrà iniziare solo quando ci sarà consapevolezza, da parte degli architetti, di esser loro il problema, e non coloro i quali ne emulino le gesta.
Sicuramente tanti geometri, ingegneri e periti avranno fatto porcherie di ogni genere, ma lo hanno fatto sognando di essere architetti, soprattutto quegli architetti celebrati sulle rivista patinate degli ultimi 80 anni!
La quasi totalità delle schifezze che infestano le città è infatti figlia degli architetti, dogmaticamente formati a “pane e Le Corbusier“. La totalità delle periferie peggiori d’Italia non solo è figlia degli architetti, ma è soprattutto figlia dei più grandi luminari delle facoltà di architettura … che avrebbero dovuto fare altro nella vita, che lobotomizzare gli studenti con le proprie deiezioni cerebrali!
Ho scritto tanti articoli, documentando in maniera ineccepibile queste cose[9], e sono profondamente convinto che, finché non ci sarà onestà intellettuale e, soprattutto, capacità da parte degli architetti, di rimettere in discussione la presunta “divinità” dei falsi maestri impostigli dalle università non andremo da nessuna parte … e finiremo per perdere il nostro patrimonio, dandolo in pasto agli ignorantoni che, per eccesso di ego, tenderanno sempre a voler superare il proprio (folle) maestro … come nel caso in oggetto.
Non occorre essere architetti per capire la bellezza e ciò che risulti in grado di sviluppare il senso di appartenenza ad un luogo, basta la sensibilità e l’onestà intellettuale. L’idea che l’architettura e l’arte debbano essere ad esclusivo appannaggio dei presunti esperti è semplicemente il trucco per poter consentire agli ignoranti di sentirsi colti.
Per questo invito l’intera comunità, non solo tranese, a sentirsi legittimata, indipendentemente dalla propria formazione ed estrazione culturale e sociale, a manifestare pubblicamente – sui social e ovunque le sia possibile – il proprio dissenso, rivendicando il proprio, indispensabile, coinvolgimento in fase decisionale di qualsivoglia modifica che possa danneggiare, se non addirittura distruggere, l’identità collettiva di una città.
[1] https://www.traniviva.it/notizie/rifunzionalizzazione-di-palazzo-carcano-il-progetto-vincitore-del-concorso-bandito-dall-agenzia-del-demanio/
[2] https://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2021/05/18/salviamo-anche-il-castello-di-trani/
[3] Per la traduzione italiana: Conversazioni sull’Architettura – Edizioni Jaca Book S.p.A. – Milano 1990
[4] E. M. Mazzola – Architettura e Urbanistica, Istruzioni per l’Uso – Architecture and Town Planning, Operating Instruction, prefazione di Léon Krier, Gangemi Edizioni, Roma, 2006
[5] Per la traduzione italiana: Conversazioni sull’Architettura – Edizioni Jaca Book S.p.A. op. cit.
[6] Maria Ponti Pasolini, Il Giardino Italiano, E. Loesher & C., Roma, 1915, pag. 4.
[8] https://www.facebook.com/groups/2848390222087945
[9] https://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2018/06/17/periferie-e-degrado-per-i-veri-responsabili-la-colpa-e-sempre-degli-altri/