Sin dalla fondazione dei primi insediamenti umani la magia, o meglio dei rituali propiziatori, hanno sovrinteso a qualsiasi decisione urbanistica dovesse prendersi, dalla scelta del luogo al tracciamento delle strade, al posizionamento degli edifici sacri ed alla scelta degli stessi.
Scendendo di scala e limitando il discorso alla sola architettura del passato, anch’essa – che fosse pubblica o privata, sacra o profana – è sempre stata caratterizzata da simboli con funzione apotropaica[1]: gorgoni, iscrizioni incise, oggetti, amuleti – dipinti o scolpiti – esseri mostruosi, divinità protettrici, simboli fallici, ecc. sono infatti documentati ovunque sin dall’antichità.
L’architettura e l’urbanistica sono, da sempre, permeate dall’uso di simboli occulti[2], posti prevalentemente a fin di bene, checché se ne possa dire!
Per esempio, i simboli posti a coronamento dei trulli della Valle d’Itria[3] – come ricorda il sito web di Alberobello – «andrebbero ricondotti a una primitiva simbologia magica. Non a caso, le forme che li caratterizzano, (il disco, la sfera, il cono, la piramide a base quadrata o triangolare), nell’antichità erano connesse al culto solare, praticato dai popoli agricoli primitivi e documentato in Puglia fino al primo secolo A.C.»
L’uso dei simboli, da sempre, interessa l’architettura di tutte le civiltà del mondo. Se prendiamo in esame l’architettura haussa in banco (tecnica di costruzione con l’argilla cruda) della città di Zinder nel Niger, possiamo registrare una infinità di soluzioni tipologiche e di motivi simbolici e decorativi, dipinti o incisi.
Zinder conserva un ricco patrimonio da salvaguardare, di storia, di tradizioni, d’architettura e d’oggetti. I suoi due quartieri antichi risultano «fortemente caratterizzati dalle tipologie delle case haussa, con le cupole tradizionali, dal simbolismo complesso delle decorazioni geometriche delle facciate, dalla tecnica del banco, stabilizzato col succo di néré e col tannino delle acacie.
Lo studio dell’architettura haussa è permeato dell’incanto di una scoperta: una corporazione di muratori-artisti, con le loro usanze, i loro simboli, i loro segreti… e il mistero che un uomo occidentale, per quanto colto e curioso, può solo intuire, ma sa che non potrà mai penetrare a fondo, dietro la barriera di secoli di storia, di cultura e di lingua diverse.
Ancora oggi alcuni ricercatori locali studiano a Zinder i rapporti tra le diverse arti applicate, i “simboli parlanti” dei fabbri, dei tessitori e dei sarti, per capire il linguaggio ideografico che i muratori hanno trasposto sulle facciate delle case. L’ipotesi più allettante è infatti quella che – al di là del significato delle singole figure – l’intera facciata “parli” un proprio linguaggio, come i piloni d’un tempio egizio o come la facciata d’una cattedrale romanica o gotica (pur con le debite proporzioni)[4]».
Salendo di scala, e riferendoci a Roma, il grande archeologo Rodolfo Lanciani, (padre degli studi sulla topografia di Roma antica) citando un passo – definito “duro” della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, riteneva che la stessa topografia di Roma nascondesse una forma segreta sacra, o magica – l’Altera Forma Urbis – che negli anni ’80 dello scorso secolo, portò Pier Maria Lugli – riprendendo un lavoro di suo padre Giuseppe – a proporre una complessa teoria secondo la quale le principali architetture della Roma antica, fino all’epoca costantiniana, risultassero disposte lungo degli allineamenti che si estendono fino al IV miglio: un sistema di relazioni – tenuto, secondo l’autore, volontariamente segreto per secoli – che legava la struttura urbana della città di Roma al disegno di una “Stella[5]“.
Questa chiave di lettura, nonostante la popolarità che ha vissuto all’indomani della sua divulgazione, risulta a mio avviso poco credibile, specie se si considera che i monumenti cui si fa riferimento datano fino alla metà del IV secolo, mentre Plinio scriveva intorno al 77 d.C.
Ciò non significa voler screditare le parole di Plinio, semmai è un invito a riflettere su quelle che potrebbero essere delle ulteriori chiavi di lettura del suo ermetico ed indubbio messaggio.
Una chiave, molto più plausibile può venirci offerta dalla lettura di alcuni documenti antichi, nonché sul possibile significato ed organizzazione delle 4 Regiones della Roma dei Re prima e delle 14 della Roma Augustea poi …
Ciò che appare indispensabile per una corretta comprensione, è la necessità di provare ad annullare i moderni schemi mentali “scientifici”, provando a pensare come gli antichi. Dovremmo provare a proiettarci mentalmente in un mondo dominato dalle credenze, dalla superstizione, dalla magia, dai riti e dal rapporto con l’universo. Mondo che risale alla notte dei tempi e che, nel nostro caso specifico, rimanda ai criteri di fondazione delle città, al ruolo degli augures, aruspici, flamini, ecc. mondo in cui non esisteva una distinzione tra astrologia e astronomia, e che vedeva importanti relazioni tra il movimento degli astri e gli eventi terreni.
Non è un caso se in tutte le civiltà storicamente documentate, nel Vecchio come nel Nuovo Continente, ma anche in Australia e Nuova Zelanda, da quanto ci è stato possibile ricostruire, gli astri abbiano da sempre giocato un ruolo fondamentale; … la conoscenza degli astri, da parte degli antichi abitanti del pianeta non era dissimile da quella odierna, semmai anche superiore! Si pensi alla precisione del Calendario Maya, o all’incredibile allineamento delle piramidi di Cheope, Chefren e Micerino alle tre stelle della cintura di Orione (Al Nitak, Al Nilam, Mintaka)[6]e tantissimi altri esempi.
Ma le stelle sarebbero anche essere state all’origine dell’alfabeto mesopotamico[7].
Cosa ci sarebbe dunque di strano nel pensare che all’origine della fondazione delle città, sin dall’epoca in cui gli esseri umani da cacciatori-raccoglitori si trasformarono in agricoltori sedentari, non possa esserci stata una intima relazione con il firmamento?
Occorre ovviamente tenere sempre presente il fatto che, all’epoca della definizione delle costellazioni, l’uomo ha interpretato – talvolta in forma estrema – in maniera figurativa, gli allineamenti di punti dati dalle stelle, nel senso che occorre molta fantasia per poter riconoscere nell’allineamento di determinate stelle la forma di un animale o altro.
Parimenti, se volessimo iniziare ad immaginare quale tipo di forma possa avere avuto la “Altera” di Roma, dovremmo far riferimento ad una sua schematizzazione tipica.
Questa è la ragione per la quale ritengo lo studio di Lugli abbastanza poco credibile, mentre considero il lavoro di Emilio Rodriguez Almeida e Claudio Virginio Assandri sulla lettura “astrologica” della “forma” di Roma molto più credibile … oltre che supportata da altri studi, come quello di Bayet[8], fondati su dati fattuali.
A questi studi, dei quali sono venuto a conoscenza diversi anni fa grazie alla rivista “Forma Urbis”, ho dedicato parecchio tempo, addivenendo a delle conclusioni che, spero, presto potrò rendere note con una pubblicazione ad-hoc della quale qui darò un piccolo accenno.
Il ruolo della divinazione nel tracciamento delle città
“Fra gli Etruschi … e noi [Romani] c’è questa differenza: noi riteniamo che i fulmini scocchino quando c’è stato uno scontro di nuvole, essi credono invece che le nuvole si urtino per far scoccare i fulmini. Infatti, dal momento che attribuiscono ogni cosa alla divinità, essi sono convinti non già che le cose abbiano un significato in quanto avvengono, ma piuttosto che avvengono perché debbono avere un significato“.
(Seneca, Nat. Quaest., 2, 32)
Sebbene Seneca ci ricordi che tra i romani e gli etruschi ci fosse una sostanziale differenza nel modo di porsi rispetto ai segni divini, dobbiamo ricordarci che quella romana fu una civiltà generata dalla fusione di diverse altre che gravitavano nell’area laziale, soprattutto caratterizzata dai Latini, Volsci, Sabini, Osci, Ramni e, soprattutto, Etruschi.
Detto ciò, se dovessimo pensare alla Roma Romulea – ferme restando le riserve relative alla eventuale realtà dei fatti, che l’archeologia ha più che altro smontato e riportato ad una leggenda probabilmente creata nel VI secolo A.C. – non potremmo mai e poi mai pensare alla creazione di una “città romana”, prima dell’esistenza di una civiltà romana.
In ogni modo dobbiamo riconoscere l’arte divinatoria nella leggenda secondo la quale Romolo e Remo, appostati in luoghi diversi, analizzarono il volo degli uccelli, ricevendo diversi auspici ed arrivando alla storia che conosciamo.
La logica dunque ci porta a prendere seriamente in considerazione le figure dell’aruspice e dell’augure nel tracciamento della città, nonché nella codifica, sin da quell’eventuale 21 aprile del 753 A.C., di una “Altera Forma Urbis” in grado di proteggere la città, e il suo territorio sotto gli auspici delle divinità più influenti.
La cosa non sarebbe del tutto astrusa.
Aprendo i nostri orizzonti, e andando a vedere ciò che in epoca pre-romana accadeva lungo i bordi del territorio sacro agli Etruschi[9], ci rendiamo conto che tutte le popolazioni italiche ricorrevano all’arte divinatoria in fase di fondazione di una città, e questa arte presiedeva a tutte le manifestazioni celebrative della città. Gli Umbri, per esempio, nel tracciamento del territorio della Tota Ikuvina (Gubbio) hanno tenuto in grandissima considerazione l’arte divinatoria, ma l’hanno considerata anche alla base dei principali riti che si svolgevano nella città antica. Questo ci viene inequivocabilmente testimoniato dalla lettura delle 7 Tavole Ikuvine – documento ove sono riportate, in maniera dettagliatissima, le prescrizioni inerenti i riti di “purificazione” ed “espiazione” del territorio urbano.
Ma Gubbio ci dà un’altra informazione, fondamentale per quello che sarà il prosieguo del saggio che sto sviluppando, ovvero quella relativa all’organizzazione dello spazio urbano secondo uno schema – universalmente utilizzato dalla popolazioni italiche – che prevede la delimitazione rituale del “templum in terris”, cioè di uno spazio sacro, presupposto all’insediamento urbano vero e proprio, inteso come riproduzione bidimensionale del cosmo, ovvero come trasferimento in terra della posizione occupata da ogni divinità nella sfera celeste, o “templum coeli”.
Relativamente alla centralità di questa pratica rituale esistono tantissime testimonianze, la più nota delle quali è probabilmente il cosiddetto “Fegato di Piacenza”, consistente in una riproduzione in bronzo di un fegato di bue, su un verso suddiviso in settori, ognuno dedicato ad una divinità, e nel verso opposto caratterizzato da un asse trasversale che divide la superficie in due settori, orientale e occidentale, designati rispettivamente al sole e alla luna. Il “fegato bovino” era uno strumento utilizzato dai sacerdoti nelle cerimonie di consacrazione dello spazio urbano, il suo utilizzo era legato all’esistenza in loco di traguardi ottici necessari ad evidenziare l’asse Nord-Sud. Questo consentiva al sacerdote di “orientare” il fegato e di ricostruire, attraverso le indicazioni in esso riportate, in terris l’ubicazione delle diverse divinità celesti.
Sarebbe interessante andare avanti con il discorso su Gubbio, ma rimando alla eccellente ricostruzione storico-urbanistica fatta da Paolo Micalizzi[10]. È però utile richiamare un ultimo aspetto, che ci tornerà utilissimo nel discorso su Roma, relativamente alla storia antica di Gubbio, ovvero l’esistenza di un pietrone ovale, oggi incastonato in via Gabrielli di fronte al Palazzo del Capitano del Popolo e probabilmente in passato posizionato non lontano da lì, che rimanda in maniera inequivocabile all’immagine “altera” di Gubbio, ovvero quella del “templum in terris”: un ovale suddiviso perfettamente in 4 settori.
Il caso di Gubbio non è però un caso isolato, né tantomeno riguarda un qualcosa di limitato alle popolazioni “nordiche” della penisola italiana. Anche a sud, infatti, se si prende in esame la città di Banzi in Lucania, si trovano delle analogie.
Tornando dunque a Roma, sappiamo bene che, sin dall’epoca dei Re, la città, che per molti aspetti potremmo definire “etrusca”, era stata organizzata in 4 regioni … mentre, andando avanti – stando al racconto di Plinio il Vecchio – Augusto, all’indomani della conquista d’Egitto, nell’anno 7 a.C., decise di trasferire due obelischi di diversa grandezza da Heliopolis nell’Urbe, utilizzando per l’impresa una gigantesca nave da trasporto. L’ingente carico sostò per diversi anni nei cantieri navali di Pozzuoli, dove la nave venne distrutta da un incendio. Poi, in occasione del ventennale di quella vittoria, i due obelischi vennero trasportati fino a Roma, probabilmente risalendo il Tevere durante le fasi di piena, con l’ausilio di una diversa imbarcazione adatta alla navigazione fluviale.
La finalità di questa mirabile iniziativa consisteva nell’esplicito intento celebrativo con cui Augusto riaffermava il potere acquisito sulla fertile provincia orientale, un atto in grado di produrre un’efficace propaganda politica, e di contribuire alla diffusione di quel clima di sicurezza, equilibrio e stabilità che i poeti dell’epoca riconoscevano come ritorno al saeculum aureum, l’età dell’oro del mitico regno di Saturno. In pratica, questa coppia di monoliti, abbandonata la funzione votiva dell’originario santuario del dio Ra ad Heliopolis, subì un processo di “ri-funzionalizzazione” attraverso il loro impiego in differenti progetti urbanistico-architettonici dell’età augustea.
L’obelisco più piccolo venne infatti destinato al ruolo di gnomone nel Solarium Augusti del Campo Marzio, la cui duplice funzione, oltre a quella di segnare il trascorrere del tempo, era stata studiata in modo strategico per proiettare la propria ombra verso l’ingresso dell’Ara Pacis nel dies natalis di Augusto, il 23 settembre. Questo è il monolito che sorge oggi, non troppo lontano dal luogo originario, di fronte a Palazzo Montecitorio. L’altro obelisco, decisamente più grande, noto come obelisco Flaminio per la sua definitiva collocazione, venne destinato al completamento decorativo del Circo Massimo. Ancora oggi sui lati Nord e Ovest del basamento è possibile leggere l’iscrizione originaria con la quale il princeps chiariva le ragioni della dedica “… Augusto … ha offerto questo dono al Sole per aver assoggettato l’Egitto al potere del popolo romano”. L’iscrizione indica anche il periodo durante il quale avvenne il trasporto dall’Egitto, vale a dire la XIV potestà tribunizia, esercitata dal Princeps tra il 1 luglio del 10 e il 30 giugno del 9 a.C.
Contestualmente Ottaviano, sebbene nato sotto il segno della Bilancia, coniava una moneta rappresentante il simbolo del Capricorno (segno della sua “rinascita” come Augusto e altri eventi a lui legati) e riorganizzava la città in 14 Regiones … un’operazione che, per dirla con il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, cambiava tutto affinché nulla cambiasse! … la cui spiegazione verrà svelata con la pubblicazione del mio futuro saggio che ho citato.
Superstizione, credenze, segreti … e magia, sono sempre state intimamente connesse all’architettura ed all’urbanistica che amiamo e nelle quali ci identifichiamo, sentendoci quindi felici! Purtroppo, gli architetti e gli urbanisti “moderni”, il cui approccio progettuale semplicistico ha relegato l’uomo in un ruolo di secondo piano rispetto alla macchina, hanno dimenticato, frainteso, o volutamente ignorato per ragioni ideologiche tutto questo, creando così luoghi ed architetture infelici e deprimenti!
Eppure, un interessante saggio Giuseppe Baiocchi[11] ricorda come uno degli attori del recente passato, Aldo Rossi, affermasse: «l’architettura sta tra la magia e la felicità”, i moderni si sono soffermati sui piani intermedi, senza aver capito che all’inizio c’è la magia e in fondo c’è la felicità».
[1] http://www.sapere.it/enciclopedia/apotrop%C3%A0ico.html
http://www.treccani.it/enciclopedia/apotropaico_%28Enciclopedia-Italiana%29/
[2] https://www.eticamente.net/44555/simboli-occulti-nellarchitettura-e-nellurbanistica.html?cn-reloaded=1
[3] https://www.itrullidialberobello.it/il-trullo-e-la-sua-struttura/91-il-trullo-pinnacoli-e-simboli
[4] http://www.liutprand.it/articoliMondo.asp?id=3
[5] Pier Maria Lugli, “L’agro romano e l'”altera forma” di Roma antica”, Gangemi Editore, Roma, 2006.
[6] Si veda l’articolo “le Piramidi di Giza come misuratore processionale delle epoche” di Giuseppe Badalucco dedicato alle ricerche di John Anthony West, Graham Hancock, Adrian Gilbert e Robert Bauval per Edicolaweb e disponibile on-line. http://www.edicolaweb.net/atlan15e.htm
[7] Ci limitiamo a citare le ricerche di Giuseppe Sermonti sulla derivazione degli alfabeti indoeuropei dalla forma delle costellazioni. Le nostre costellazioni nel cielo del Paleolitico, Giornale di Astronomia, 20 (1994) 3, pp.4-8; Id, Desciende el alfabeto de las constelaciones? Beroso (Barcelona) 2 (2002) 7, pp.7-30; Id. Il Mito della Grande Madre. Dalle amigdale a Çatal Hüyük, Milano 2002. Ma anche A. Bausani, L’alfabeto come calendario arcaico, Oriens Antiquus, 17, pp.131-146, p.144 e H. A. Moran, D. Kelley, The Alphabet and the Ancient calendar Signs, Palo Alto (CA) 1953, 1969.
[8] Bayet, Histoire de la religion, cit., p. 170, sottolinea come Augusto diede ufficialmente risalto al segno zodiacale del Capricorno, quale immagine del proprio fausto oroscopo e forse del suo ‘risalire verso gli dei celesti’.
[9] Sulla sacralità del territorio etrusco, si veda l’interessantissima Relazione “la Cosmologia Etrusca” tenuta dal prof. Renzo Baldini al III Congresso Internazionale della Federazione Astrologica dell’Europa del Sud (FAES) Milano, Italia, 6-7 Novembre 2004.
[10] Storia dell’Architettura e dell’Urbanistica di Gubbio, Officina Edizioni, Roma 1988
Mi permetto carissimo Ettore, una sciocca battuta per strapparti un sorriso, un po’ amaro come sempre, a proposito della città antica che origina dal mito dal rito e la magia, a quella contemporanea che persevera nel gioco di prestigio e pratica l’inganno, nell’urbs come nella civitas. È la truffa la triviale cifra dell’urbanizzazione declinata al presente ; una lunga scia di violenza perpetrata ai danni degli inconsapevoli abitanti che avvezzi ad adattarsi, vivono da alienati (e pure contenti).
assolutamente così!