Una vista aerea del nuovissimo Borgo Egnazia, il resort scelto per ospitare il vertice – (foto © Borgo Egnazia)
Come tradizione vuole, anche il G7 tenutosi a Borgo Egnazia dal 13 al 15 giugno u.s. ha portato con sé una serie di polemiche, alcune delle quali più che condivisibili, altre del tutto fuori luogo e/o figlie dell’ideologia.
https://www.borgoegnazia.com/people/ep/episode-6
È il caso della sterile polemica sulla sede del meeting, non già innescata da critiche relative al modo con il quale sarebbe stata operata la scelta, (che qualcuno ha visto come un favore ai proprietari), né per la scelta dei vini da offrire agli ospiti (che, in assenza di regole, ha optato per dei vini prodotti da un noto giornalista televisivo, ignorando gli ottimi produttori locali), né, infine, per ragioni ecologiche che avrebbero dovuto suggerire scelte più attente all’ambiente …
Nell’era del cambiamento climatico e delle scadenze di COP 26, 27 e 28, oltre che della rivoluzione digitale e dello smart working infatti, avrebbe avuto senso polemizzare sull’inquinamento prodotto dagli aerei e dai veicoli che hanno portato in Puglia i cosiddetti 7 Grandi, oltre che il Papa, chiedendosi come mai, anche per dare il buon esempio, i grandi non possano incontrarsi virtualmente via Zoom o Skype, senza sperperare denaro e inquinare il pianeta.
Ma si sa che, in certi ambienti, vigendo la regola del Marchese del Grillo, risulterebbe inammissibile porre i G7 sullo stesso piano degli studenti e/o lavoratori ai quali viene proposto/imposto lo smart working, negando loro una vita sociale … ai “Grandi della Terra” non è possibile negare la vacanza in un resort lussuoso!
Un’altra riflessione che tutti i critici avrebbero potuto fare, piuttosto che concentrarsi sulla sterile polemica della presunta “falsità” del luogo, è quella sulla quale ho deciso di concentrare la mia attenzione: come mai, quando si tratta di piacere e di lusso a 5 stelle, le ambientazioni classiche e tradizionali vengono preferite agli “scatoloni” privi di carattere, destinati alla gente comune?
E già, perché a causa dell’ideologia dominante nelle facoltà di architettura e sulle riviste patinate e i giornali, chi ha scritto del G7, come ho accennato, ha preferito parlare di falso borgo.
Per esempio, lo scorso 13 giugno Avvenire[1] ha pubblicato un articolo di Pietro Saccò nel quale si poteva leggere: «I leader globali portati in un finto paesino tradizionale pugliese costruito per i turisti di lusso. Il vertice stesso che prende il nome di un resort privato. L’Italia poteva fare di meglio»
È davvero questo il problema?
L’autore si è addirittura spinto ad affermare:
«L’Italia aveva l’occasione di ospitare i leader del G7 e gli altri illustri ospiti internazionali in una delle sue bellissime città. Poteva fargli conoscere di persona uno dei tanti luoghi che abbiamo noi, e che il mondo ci invidia. Invece li ha portati tutti a scoprire Borgo Egnazia, un ambiente che probabilmente avrebbe appassionato l’antropologo francese Marc Augé, morto un anno fa e celebre per la teorizzazione dei non-luoghi, spazi omologati destinati ad essere utilizzati ma non vissuti, senza storia, radici e valori relazionali».
Ma davvero vogliamo paragonare il Borgo Egnazia ai non-luoghi di cui parlava Marc Augè?
«i non-luoghi sono quegli spazi contrapposti ai luoghi antropologici, quindi tutti quegli spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali e storici. Sono tutti quegli ambiti adibiti alla circolazione, al consumo e alla comunicazione. Sono spazi della provvisorietà e del passaggio, spazi attraverso cui non si possono decifrare né relazioni sociali, né storie condivise, né segni di appartenenza collettiva. I non-luoghi sono prodotti della società della surmodernità, incapace di integrare in sé i luoghi storici confinandoli e banalizzandoli in posizioni limitate e circoscritte alla stregua di “curiosità” o di “oggetti interessanti”. I non-luoghi sono incentrati solamente sul presente e sono altamente rappresentativi della nostra epoca, che è caratterizzata dalla precarietà assoluta, dalla provvisorietà, dal transito e dal passaggio e da un individualismo solitario. Le persone transitano nei non-luoghi ma nessuno vi abita. In altre parole, sono tutto il contrario della città storica nella quale le regole di residenza, la divisione in quartieri, delimitava lo spazio e permettevano di cogliere nelle loro linee essenziali le relazioni tra gli abitanti[2].
A che pro strumentalizzare le parole di Marc Augé per criticare Borgo Egnazia? È forse perché l’autore di Borgo Egnazia, diversamente dalle migliaia di altri Village Resorts, ha osato volersi integrare nel contesto con un intervento nuovo che cerca di mimetizzarsi tra i paesini tra Bari e Brindisi?
A voler essere più precisi infatti, i non-luoghi per antonomasia sono le immonde periferie e quei luoghi spersonalizzanti, rigorosamente prodotti dai progettisti insensibili del XX e XXI secolo, sono quelle realtà criminogene che chiamiamo periferie … non di certo un Village Resort di lusso come quello in oggetto che, sebbene nella sua essenza non possa configurarsi come un paese – perché esclusivamente destinato solo al turismo di lusso – se non altro vuole ricreare un’ambientazione tipica del luogo, con tanto di piazza e di chiesa.
La facciata della nuova Chiesa di Borgo Egnazia, (foto © Borgo Egnazia)
Cosa ci sarebbe di male nel progettare ambientazioni – come Borgo Egnazia – che vogliono ricreare quelle piacevoli condizioni ambientali in grado di far sentire a casa … o nella casa dei propri sogni, i loro ospiti?
Questo aspetto della progettazione è talmente importante, per evitare lo spaesamento, che l’illuminato legislatore della normativa per le Residenze Sanitarie Assistenziali italiano pensò di inserire questa regola (rigorosamente ignorata dai progettisti ignoranti e dai tecnici e politici preposti all’approvazione dei loro progetti), nel testo di legge. Il Criterio 3 del D.P. 22.12.1989, (Norme per la progettazione di Residenze Sanitarie Assistenziali) recita infatti:
«La concezione architettonica e spaziale deve ricreare, all’interno della struttura, condizioni di vita ispirate a quelle godute dagli ospiti al proprio domicilio»…
Peccato che, considerando l’indiscutibilità del “diritto alla casa” e del “diritto alla salute” (mentale inclusa), i nostri legislatori non abbiano mai pensato chiedere la stessa attenzione per tutti gli edifici delle città, sì da evitare lo scempio criminogeno di tutto l’edificato post-bellico!
Comunque la si voglia vedere, la realtà dei fatti è che, quando si può scegliere sul dove e/o come vivere o svagarsi, chi è benestante preferisce il bello e tutte quelle ambientazioni che lo facciano rilassare, disdegnando le astruse realizzazioni che creano spaesamento.
Non è un caso che tanti illustri e benestanti architetti, autori di abomini edilizi (per gli altri), vivano e lavorino in dimore storiche, come già Léon Krier raccontò nel famoso articolo “Vertus Privées et Vices Publics des Modernes[3]” pubblicato nel 1980 sul n°18 de Les Archives d’Architecture Moderne … beccandosi una denuncia da parte di lord Norman Foster.
Del resto, Borgo Egnazia non è il primo caso di intervento di questo tipo, definito “falso storico”, lo splendido precedente di Port Grimaud, realizzato da François Spoerry in Costa Azzurra, ormai da 60 anni mostra quanto una scelta progettuale del genere risulti aver avuto successo, un successo ripetuto “per i ricchi” dallo stesso Spoerry a Porto Cervo … ma poi per tutti, operai inclusi, nello straordinario intervento di rigenerazione urbana a Le Plessis-Robinson.
Scorcio notturno Port Grimaud – (foto dal sito ramatuelle-tourisme.com)
Una delle 3000 case di Port Grimaud – (foto dal sito “lacasanellaprateria.com”)
Ma cosa ci sarebbe di falso a Borgo Egnazia o a Port Grimaud?
Non stiamo parlando infatti di edifici di cartapesta, realizzati per un set cinematografico, ma di edifici reali che, come potete vedere dalle immagini che seguono, sono realizzati in muratura di tufo, tipica della regione … una tecnica che, tra l’altro, aiuta a tenere in vita l’artigianato e le maestranze locali, oltre che possedere straordinarie caratteristiche termo-igrometriche.
Scorcio di Borgo Egnazia (foto © Borgo Egnazia)
Alloggi con scale esterne di Borgo Egnazia, (foto © Borgo Egnazia)
Interno di un edificio di Borgo Egnazia con murature e volte in tufo, tipiche dell’architettura locale (foto © Borgo Egnazia)
Esterno di un edificio di Borgo Egnazia con murature e volte in tufo, tipiche dell’architettura locale (foto © Borgo Egnazia)
L’abbondanza di piscine di Borgo Egnazia potrebbe essere l’unica nota criticabile dell’intervento, se non fosse che si tratti di un resort e non di un paese (foto © Borgo Egnazia)
Il problema della presunta “falsità”, infatti, è di natura ideologica e scaturisce dalla “sindrome della volpe e dell’uva”, che affligge tutti quegli storicisti (storico sarebbe un termine inappropriato per certi soggetti ideologicamente compromessi) e architetti incapaci di relazionarsi con il luogo, con le tradizioni e con il rispetto del bene e del bello condiviso, perché apparentemente ossessionati dal progresso, dalla sperimentazione e dalla necessità di esprimere il proprio tempo.
Se solo costoro conoscessero la definizione della Società Evoluta lasciataci da Edmund Burke, capirebbero quanto errata possa essere la propria visione ideologica del progresso:
«una civiltà sana è quella che mantiene intatti i rapporti col presente, col futuro e col passato. Quando il passato alimenta e sostiene il presente e il futuro, si ha una società evoluta!»[4]
A causa dell’insegnamento distorto, la stragrande maggioranza dei fondamentalisti censori del “falso” e sostenitori dello “spirito del tempo” probabilmente non conoscono nemmeno a fondo l’ammissione di Cesare Brandi – teorico del “Falso Storico[5] – espressa nel capitolo “Falsificazione” riguardo la vera essenza del problema:
«[…] La falsità si fonda nel giudizio. Ora il giudizio di falso si pone come quello in cui viene attribuito ad un particolare soggetto un predicato, il cui contenuto consiste nella relazione del soggetto al concetto. Si riconosce così nel giudizio di falsità un giudizio problematico, col quale ci si riferisce alle determinazioni essenziali che il soggetto dovrebbe possedere e non possiede, ma che invece si pretenderebbe possedesse, onde nel giudizio di falsità si stabilisce la non congruenza del soggetto al suo concetto, e l’oggetto stesso è dichiarato falso».
A questo punto, essendo il problema della presunta falsità, un problema di giudizio che si dà di un oggetto, ergo un problema soggettivo, dovremmo chiederci cui prodest?
E già, a chi giova questo giudizio?
Non volendomi dilungare su questa problematica, invito chi volesse approfondire a far riferimento al mio vecchio testo “Riflessioni sul Falso Storico”[6], mentre qui mi limiterò ad un paio di riflessioni, riportate in quel vecchio testo, necessarie a dare una risposta al quesito su chi possa trarre giovamento dal giudizio di falsificazione della storia.
La Storia dell’Arte è ricca di esempi di artisti e dei loro allievi; questi ultimi si ispirarono ai loro maestri raggiungendo livelli artistici notevoli, pur fondando la loro produzione sulla personalità altrui: ebbene, mai nessuno di quegli allievi venne denunciato per plagio, per amoralità o per reato estetico, tanto che oggi abbiamo la possibilità di studiare le loro opere su tutti i libri di Storia dell’Arte: Quello del falso è infatti un problema creato da noi moderni.
Del resto, se il recupero della tradizione e dei canoni classici fosse stato considerato un atto di falsità, mai avremmo vissuto le stagioni del Rinascimento e del Neoclassicismo. Ad eccezione infatti del movimento Funzionalista – erroneamente definito Modernista – ogni periodo della Storia dell’Architettura ha fatto tesoro della tradizione precedente ed è stato in grado di aggiungere qualcosa di nuovo. Diversamente il Funzionalismo, basando la sua forza espressiva sull’azzeramento della storia, non avrebbe mai potuto convivere con una tradizione in grado di far riflettere, così l’ha rinnegata!
Ritenere necessario negare il passato in nome del progresso, così come teorizzato da Sant’Elia prima[7] e da tutto il movimento Moderno poi, è un modo molto utile per rendersi la vita facile: del resto a chi volete che importi studiare in un’epoca dove si insegna che si possano ottenere enormi guadagni in maniera facile e veloce e si creano facoltà universitarie per diventare influencer?[8] …
Recentemente mi è capitato di interloquire con uno architetto-junior il quale riteneva di poter realizzare un progetto assurdo per una Villa storica laziale. Davanti alle rimostranze dei clienti ed alle argomentazioni da me portate a difesa dei suoi clienti costui, dopo aver sproloquiato sul “falso storico”, su Carlo d’Inghilterra, sulla Disney e sulla “grande lezione dell’opera di Scarpa”, peraltro evidenziando tutte le sue lacune formative, ebbe l’ardire di concludere la sua arrampicata sugli specchi dicendo: “d’accordo, volete un progetto classico invece che il mio design? Per me è molto più semplice e veloce, perché non ci vuole nulla a fare certe cose che non richiedono ragionamento!”
In pratica l’architetto aveva rigirato la frittata, arrivando a sostenere che la progettazione classica, che richiede la conoscenza e il rispetto di una serie di regole, risulti molto più semplice di quella astrusa, da lui proposta, priva di qualsiasi regola e di rispetto per l’esistente …
Come, compatendolo, cercai di fagli capire, l’insegnamento dogmatico operato nell’ultimo secolo ha creato un vero e proprio lavaggio del cervello sugli architetti e, a lungo andare, sulla società, sicché non c’è da meravigliarsi se personaggi arroganti e irriverenti come quello descritto possano avere l’ardire di dare dell’ignorante a chi la pensi diversamente da loro, essi infatti, in tutta buona fede, credono fermamente nell’insegnamento ricevuto, un insegnamento che è stato perfino definito più libero e democratico di quello classico … Come non apprezzare chi sostenga che Tutti abbiano il diritto di essere riconosciuti come poeti[9]?
Una semplificazione del genere raccoglie presto il favore della massa: chi può opporsi ad un metodo che consente a chiunque, anche ad un inetto totale, di potersi ritenere un qualcuno? Nel lontano 1968 – non a caso l’annus horribilis per la cultura – Andy Wharol affermò: “Nel futuro ognuno sarà famoso nel mondo per 15 minuti[10]” … La sua profezia si è concretizzata ben presto.
Nelle facoltà di Architettura siamo cresciuti studiando su libri dannosi, presentati come “testi salvifici”, come “Il Linguaggio Moderno dell’Architettura – Guida al Codice Anticlassico” di Bruno Zevi[11]. Questo ha causato una sorta di lobotomia anticlassica sulle nuove leve … generando figure come quelle del summenzionato architetto-junior e convincendo tante persone della giustezza della negazione di ogni rapporto con la storia.
Per agevolare la vittoria del Moderno, è stata perfino subdolamente adottata la strategia – per ovvie ragioni inattaccabile – di usare l’argomento delle persecuzioni razziali e della politica, al fine condannare l’architettura classica come “fascista”, fingendo di non sapere che, in realtà, il fascismo l’avesse già condannata a morte con le Istruzioni per il Restauro dei Monumenti del 1938[12] che recitavano: «per ovvie ragioni di dignità storica e per la necessaria chiarezza della coscienza artistica attuale, è assolutamente proibita, anche in zone non aventi interesse monumentale o paesistico, la costruzione di edifici in «stili» antichi, rappresentando essi una doppia falsificazione, nei riguardi dell’antica e della recente storia dell’arte» … ed è davvero assurdo che personaggi come Zevi, vittime di quelle orrende persecuzioni, possano aver abboccato all’esca, finendo per rigirare la frittata e favorire la vittoria dell’architettura promossa dal tiranno.
Evitando di continuare a divagare sulle vicende che hanno condotto all’assurdo pregiudizio sull’architettura rispettosa dei luoghi, resta da fare un’ultima riflessione sulla presunta mancanza di “autenticità” di interventi come Borgo Egnazia.
Infatti, se nel caso di un dipinto o di una scultura possiamo concordare sulla necessità di dover rispettare “la mano dell’artista” che la realizzò (sebbene con l’aiuto dei suoi collaboratori), cosa è possibile considerare “autentico” nel caso di un’opera architettonica? Se infatti è indubbia l’autenticità del progetto dell’architetto, come dovremmo porci nei confronti dell’opera, realizzata da decine o centinaia di operai, basandosi su quel progetto?
Chiaramente nessuno potrebbe sostenere la tesi secondo la quale un architetto possa aver interamente realizzato, di propria mano, un edificio, sicché “autentico” può ritenersi solo il progetto, e questo apre una delicatissima discussione riguardante il restauro dei monumenti.
A mio avviso infatti – nel rispetto dell’autenticità del progetto realizzato fedelmente dalle maestranze – mai e poi mai si dovrebbe consentire di apportare modifiche tese a distinguere il nuovo dal vecchio.
Da architetto, ritengo che nessun professionista – sostenitori dello zeitgeist inclusi – potrebbe mai accettare che, in futuro, un suo progetto possa essere modificato con materiali, forme e colori diversi dalla sua creazione.
Questo fa sì che risulti quindi paradossale che oggi, nel rispetto di una teoria fallace, ideologica e dannosa, in Italia si operi prevalentemente in maniera opposta al senso ultimo del restauro e, sempre più spesso, nel rispetto dell’ego dell’ignorante di turno.
Infatti, come amava raccontare il prof. Marconi, «sebbene il vocabolario italiano spieghi: “Restaurare: rimettere nelle condizioni originarie un manufatto o un’opera d’arte, mediante opportuni lavori di riparazione e reintegro”, in Italia, prevalgono ancora i divieti di Cesare Brandi (Teoria del Restauro, 1963) e della Carta del Restauro di Venezia del 1964: “il rifacimento tanto più sarà consentito quanto più si allontanerà dall’aggiunta e mirerà a costituire un’unità nuova sulla vecchia” … ciò per evitare le ‘falsificazioni’, le quali tuttavia avrebbero senso solo nel caso delle opere d’arte mobili e di antiquariato, commerciabili ed esportabili[13]».
Ai sostenitori della Carta di Venezia, che mai accetterebbero modifiche future ai propri progetti, vorrei quindi ricordare la biblica “Regola d’Oro” «Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te» … ma sarebbe necessario anche ricordare a tutti gli stravaganti architetti contemporanei la parafrasi di quella “regola” pronunciata da George Bernard Shaw «Non fare agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te: potrebbero non avere gli stessi gusti!»
Tornando dunque alle critiche “stilistiche” mosse al Borgo Egnazia, appare chiaro che esse risultino essere il frutto di una visione, totalmente distorta della realtà, che vede gli incompetenti comportarsi come la volpe con l’uva, con l’aggravante di accusare chi sappia cogliere gli acini di essere in errore … esattamente come già denunciato 200 anni fa da Viollet-Le-Duc: «amiamo vendicarci delle conoscenze che ci mancano con il disprezzo … ma sdegnare non significa provare![14]».
Ben vengano altri casi come Borgo Egnazia, non solo per il turismo di lusso ma per l’umanità intera, perché tutti hanno il diritto di vivere, 365 giorni all’anno, in luoghi piacevoli, ergo in grado di produrre energia positiva per la salute, fisica e mentale, dei propri abitanti.
[1] https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/borgo-egnazia-g7-polemiche
[2] http://www-4.unipv.it/aml/bibliotecacondivisa/2006.htm
[3] https://www.amc-archi.com/article/vertus-privees-et-vices-publics-des-modernes.56163
[4] P. Langford, The Writings and Speeches of Edmund Burke, Oxford, Clarendon Press 1981
[5] Cesare Brandi – Teoria del Restauro, Giulio Einaudi Edizioni – Torino 1963
[6] https://regola.blogspot.com/2009/07/riflessioni-sul-falso-storico.html
[7] Antonio Sant’Elia, al Punto 8 del suo Manifesto dell’Architettura Futurista dell’11.07.1914 decretava: «da un’Architettura così concepita non può nascere nessuna abitudine plastica e lineare, perché i caratteri fondamentali dell’Architettura futurista saranno la caducità e la transitorietà. “le case dureranno meno di noi. Ogni generazione dovrà fabbricarsi la sua città”, questo costante rinnovamento dell’ambiente architettonico contribuirà alla vittoria del “Futurismo”, che già si afferma con le “Parole in libertà”, il “Dinamismo plastico”, la “Musica senza quadratura” e l’”Arte dei rumori”, e pel quale lottiamo senza tregua contro la vigliaccheria passatista»
[8] https://www2.uniecampus.it/facolta/facolta-giurisprudenza/corso-laurea-triennale-influencer.asp?adsmonitorid=121388&gad_source=1&gclid=Cj0KCQjwhb60BhClARIsABGGtw9IVJgx0SldAJBhoCsG3CCGiAGy5tTRAA8SzH6DlZB7I9L4T1E2UNIaAmxNEALw_wcB
[9] https://www.juniorpoetryfestival.it/news/i-diritti-universali-alla-poesia/
[10] https://www.meer.com/it/68958-15-minuti-di-notorieta
[11] http://www-4.unipv.it/aml/bibliotecacondivisa/2068.htm
[12] Cfr. Ettore Maria Mazzola, “Contro Storia Dell’Architettura Moderna: Il Caso di Roma 1900-1940 – A Counter History of Modern Architecture: Rome 1900-1940”, Editrice ALINEA, Florence 2004. ISBN-10 8881258765 http://www.picweb.it/emm/blog/index.php/2020/02/17/ulteriori-aneddoti-sul-razionalismo-di-stato/
[13] Paolo Marconi, introduzione al testo “La Città Sostenibile è Possibile, Una strategia possibile per il rilancio della qualità urbana e delle economie locali – The Sustainable City is Possible, A possible strategy for recovering urban quality and local economies” di Ettore Maria Mazzola, Editrice GANGEMI, Rome, 2010. EAN 9788849218640
[14] Conversazioni sull’Architettura – Edizioni Jaca Book S.p.A. – Milano 1990
Ritengo che ogni architettura debba essere caratterizzata dalla riconoscibilità; il problema ( grosso problema …) è perché l’architettura moderna non riesca a generare le caratteristiche di quella antica …
che sia perché la modernità odia la bellezza?…