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PALERMO - SICILIA

PROGETTO PER LA RIGENERAZIONE URBANA  DELLO ZEN DI PALERMO

RICOSTRUZIONE DI UN QUARTIERE DI 21125 ABITANTI

MARZO-LUGLIO 2011

Il progetto di rigenerazione del San Filippo Neri, ex ZEN

 

Nelle vedute della Piana dei Colli lasciateci da Juan Ruiz (XVIII) e Francesco Zerilli (XIX), emerge la forza dei percorsi, geometrie, giaciture, nuclei residenziali e religiosi che la realizzazione dello ZEN ha ignorato, imponendo sulla trama delle preesistenze l’identità della geometria assoluta, erede di quel principio regolarizzatore che impose l’apertura della via Maqueda prima e di via Roma poi, violentando il caratteristico tessuto tortuoso della Palermo più antica.

Già il progetto dello ZEN 1 aveva tenuto solo marginalmente in considerazione questi segni, introducendo nuove geometrie del tutto indipendenti dagli agglomerati preesistenti. Un vero peccato, perché il nuovo quartiere avrebbe potuto fungere da completamento di quegli agglomerati, ed avrebbe potuto celebrare, piuttosto che ignorare, le strade preesistenti, che avrebbero potuto fungere da assi portanti della nuova maglia urbana … Purtroppo però, gli architetti “moderni”, accecati dalla fissazione per la “griglia urbana”, tendono a non accorgersi dell’importanza di altri aspetti fondamentali per la vita di ogni giorno. Come infatti ha acutamente evidenziato il sociologo americano Richard Sennet, la griglia ortogonale urbana rappresenta «la prima manifestazione di una forma particolarmente moderna di repressione che nega il valore degli altri e dei luoghi specificatamente addetti alla costruzione della banalità quotidiana»1.

La Piana dei Colli, all’interno della quale sorge lo ZEN, si trova in una posizione ideale per un possibile sviluppo della città, La Piana rappresenta sia la “naturale espansione” di Palermo, che quella di Mondello. Lo ZEN risulta infatti il punto in cui convergono i tessuti di espansione di Palermo e Mondello. Inoltre, il quartiere si trova in prossimità dell’autostrada, lungo la direttrice di collegamento tra il capoluogo e l’aeroporto. Prima dell’edificazione dello ZEN, l’area ospitava splendidi esempi di ville settecentesche, esempi che avrebbero potuto fungere da poli con cui relazionarsi, integrandoli nel nuovo insediamento, piuttosto che essere lasciati al proprio triste destino.

Insieme con questo sistema di ville storiche, nell’area preesistevano delle “borgate”, spontanee e non, che avrebbero potuto esser prese in considerazione come “elementi generatori” del nuovo quartiere, ma i progettisti hanno preferito la strada facilona della tabula rasa, piuttosto che provare ad intavolare un dialogo con il genius loci.

Il sistema stradale preesistente lo ZEN, specie prima dell’edificazione dello ZEN 2 e della circonvallazione, manteneva  un rapporto di collegamento tra le aree urbanizzate del versante Ovest (Cardillo, Villa Amari, Villa Bonocore) e quelle del versante Est (Villa Politi, Alliata, Villa Castelforte, Mondello), così come tra le aree urbanizzate del versante Nord (Pescia, Villa Raffo, Villa Verde, Villa Scalea, Villa Portello, Fondo Verde, Tommaso Natale, Partanna, Villa Mattei, Valdesi) e quelle Sud (Patti, Fondo Bacchi, Pallavicino, Centro Storico di Palermo). Oggi invece, questi collegamenti risultano totalmente inesistenti, sembrano essere stati quasi intenzionalmente cancellati, sì da ghettizzare ulteriormente i residenti del “quartiere vergogna” … quasi che la responsabilità di tutto fossero queste persone, la cui unica colpa è stata invece quella di essere state scelte come cavie umane su cui testare un esperimento urbano … esperimento che, come nel caso del Pruitt-Igoe di Saint Louis, era già da tempo stato definito "ambiente inabitabile, deleterio per i suoi residenti a basso reddito". Ecco quindi che l’affermazione di Andrea Sciascia, benché limitativa rispetto alle problematiche generali, risulta più che legittima:

«Il (dis)servizio più importante dello ZEN è la nuova rete infrastrutturale, realizzata negli anni Novanta. Iniziata in occasione dei Mondiali di Calcio (Italia 90), facilita da una parte le connessioni della parte Nord della città con l'Aeroporto di Punta Raisi ma, dall'altra, ha tagliato le connessioni del quartiere con le borgate limitrofe, includendo l'insediamento in un vallo simile a quello che circondava i castelli medievali»

Nel progetto di “rigenerazione urbana dello ZEN” quindi, una volta assodata la necessità di evitare l’effetto ghetto, è stato necessario cercare di capire come renderlo più “permeabile”, nonostante la presenza della circonvallazione, che non avrebbe alcun senso demolire, visti i soldi spesi, e quelli che sarebbero necessari per la sua demolizione e smaltimento.

Ragionando quindi in termini di disegno urbano, di dimensionamento ottimale dell’insediamento attuale, di dotazione di servizi, attività e luoghi di socializzazione, e soprattutto in termini di definizione dei margini urbani, si è provato a ridefinire il quartiere, guardando anche alle aree ed attività circostanti.

Inoltre, si è voluta cercare una mediazione, tra il “sogno” di disegnare una città ideale – cosa spesso fattibile solo sul foglio di carta – e la reale necessità di rispetto della normativa vigente, in materia di standard, di dotazioni, e di rispetto delle distanze da determinati assi stradali come la circonvallazione.

Studiando l’esperienza delle “Città Giardino” realizzate da Giovannoni nel 1919-‘20 (Città Giardino Aniene e Garbatella), è possibile comprendere che, quando si vogliono rispettare i margini urbani e prevenire l’espansione a macchia d’olio, la realizzazione di parchi urbani di contorno all’urbanizzato può essere di grande aiuto. Per esempio, nel progetto per la Città Giardino Aniene, a sinistra del Ponte Tazio, lungo il corso del fiume, Giovannoni ipotizzò un parco dello sport, mentre a destra, data la presenza dell’antico Ponte Nomentano e di altre presenze archeologiche, venne realizzato un parco archeologico. Gli altri margini dell’insediamento vennero invece definiti dai terreni agricoli.

Nel nostro caso, data la presenza del Velodromo – che si spera venga risparmiato dall’ipotesi di demolizione ventilata di recente – e considerata l’attuale proposta del presidente del Palermo Calcio di realizzare delle attività sportive nell’area dello ZEN, accogliendo anche le richieste di quei ragazzi e volontari dello ZEN che, nel corso di un’intervista andata in onda su TV2000, auspicarono lo sviluppo di attività sportive nel quartiere – sostenendo che lo sport, attraendo i bimbi e i ragazzi del luogo, li allontana dalla possibilità di essere risucchiati nel vortice della malavita – potremmo pensare che la creazione di una “buffer zone” a margine dell’edificato, potrebbe svolgere la doppia funzione di parco urbano sportivo e di distanza di rispetto dalla circonvallazione.

Del resto, le dimensioni dell’edificato realizzabile, e conseguentemente le dimensioni della popolazione insediabile, fanno sì che il futuro ZEN possa considerarsi come un’entità urbana dotata di tutte le funzioni atte a renderla autosufficiente, benché collegata con tutti i centri abitati circostanti, centro storico incluso … come del resto avveniva nelle “borgate satelliti” del primo Novecento. Questo non significa marginalizzare, ma creare una città policentrica, con un mix sociale e funzionale in grado di trattenere i residenti all’interno del proprio quartiere, piuttosto che obbligarli ad andare a cercare altrove gli spazi della socializzazione. In questo modo, quello che oggi appare come un fossato di castello medievale, potrebbe venire ad assumere le sembianze di un parco attrezzato, lungo il quale sono dislocate una serie di aree ed attività, simili concettualmente a quelle che hanno dimostrato un indiscutibile successo, rivitalizzando il lungomare di Barcellona.

Il disegno del nuovo San Filippo Neri è stata la fase più complessa. In aggiunta alla necessità di rendere il quartiere “permeabile”, riallacciandosi agli assi preesistenti e proponendone di nuovi, è stato necessario creare un urbanizzato che tenesse conto non solo della qualità dei nuovi spazi, ma anche del modo di procedere per fasi al fine di evitare traumi ai residenti: è inimmaginabile la realizzazione del nuovo quartiere “deportando” i residenti, anche a breve termine, in luoghi lontani da quello in cui sono nati e cresciuti; per questa ragione si è pianificato un processo di sostituzione graduale dell’edificato, lavorando sui “vuoti”. In pratica, la disposizione degli edifici è stata pianificata in modo che le demolizioni possano avvenire per fasi, e solo nel momento in cui i nuovi alloggi risulteranno ultimati e pronti per il trasferimento dei residenti.

Procedendo quindi per fasi sono stati individuati 16 possibili stati d’avanzamento per la “rigenerazione urbana” dell’intero quartiere. Considerando la prevalenza di “vuoti” presenti nella zona Sud-Est, è stato sviluppato un edificato attestato lungo il tracciato dell’antica Via Trapani-Pescia. Questo asse, al termine dello sviluppo, assumerà il ruolo di “cardo maggiore” del nuovo quartiere, ricongiungendosi a Nord con Via San Nicola.

Al fine di dotare il quartiere di spazi per la socializzazione e lo svago, memori anche degli esempi del Quartiere Matteotti, e soprattutto del Borgo Ulivia – dove i residenti si sono auto-costruiti i balconi e giardini semiprivati che erano stati dimenticati dal progettista – è stato deciso di adottare la tipologia edilizia dei grandi isolati a corte con giardini – aperti al pubblico transito almeno durante le ore diurne – all’interno dei quali, all’ombra delle alberature, realizzare delle aree attrezzate per il gioco dei bambini e il tempo libero degli anziani.

Mano a mano che si potrà procedere con le demolizioni, verrà generandosi un sistema strutturato su due “cardi” paralleli e una serie di assi perpendicolari, il cui “decumano maggiore” è costituito dal prolungamento di Via Fabio Besta, ovvero riutilizzando l’attuale asse di Via Luigi Einaudi e Via Senocrate di Agrigento. I due “decumani” centrali, collegati a Sud e Ovest con le testate di Via Patti e di Via Besta, vengono prolungati ad Est della circonvallazione, fino a collegarsi con Via Castelforte. Il sistema stradale viene completato da un anello interno, parallelo alla circonvallazione, che cingendo l’intero edificato, verrebbe a svolgere la funzione di alleggerimento del traffico veicolare all’interno dell’abitato.

In contemporanea con le fasi di costruzione e di demolizione, partendo dalla zona Sud-Est, si potrà realizzare il parco urbano con la doppia funzione di polmone verde del quartiere – già di per sé dotato di giardini interni a tutte le corti – e di barriera acustica e visiva rispetto al traffico pesante che si svolgerà lungo la circonvallazione e Via G. Lanza di Scalea.

Al di là dell’anello interno, all’interno del parco, sorgeranno due grandi centri sportivi ed un complesso scolastico, anch’esso dotato di un centro sportivo da tenere aperto al pubblico al di fuori delle ore di lezione. I due centri risulteranno collegati idealmente tra loro attraverso il parco anulare, all’interno del quale sarà creata una pista ciclabile e un percorso di jogging, intervallato da diverse aree attrezzate per lo stretching ed altri esercizi sportivi.

Il parco ovviamente ospiterà anche delle aree per il gioco dei bambini e per il tempo libero degli anziani. Sono anche stati pensati due laghetti dove, per il divertimento dei più piccoli, oltre alla consueta fauna, potrebbe prevedersi il noleggio di piccoli pedalò, come per esempio avviene in alcuni parchi londinesi.

Per migliorare la permeabilità e i collegamenti del quartiere, sul versante Nord si è pensato di rendere più agevoli via San Nicola e Via Aspasia, mentre sul versante Est si è proposto di realizzare due nuove strade, sfruttando dei tracciati preesistenti lungo il confine tra alcuni lotti agricoli. Queste due strade serviranno a rendere più fluido il collegamento con via Castelforte e le località di Villa Politi e Alliata. Questa ritrovata permeabilità aiuterà a eliminare la sensazione di ghetto denunciata Sciascia, e temuta anche da parte di chi risulta contrario al mantenimento della circonvallazione.

Le strade carrabili a senso unico risulteranno avere una sezione minima di 10,53 metri, mentre il cardo principale e l’anello tangente il parco, essendo a doppio senso di marcia, avranno un’ampiezza di 16,90 metri. L’anello ospiterà anche una corsia preferenziale per il trasporto pubblico.

Grande attenzione è stata rivolta alla viabilità pedonale ed ai luoghi di aggregazione: creando delle sequenze pedonali piacevoli, lungo le quali si snoda una teoria di piazze e piazzette, che invoglino i residenti a passeggiare, fare shopping e socializzare, si è certi che molti dei residenti eviteranno di far uso dell’automobile per gli spostamenti più elementari. Inoltre, la cosa eviterà loro di dover “migrare” verso il centro storico del capoluogo alla ricerca degli spazi negati! Questo si traduce in una diminuzione del traffico veicolare, al San Filippo Neri come in centro, con beneficio per l’ambiente. Sfruttando il modello di molti centri storici italiani caratterizzati da strade carrabili a senso unico, su cui si innestano, più o meno perpendicolarmente, delle strade minori pedonali, si è voluto creare un ambiente dove traffico veicolare e pedonale risultino sempre tangenti tra loro, senza però disturbarsi vicendevolmente. L’unica area totalmente pedonale è quella che comprende la Chiesa di San Filippo, la cui piazza risulta però tangente al cardo maggiore.

Ovviamente le sezioni stradali di progetto risultano decisamente più ampie di quelle degli esempi storici presi a modello. Al fine di rendere più piacevoli e varie le diverse sequenze urbane, sono state inserite numerose piazze e piazzette, alcune molto ampie, ove sarà possibile svolgere contestualmente diverse attività, commerciali e socializzanti.

I percorsi pedonali risultano altresì collegati con quelli che si snodano attraverso il parco perimetrale e, ovviamente, con tutte le aree di parcheggio pubblico. Inoltre, per rendere il quartiere ancora più fruibile da parte del pedone, ogni isolato residenziale presenta al suo interno una corte con giardino aperta al transito pubblico, almeno durante le sole ore diurne. Questo sistema di “scorciatoie pedonali”, molto utilizzato nell’edilizia dell’ICP dei primi del Novecento, è comunque un qualcosa che si ritrova anche in tante corti presenti nel centro storico palermitano dove, nonostante l’estensione di alcuni lotti, la permeabilità pedonale risulta sempre assicurata. Diversamente dalla piatta uniformità che caratterizza l’attuale ZEN, nessun blocco edificato del San Filippo Neri risulterà essere il clone di un altro. Le passeggiate all’interno del quartiere consentiranno di apprezzarne la sua unità priva di uniformità contribuendo alla formazione del senso di appartenenza.

Sempre negli interessi del pedone e dell’ambiente, la viabilità principale è stata dimensionata in modo da consentire anche il transito delle linee di trasporto pubblico, mettendo così in collegamento il San Filippo Neri con il centro del Capoluogo, con l’Aeroporto di Punta Raisi, con la spiaggia di Mondello e con gli agglomerati urbani circostanti.

Una eventualità del genere, sommata all’agevolazione della circolazione pedonale interna al quartiere, potrebbe davvero far dimenticare ai futuri residenti del San Filippo Neri l’esigenza di utilizzare l’automobile per spostarsi verso le mete suddette.

Questo non significa però che si sia pensato ad una città i cui residenti non abbiano la possibilità di avere la propria autovettura, o che non abbiano la possibilità di poterla parcheggiare. In ottemperanza della normativa vigente infatti, sono stati inseriti numerosi parcheggi pubblici “a raso” con l’accorgimento che, al fine di evitare delle strade troppo larghe, benché dimensionate correttamente per il traffico automobilistico e pedonale, i posti auto dislocati lungo le strade interne all’abitato risultassero sempre disposti parallelamente ai marciapiedi e “incassati” in essi. In aggiunta, sono stati pensati anche numerosi parcheggi interrati, pubblici e privati, al di sotto di molti edifici, corti e piazze.

Questo consentirà di poter parcheggiare l’auto al di sotto della propria abitazione, anche in quelle porzioni dell’abitato, come l’area della Chiesa, ove la superficie stradale risulta interamente pedonale.

Al fine di rispondere alle esigenze di spostamento di tutti i residenti, inclusi gli anziani e i diversamente abili, il dimensionamento dell’abitato, e le distanze al suo interno, sono state valutate non solo in termini metrici, ma anche in termini di tempo, utilizzando l’unità di misura temporale dei cosiddetti 10 minuti a piedi (circa 800 – 1.000 metri di diametro).

È questa infatti la dimensione urbana che consente ai residenti di raggiungere agevolmente tutti i punti – e i servizi – del proprio quartiere. Questa unità di misura, fortuita o calcolata che sia stata, è quella che ha sovrinteso alla realizzazione dei nostri centri storici i quali, prima del XX secolo, non si erano mai sviluppati in maniera caotica e concentrica. Le nostre città sono infatti il risultato di uno sviluppo per moltiplicazione e duplicazione del modello iniziale autosufficiente.

In questa nuova, o per meglio dire, riscoperta concezione degli spazi pubblici, il San Filippo Neri è stato pensato come una Città per Tutti, ovvero pensata e accessibile per gli anziani e i bambini. In quest’ottica, tutte le corti interne agli isolati residenziali, e le aree di sosta presenti all’interno dei giardini pubblici e del parco perimetrale, sono state pensate come spazi attrezzati per il gioco dei bambini (con scivoli, altalene, percorsi di abilità, pareti attrezzate, ecc.), per il tempo libero degli anziani (con panchine, tavolini per il gioco delle carte, fontanelle, colonnine d’emergenza, aree per i balli di gruppo, campi di bocce, ecc.) tutti i percorsi dovranno risultare anche perfettamente accessibili a tutti i diversamente abili.

Volendo creare diversi motivi di interesse a non lasciare il quartiere, ma soprattutto per rendere più sicure e vigilate “spontaneamente” le strade, al piano terra degli edifici disposti lungo le strade principali, è stata proposta la realizzazione di esercizi commerciali, e/o per la ristorazione, mentre al piano terra degli edifici disposti lungo le strade secondarie, o a margine dell’edificato, è stato pensato di realizzare delle botteghe artigiane. Questa proposta di avere negozi e botteghe lungo le strade non vuole essere un vezzo di origine nostalgica, poiché l’importanza di queste funzioni in termini di sicurezza e contatti umani era già stata spiegata perfettamente da Jane Jacobs già nel 1961 nel suo libro Vita e morte delle grandi città Americane, 2 nel capitolo “Le funzioni dei marciapiedi”.

«[…] Condizione essenziale per attuare tale sorveglianza è che lungo i marciapiedi del quartiere sia disseminato un congruo numero di negozi e di altri luoghi pubblici, e in particolare di esercizi e luoghi pubblici frequentati nelle ore serali e notturne. Così soprattutto i negozi, i bar e i ristoranti possono favorire in modi diversi e complessi la sicurezza dei marciapiedi».

L’attualità di queste parole dovrebbe essere un monito per chi continui a pianificare la città in zone monofunzionali dove la vita non è di casa. Non è possibile che, “per fare cassa”, le Amministrazioni Comunali rilascino concessioni edilizie per la realizzazione di centri commerciali che, come conseguenza, portano alla progressiva sparizione dei negozi lungo le strade e, ovviamente, alla perdita di sicurezza delle città!

Ipotizzare la realizzazione di attività di questo genere in quartieri come il futuro San Filippo Neri, risulta altresì fondamentale nella strategia economica di rigenerazione urbana del quartiere.

Per le stesse ragioni di cui sopra, ma anche in vista di uno sviluppo dell’agricoltura nella Piana dei Colli, volendo consentire ai coltivatori diretti che risiedono, o che decideranno di risiedere al San Filippo Neri e nelle borgate circostanti, si è pensato di sviluppare lungo uno dei “cardi maggiori” dell’edificato un mercato di strada ispirato ai modelli del Mercato del Capo, della Vucciria e di Ballarò.

Fondamentale, per la vita e l’autonomia del quartiere, e per il “riscatto sociale” dei suoi abitanti, è la presenza in situ di tutte le scuole, dalla materna alla superiore, dimensionate in funzione della popolazione residente, come da standard ministeriali. In particolare si è pensato che una scuola superiore, dedicata all’Arte e all’Artigianato, potesse essere la tipologia di scuola professionale in grado di rispondere meglio alle caratteristiche del San Filippo Neri.

Come si diceva, nel corso della trasmissione Formato Famiglia andata in onda su TV 2000, gli intervistati dello ZEN espressero la richiesta di sviluppare fortemente le attività sportive nel quartiere, sostenendo che quelle poche già presenti aiutino a “strappare” i giovani dalla strada, allontanandoli dalla possibilità di essere risucchiati nel vortice della malavita. Per questa ragione, sono stati proposti due grandi centri polisportivi che vanno a completare le discipline già esistenti in zona, dal Velodromo, ai campi di calcetto posti in adiacenza al Velodromo. I due centri risulterebbero collegati attraverso il percorso di pista ciclabile e jogging che attraversa il parco. Inoltre è previsto che tutte le strutture sportive dei plessi scolastici e della Chiesa di San Filippo Neri vengano messe a disposizione dei residenti al di fuori delle ore di lezione.

L’edificato proposto, adottando le tipologie delle case a corte e in linea, sovente collegate da passaggi coperti ispirati a quelli del centro storico palermitano, viene a creare un ambiente denso e compatto, coerente con la tradizione locale, sebbene gli edifici progettati risultino più ariosi di quelli storici presi a modello, grazie alle ampie corti a giardino.

Come si è detto, la rigenerazione urbanistica dello Zen può significare non solo dare case e ambiente urbano dignitosi ai residenti dello ZEN, ma anche generare occupazione per i residenti, dando loro una diversa aspettativa di vita e una promessa concreta di riscatto sociale. Questa è una delle ragioni per cui si è pensato ad una riformazione dell’artigianato locale, certi che questo possa fungere da volano per il rilancio dell’economia locale più in generale. Il progetto prevede anche una Struttura Sanitaria Specialistica d’eccellenza.

L’idea del rilancio dell’artigianato e dell’economia locale va di pari passo con un altro problema, poco dibattuto in ambito accademico e politico, che invece meriterebbe più attenzione.

I recenti crolli di L’Aquila, Pompei, Roma e Barletta, hanno inequivocabilmente mostrato le conseguenze dell’insegnamento “ideologico" praticato negli ultimi 70 anni, e della pratica costruttiva sempre più ignorante in materia di conservazione.

L’aver imposto dogmaticamente – nell’interesse dell’industria edilizia – l’uso di tecniche e materiali “moderni” all’interno delle università, ha generato una classe di tecnici che non è assolutamente in grado di restaurare un edificio realizzato con tecniche e materiali tradizionali, per cui ci troviamo davanti ad una serie di danni al nostro patrimonio, non già generati dal tempo e dall’incuria, quanto dall’intromissione di strutture e materiali il cui peso e rigidità, e il cui comportamento statico, risultano ben diversi dalle strutture originarie. Tutto ciò ha generato l’estrema difficoltà di reperimento di manodopera ancora in grado di lavorare con materiali e metodi tradizionali; manodopera che, quando si trova, presenta dei costi proibitivi a causa della mancanza di competitività nel settore. Ecco perché, nell’era della “sostenibilità”, sarebbe indispensabile tornare a costruire anche i nuovi edifici con tecniche e materiali “a chilometri zero”. Questi edifici non presentano costi di manutenzione, ed hanno un comportamento termo-igrometrico eccellente e costante nel tempo. Costruire in questo modo potrebbe contribuire a formare una vasta manodopera specializzata che, oltre a garantirsi un lavoro remunerativo, consentirebbe a tutti noi di avere la certezza di poter restaurare correttamente, e a costi più accessibili, il patrimonio storico architettonico che, oltre tutto, dovrebbe essere la nostra principale fonte di reddito nazionale, considerato l’interesse turistico.

A tal proposito occorre fare una riflessione. Parlando in termini di “sostenibilità”, l’A.N.A.B. (Associazione Nazionale Architettura Bioclimatica) ha recentemente dichiarato: «Aumenteranno sempre più i costi di esercizio di un edificio convenzionale! Di fronte alla scarsità di risorse energetiche, l'unico modo in cui l'uomo può proteggersi dalle condizioni climatiche ambientali è attraverso l'architettura stessa!»

Ebbene, qualcuno potrebbe obiettare che non sarebbe necessario doversi rimettere a costruire in maniera “passatista” con pietre, tufi, mattoni e legno, perché la “bioedilizia”, la “bioarchitettura”, producono edifici rispettosi dell’ambiente, che riducono il consumo energetico e possono essere definiti, secondo le graduatorie del settore, “di classe A”.

Così oggi è un gran parlare di Architettura Bio-climatica, Bioarchitettura, Eco-sostenibilità, bilancio bio-sostenibile, LEED (Leadership in Energy and Environmental Design), ecc. … ma, chiediamoci, gli edifici che ci vengono presentati come “bio” lo sono davvero?

Sostanzialmente, i materiali e i prodotti adatti ad un’edilizia eco-sostenibile dovrebbero rispettare i seguenti una serie di requisiti alla luce dei quali dunque, i tecnici che rivendicano la loro appartenenza alle sigle summenzionate, si considerano come tecnici la cui visione progettuale si preoccupa di intervenire sull'ambiente in maniera bio-compatibile ed eco-sostenibile.

Se però andassimo ad analizzare la produzione architettonica di questi personaggi (e movimenti), dietro i quali si cela – neanche troppo – l’industria edilizia produttrice di sistemi di isolamento, scopriremmo che questa attenzione all’ambiente è solo apparente.

Gli edifici presentano il solito, sinistro, aspetto modernista, con enormi superfici vetrate – notoriamente fonti di dispersione termica – giustificate dal fatto che nei paesi freddi sia necessario fare entrare più sole possibile all’interno degli ambienti.

Ma ciò che più disturba di questa situazione, è il fatto che tutti i materiali utilizzati siano frutto di sperimentazione industriale – produzione assolutamente aliena all’idea di rilancio delle economie locali – tutti i materiali impiegati e pubblicizzati sulle riviste specializzate e sui siti web, riguardano prodotti che richiedono un notevole dispendio energetico in fase di generazione e, a causa della loro produzione in luoghi remotissimi dai cantieri edili, richiedono un dispendioso trasporto su gomma, il che si traduce in consumo di petrolio e inquinamento atmosferico.

Inoltre, non è raro che nei convegni e nelle riviste che fanno capo a questi orientamenti progettuali, ci sia qualcuno che spacci per sostenibili perfino i grattacieli, spingendosi a parlare di giardini verticali e di risparmio di territorio, ben sapendo che quella dei giardini verticali è una balla possibile solo nei rendering al computer, e che quella del grattacielo risulti in realtà la tipologia edilizia più energivora e generatrice di traffico che possa esistere. Il grattacielo infatti, risulta intimamente dipendente dall’aria condizionata e dall’energia elettrica per gli spostamenti verticali. Inoltre il grattacielo richiede immani superfici da destinare a parcheggio, ed enormi strade in grado di assorbire e convogliare il volume di auto dirette verso quel “concentratore di esseri umani”.

Si invita caldamente chi non creda a ciò che si dice, a fare una ricerca nel web per verificare quanti, tra tutti i cosiddetti materiali eco-sostenibili suggeriti dai bio-architetti, possano considerarsi “a chilometri zero”, ovvero adoperati e prodotti nello stesso luogo di impiego, e quanti non risultino invece prodotti industrialmente, e certificati con qualche sigla CEE, alla pari delle certificazioni sulle automobili Euro 6 che, abbiamo recentemente visto, risultano molto più inquinanti dei vecchi motori privi di filtro antiparticolato.

Non si scopre l’acqua calda se si sostiene che sia il potere lobbistico dell’industria multinazionale dell’edilizia a dettare tempi e modi dei certificatori!

E allora, perché affannarci a ricercare e sperimentare costantemente nuove soluzioni –spesso costose, nocive e di breve durata – per risolvere problemi che risultano già perfettamente risolti dai nostri saggi predecessori? Cosa ci sarebbe di male, eccetto lo sgarbo nei confronti della lobby dell’industria edilizia, nel riprendere in considerazione materiali e soluzioni tecniche che il tempo e l’esperienza hanno dimostrato essere perfettamente valide e rispettose dell’ambiente? E soprattutto, visti i risultati dell’edilizia prodotta in maniera industriale ad opera di imprese e imprenditori che badavano solo al proprio guadagno, perché non dovremmo tornare a dare credito all’artigianato locale, che invece è stato in grado di produrre quella meraviglia di coerenza e di rispetto dell’ambiente che sono i centri storici che il mondo ci invidia?

Si rifletta allora sul fatto che, diversamente dalla bio-edilizia, la vera Architettura Tradizionale, utilizzando i materiali e le tecniche costruttive locali, oltre a rispondere perfettamente a tutti requisiti previsti per il riconoscimento della cosiddetta architettura eco-sostenibile, viene ad avere qualche valore aggiunto:

Facile reperibilità dei materiali;

Economicità delle costruzioni;

Riduzione assoluta dei costi di manutenzione degli edifici;

Forniture che non richiedono lunghi e inquinanti trasporti;

Mantenimento quasi totale dei proventi del processo edilizio nell’ambito locale;

Sviluppo dell’economia locale basata sull’edilizia;

Riduzione della disoccupazione come conseguenza dei punti precedenti;

Riduzione dei costi di restauro del patrimonio architettonico, prodotta dalla riscoperta di tecniche e materiali edili tradizionali, e dalla ri-formazione di una manodopera molto più vasta, ergo in regime di concorrenza;

Rispetto delle condizioni climatiche locali;

Riduzione dei consumi energetici per il riscaldamento e raffreddamento degli edifici, grazie all’utilizzazione di murature tradizionali con perfetto – e naturale – comportamento termo-igrometrico consentendo il risparmio fino al 50% delle spese di riscaldamento e del 100% di quelle di raffrescamento;

Armonizzazione degli edifici nel contesto di appartenenza.

Nel caso di Palermo, abbiamo la fortuna di avere un’enorme documentazione manualistica 3 lasciataci dai nostri antenati, documentazione in parte ripresa e aggiornata dal Manuale del Recupero del Centro Storico di Palermo.4

A chi potrebbe obiettare che gli edifici storici non risultino rispettosi dell’attuale normativa antisismica e che, come tali, non debbano più prodursi, risponde la semplice evidenza dei fatti. La stessa città di Palermo è stata interessata a più riprese da terremoti di notevole potenza distruttiva, eppure gli edifici antichi sono lì, indipendentemente dall’invenzione del cemento armato e della conoscenza della moderna scienza delle costruzioni, inoltre c’è da ricordare che, recentissimamente, una commissione internazionale di esperti ha ritenuto le soluzioni strutturali indicate nel “Codice Antisismico Borbonico” del 1783 –riscontrabili nell’edilizia storica palermitana – come le più sicure ed avanzate a livello mondiale!

Il materiale raccolto nel Manuale dà informazioni relative a tutte le parti dell’edificio, dalle murature alle volte, dalle scale ai solai e ai tetti, ma anche a dettagli non strutturali che risultano fondamentali per la coerenza degli edifici, e per la definizione del carattere degli stessi, ovvero le tipiche porte, finestre, pavimentazioni, ferrate, ringhiere e cancellate, comignoli, sistemi di smaltimento delle acque. Inoltre risultano documentati i sistemi di riparazione di murature e solai, incluso un utilissimo capitolo, curato da Antonio Pugliano, dedicato ai Criteri per il restauro strutturale e antisismico nell’edilizia storica.

 

In pratica, nell’ottica di una progettazione filologica e biofilica, il Manuale, e la trattatistica antica, potrebbero fornire l’abaco linguistico per una moderna architettura che risulti essere la naturale prosecuzione di quella precedente, una moderna architettura che risulti quindi essere anche il luogo della formazione dell’artigianato locale, utile per il restauro.

Del resto, il caso del Borgo Ulivia, progettato nel 1956 da Giuseppe Samonà, con A. Bonafede, R. Calandra, E. Caracciolo, dimostra ampiamente come il disinteresse dei progettisti per i più elementari usi e le tradizioni locali, abbia portato al proliferare di fenomeni di trasformazione degli edifici e degli isolati, dalla semplice chiusura con cancellate del “piano pilotis”, trasformato in depositi e autorimesse, alla più complessa e rischiosa aggiunta di balconi con ringhiere baroccheggianti.

Ovviamente, queste “disattenzioni” non mancano all’attuale ZEN. Per onestà espositiva, va anzi riconosciuto che, nel caso dello ZEN, non si tratta di “dimenticanze veniali”, come nel caso del progetto di Samonà, ma di omissioni intenzionali nel rispetto dell’ideologia del momento!

Un caso per tutti, è quello delle edicole e altarini votivi, realizzati spontaneamente dai residenti all’interno delle varie “insule” di Gregotti, una realizzazione che dimostra infatti l’esigenza, da parte dei residenti, di un qualcosa che potesse generare in loro un minimo senso di appartenenza, nello squallore senza precedenti realizzato dai progettisti originari.

 

Il progetto che ho elaborato per l’iniziativa “Noi per lo ZEN” si è limitato a sviluppare un progetto urbanistico a livello planivolumetrico, dove forme e funzioni urbane risultassero ben definite. La progettazione architettonica invece non è stata sviluppata a fondo, anche perché si suppone che dovrà essere sviluppata da diversi architetti locali, in base alle indicazioni che verranno dai residenti, mediante un reale processo partecipativo.

Per mio diletto, ma anche al fine di fornire una base di discussione utile al processo partecipativo dei residenti, considerato che si parla di artigianato e di tecniche e materiali tradizionali, ho sentito l’esigenza di disegnare tre grandi acquerelli che mostrassero quello che, a mio avviso, potrebbe essere il carattere degli spazi e degli edifici che si intendono realizzare.

Le viste che ho voluto rappresentare sono quelle di due spazi emblematici nel futuro assetto del quartiere, ovvero la Piazza della Chiesa di San Filippo Neri e la Piazza del Mercato di Strada.

Per la Piazza della Chiesa ho pensato ad un ambiente molto grande, dominato sullo sfondo dalla Chiesa, caratterizzata da un nicchione, sovrastante il portale, che ospita una scultura basata sulla “Apparizione della Madonna col Bambino a S. Filippo Neri”, dipinta da Giambattista Tiepolo ed esposta nella Chiesa di San Filippo a Camerino.

Ho pensato ad una facciata curvilinea ispirata alla Chiesa di Sant’Anna di Palermo, sebbene del tutto diversa rispetto a quella. Sulla sommità della facciata, così come accade in molte chiese siciliane, è prevista una struttura tetrastila che ospita la campana ed è sormontata dalla Croce.

La come accade nella Cattedrale e nella Chiesa di San Giuseppe dei Teatini di Palermo, si è pensato di coprire le navate laterali con delle cupolette, ed avere al centro del transetto una grande cupola rivestita di maioliche gialle e verdi che funga da riferimento visivo.

Di fronte alla Chiesa, lungo il margine del “cardo maggiore” del quartiere, dovrebbe piantarsi una grande Ficus Magnolioides che, con il passare degli anni, andrà assumendo quella mole e quel carattere che tanto affascinano i visitatori dei Giardini di Piazza Marina a Palermo e, ovviamente, aiuterà ad allietare i pedoni con la sua ombra. Su questa piazza, attestata all’incrocio tra i due assi principali del San Filippo Neri in maniera simile ad un Foro Romano, sono disposti alcuni edifici, non più alti di 4 piani, caratterizzati dai tipici balconi con mensole e ringhiere di ferro battuto o ghisa. Questi edifici ospiteranno al piano terra diverse attività commerciali e/o di ristorazione, in grado di vitalizzare l’ambiente 365 giorni all’anno, e quasi 24 ore al giorno, rendendolo così piacevole e sicuro.

Grazie all’altezza contenuta degli edifici, lo sfondo della piazza risulterà dominato dalla visuale del Colle d’Allaura.

La piazza del Mercato sarà invece caratterizzata dalla grande Loggia del Mercato e dalla Fontana, che svolge la doppia funzione estetica e igienica: estetica perché serve a dare un carattere nobile allo spazio urbano, igienica perché, come alla Vucciria e al Mercato del Pesce di Catania, la presenza dell’acqua in movimento aiuta a ripulire l’aria dagli odori molesti, ragion per cui in questa parte del mercato si suppone di poter installare i banchi del mercato del pesce e della carne. Questa piazza, al chiudere del Mercato, così come avviene nel Campo dei Fiori di Roma o nella Piazza delle Erbe di Verona, potrà ospitare tavoli di bar e ristoranti, vitalizzando l’ambiente anche fino a tarda sera.

Come nel caso del progetto per il Corviale di Roma, anche questo progetto è stato accompagnato da un’analisi costi benefici che ha consentito di dimostrare come l’intervento, oltre a migliorare la situazione ambientale, urbanistica e sociale del quartiere, potrebbe risultare di grande beneficio per l’economia locale pubblica e privata.

Adottando infatti gli stessi criteri indicati per il progetto romano, frutto dell’esperienza della politica urbanistico-sociale-economica del primo Novecento, che vedeva lo Stato essere un soggetto attivo nel processo edilizio,5  sarebbe possibile dare alloggio a oltre 21.000 abitanti a fronte degli attuali 16.000, sarebbe possibile creare migliaia di posti di lavoro, sarebbe possibile realizzare una serie di attività economiche e socializzanti e, sarebbe possibile realizzare un grande parco a beneficio del quartiere e del suo circondario e, dalla vendita delle unità immobiliari eccedenti quelle necessarie allo spostamento dei residenti attuali, azzerare i costi di demolizione e nuova costruzione e chiudere l’operazione con un attivo pari ad oltre  € 175.000.000,00!

Se a questo bilancio aggiungessimo la vendita di spazi come per esempio il Cinema-Teatro e la Loggia del Mercato, nonché la vendita degli alloggi in “mutuo sociale” – solo quest'ultima porterebbe ad un ulteriore guadagno di ulteriori € 288.000.000,00 – il bilancio per la pubblica amministrazione risulterebbe ancora più positivo!

In alternativa alla vendita degli appartamenti in mutuo sociale, se anche si restasse dell’idea di mantenere il pagamento di un canone d’affitto calmierato per gli appartamenti restanti, potrebbe esserci un ulteriore introito per le casse pubbliche pari a € 8.640.000,00 /annui!

Denaro che potrebbe essere utilizzato come fondo annuo per il contributo statale al pagamento degli interessi sui mutui, sulla falsariga di ciò che avveniva nel primo dopoguerra in Italia.

 

1 Richard Sennet, American cities: the grid plan and the protestant ethic, International Social Science Journal; XLII, 3, 1990.  <

 

2 Tradotto e pubblicato in Italia nel 1969 a cura di Einaudi.  <

 

3 Costanzo Amichevoli, Architettura Civile ridotta a metodo Facile e Breve. Terni, 1675; Tommaso Maria Napoli, Utriusque  Architecturae Compendium, Roma 1688; Giovanni  Biagio Amico, L’Architetto Prattico, Palermo 1726; Carlo Dolce, relazione sul Sisma di Palermo del 1823, Palermo 1823; Ufficio Tecnico Comunale, Patti e Condizioni relativi alla Costruzione e Ristauro delle Strade Interne ed Esterne e di alcuni Edifici del Comune di Palermo, Tariffa Generale, Palermo 1889;     <

 

4 A cura di Francesco Giovannetti, responsabile scientifico Paolo Marconi, Flaccovio Editore, Palermo 1997  <


5 Come ricordava Italo Insolera in Roma – Immagini e realtà dal X al XX secolo, Laterza Edizioni, Roma-Bari 1980 «in una città che ha l’edilizia come sua unica attività industriale, il deficit dell’amministrazione […], può essere sanato proprio con una diretta partecipazione in tale ramo di investimenti».   <